La memoria corta dei sostenitori di sinistra del governo giallo-rosa

Annamaria Rivera

Quel che più mi ha sconcertata del dibattito che ha preceduto la formazione del governo Pd-M5s-LeU è stato il sostegno, alquanto acritico, a un simile garbuglio politico, anche da parte di alcuni intellettuali di sinistra; e ciò anche dopo l’esplicito appoggio di Trump a “Giuseppi”. L’argomento centrale e comune è che un tale governo sarebbe l’unico argine capace di frenare l’avanzata del leghismo nella forma del salvinismo eversivo e del razzismo più sfrenato. A governo ormai costituito, v’è chi, ugualmente a sinistra, è arrivati a scrivere della possibilità di “una vera svolta”, perfino dell’apertura di “una nuova stagione politica”.

Ammettiamo che, nelle condizioni presenti, non vi fosse alternativa a ciò che più volte ho definito il rischio del salto all’estremo del progetto eversivo salviniano. Tuttavia, ciò non giustifica il mutismo di tali intellettuali sul ruolo che non solo i pentastellati, ovviamente, ma anche esponenti del Pd (e, prima ancora, del Pds-Ds) hanno svolto nel legittimare la Lega, in tal modo favorendo l’incremento di razzismo, sessismo, omofobia e, per l’appunto, pulsioni eversive.

A tal proposito, basta riportare due citazioni tanto celebri quanto oggi dimenticate dai più. Il 31 ottobre 1995, intervistato da Valentino Parlato per il manifesto, così rispondeva Massimo D’Alema:

“La Lega Nord c’entra moltissimo con la sinistra, non è una bestemmia. Tra la Lega e la sinistra c’è forte contiguità sociale. Il maggior partito operaio del Nord è la Lega, piaccia o non piaccia. È una nostra costola, è stato il sintomo più evidente e robusto della crisi del nostro sistema politico e si esprime attraverso un anti-statalismo democratico e anche antifascista che non ha nulla a vedere con un blocco organico di destra”.

Non si pensi che questa fosse null’altro che un’isolata boutade opportunistica, legata a quella fase politica contingente (il Carroccio era riuscito a far cadere il primo governo di destra della Seconda Repubblica). Perché, ben più tardi, il 15 febbraio 2011, fu Pierluigi Bersani, da segretario del Pd, a compiere un atto d’ossequio altrettanto vergognoso e strumentale (si trattava di dare una spallata al traballante IV Governo Berlusconi), rilasciando un’intervista “esclusiva” sulla prima pagina de La Padania, organo ufficiale del Carroccio: “Impegno me e il mio partito a portare avanti il processo federalista dialogando con la Lega (…). Pur con posizioni diverse e anche alternative, ci sono due vere forze autonomiste nel nostro Paese: il Pd e la Lega (…). So che la Lega non è razzista”.

Ricordo che giusto un mese prima era stato pubblicato Svastica verde. Il lato oscuro del va’ pensiero leghista, di Walter Peruzzi e Gianluca Paciucci (con una mia postfazione), che documentava e analizzava puntualmente l’ispirazione fascista, perfino nazionalsocialista, del Carroccio attraverso i suoi stessi documenti ufficiali, nonché dichiarazioni e testi vari. Prima di farsi intervistare il segretario del Pd avrebbe potuto almeno dare un’occhiata a quel volume…

Quanto alle politiche dell’immigrazione e al rispetto dei diritti delle persone immigrate, profughe, rifugiate, non poche volte il Pds-Ds-Pd, con i suoi governi detti di centro-sinistra, ha seguito una linea che non può definirsi diametralmente opposta a quella leghista. Fu nel corso del primo governo Prodi che, il 28 marzo del 1997, si consumò la strage di un centinaio di profughi albanesi in fuga dalla guerra civile: in gran parte donne e bambini. La Katër i Radës, una piccola motovedetta, fu speronata nel canale d’Otranto dalla corvetta Sibilla della Marina militare che, per ordini superiori (in particolare da parte di Giorgio Napolitano, ministro dell’Interno), doveva impedirne l’approdo. Il governo, infatti, aveva decretato, d’accordo con l’Albania, un blocco navale costituito da una barriera di navi da guerra, ch’era stato severamente criticato dall’Unhcr come illegale.

E fu durante il medesimo governo Prodi che fu approvata la legge detta Turco-Napolitano, la n. 40 del 6 marzo 1998, la quale, fra l’altro, per la prima volta istituiva strutture d’internamento extra ordinem (destinate ai migranti irregolari), che violano clamorosamente principi basilari dello stato di diritto e della Costituzione.

Un tale orientamento proibizionista, sicuritario, perfino migranticida è proseguito nel corso del tempo, fino alle due leggi esemplari dell’aprile 2017: la 46, detta Minniti-Orlando (“Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale”) e la 48, detta Minniti (“Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città”). Sono questi due provvedimenti legislativi ad aver costituito il modello per le due leggi (tuttora dette impropriamente decreti), che, fermamente volute da Salvini, accorpano, e non per caso, i temi della sicurezza e dell’immigrazione, esasperando il carattere repressivo-razzista-sicuritario di quelle diessine, così da configurarsi come decisamente anticostituzionali.

Ed è nel corso dello stesso governo Gentiloni che, soprattutto per volontà del ministro dell’Interno, si stringono accordi con le bande criminali libiche e s’inaugura Deserto rosso, operazione militare in Niger, finalizzata a bloccare l’afflusso dei profughi dal Sud verso le coste della Libia. Durante quella stessa legislatura s’intensifica il processo di delegittimazione e criminalizzazione delle Ong (i “taxi del mare”, per citare Di Maio): il Codice di condotta adottato da Minniti, con le sue contromisure e sanzioni, ha contribuito a rendere sempre più ardue le operazioni di ricerca, soccorso e approdo.

Quanto al M5s, se si volesse analizzare le venature di destra e l’ideologia razzistica che lo attraversano, ci vorrebbe qualche tomo. Mi limito a citare, come ho fatto altre volte, qualche perla del loro maître à penser: il lungo passo dal Mein Kampf contro “i giullari del parlamentarismo”, corredato da un ritratto del Führer, pubblicato da Grillo nel suo blog l’11 febbraio 2006; le invettive contro le “migrazioni selvagge” e i rom romeni, definiti “una bomba a tempo” da disinnescare quanto prima (4 ottobre 2007); la mano tesa a Simone Di Stefano, vice-presidente di CasaPound (10 gennaio 2013): l’antifascismo -lo rassicurava Grillo- “è un problema che non mi compete (…). Il nostro è un movimento ecumenico (…). Più o meno avete delle idee che sono condivisibili”. E ancora: il 22 aprile 2015 rivendicava, a nome dell’intero M5s, l’espulsione sommaria di tutti “gli immigrati giunti irregolarmente sul suolo italiano”. Il 17 giugno successivo chiedeva per Roma "elezioni il prima possibile, prima che la città venga sommersa dai topi, dalla spazzatura e dai clandestini”.

Che nel corso del primo governo Conte i grillini, come lo stesso mediocre presidente del consiglio, si siano adeguati alle peggiori scelleratezze salviniane (dal blocco delle navi delle Ong ai due “decreti-sicurezza”, dalla chiusura dei porti agli sgomberi a tappeto di stabili occupati…) non avrebbe dovuto sorprendere chi si reputi di sinistra e abbia senso cri
tico e solida cultura politica. Oggi, con il governo Bisconte (per citare Giorgio Cremaschi) si profila il rischio che, in particolare sul piano delle politiche sull’immigrazione, l’asilo, l’accoglienza, a competere, sul piano governativo, possano essere il peggio del Pd e l’ancor peggio del M5s.

E’ un timore espresso perfino dall’interno del Partito democratico. Dopo che il Viminale, l’8 settembre scorso, aveva negato l’approdo in Italia alla Alan Kurdi (la nave della Ong tedesca Sea Eye, che poi sarà accettata da Malta), Matteo Orfini, che non è certo un estremista, aveva commentato: “Il primo atto del nuovo governo è chiudere i porti alla Alan Kurdi che è ancora in mare con solo cinque naufraghi a bordo (…). Cacciare Salvini e tenersi le sue politiche non mi pare geniale”.

Né può rassicurare l’apparente pacatezza di Conte, il quale sembra affetto da una sorta di sindrome bipolare. Il 1° febbraio scorso, appena cinque mesi prima della crisi del governo fascio-stellato, parlava della prospettiva di “un bellissimo 2019”. Subito dopo la crisi, attaccava duramente Salvini e la Lega. Oggi, da Conte-bis, durante l’intervento al Senato in occasione del voto di fiducia, ciancia di nuovo umanesimo, ma al tempo stesso afferma che occorre evitare “di concentrarci ossessivamente sullo slogan ‘Porti aperti, porti chiusi’“. Per il cantore del neo-umanesimo, non è altro che una questione di slogan l’alternativa drammatica – che concerne strettamente diritti umani basilari- tra approdare in un porto sicuro oppure annegare nel Mediterraneo o restare per quasi un mese (come nel caso della Opens Arms) in balia delle onde e del solleone, con cibo, acqua e spazio ridotti al minimo. Del resto, quale sia il suo orientamento è ben chiaro dall’affermazione successiva: “Uno stato sovrano ha il diritto a regolare l’accesso ai propri confini, rafforzando i rimpatri”.

Non è certo che l’Unione europea possa far da argine tali orientamenti. Basta un esempio, piuttosto scandaloso. Grazie a un’idea dell’attuale presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, l’incarico attribuito a Margaritis Schinas riguarderà non solo i temi inerenti l’immigrazione, ma anche la protezione dello stile di vita europeo. Ignara della storia e di ogni nozione di antropologia, Von der Leyen ha, forse inconsapevolmente, accettato la linea di Lorenzo Fontana, l’ex-ministro per la famiglia, un leghista più che ortodosso: “Con l’immigrazione si diluiscono le identità e l’omologazione avanza”.

Per concludere. L’unica speranza che possiamo coltivare è che i rivoli dispersi della sinistra di base possano confluire in un fiume (o almeno un ruscello) capace di contrastare attivamente il rischio della riemersione del peggio del Pd e dell’ancor peggio del M5s.

(13 settembre 2019)


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