La misura è colma. Chi tace è connivente. Il grido della chiesa di base

Valerio Gigante

, da Adista 8/2011

ROMA-ADISTA. Se la Chiesa gerarchica, per commentare l’ennesimo scandalo che vede coinvolto Silvio Berlusconi, usa i toni della diplomazia e della prudenza, per non lasciare dubbi sulla volontà di non rompere la propria “opzione preferenziale” per il centrodestra, parole certamente più profetiche arrivano da una Chiesa di base che ormai da anni, in modo sempre più critico e netto, ha preso le distanze dal sistema di potere berlusconiano.

Sussurri e grida
I toni, nel frattempo, si sono fatti sempre più duri ed esasperati. E stridono con quelli del presidente della Cei. A porre con decisione l’accento sull’inadeguatezza delle dichiarazioni di Bagnasco è il portavoce di Noi Siamo Chiesa, Vittorio Bellavite, per il quale «la relazione di Bagnasco ha ceduto alla logica dei rapporti di potere suggerita dalla Segreteria di Stato e dalla sua politica del do ut des nel rapporto tra la Chiesa e le istituzioni della nostra Repubblica». Il testo della sua prolusione «non chiede a Berlusconi di presentarsi di fronte ai giudici, non esprime l’offesa arrecata alla dignità di ogni donna; sussurra parole generiche invece di esprimere una vera forte denuncia della situazione e del retroterra culturale ed etico che ne stanno alla base». Insomma, «le parole flautate del Presidente della Cei sono così interpretabili a piacimento e a proprio favore da opposte aree culturali e politiche presenti nella società italiana». Una diplomazia che stride con le scelte fatte «ai tempi del referendum sulla legge 40, per il Family Day, contro i Dico ed ora a difesa della proposta di legge sul testamento biologico».

Don Paolo Farinella, sul sito di MicroMega è ancora più duro: «Il cardinale aveva promesso di parlare in Consiglio permanente, suscitando attese e per una volta facendo stare Berlusconi sulla graticola un par di giorni. Alla fine ha fatto i gargarismi di acqua e alloro o come scrive una mia amica “all’acqua di rose”. Lo stile del linguaggio è il solito, àulico, infarcito di domande retoriche, incisi, citazioni e autocitazioni: un discorso decoupage, senza anima e senza sentimenti».
«Da più parti della Comunità ecclesiale si sono levate voci di “disagio diventato disgusto” nei confronti di quelle che Famiglia Cristiana chiama le “notti di Arcore” e al tempo stesso è stato espresso forte disagio per la “timidezza” con cui la Cei e la Santa Sede hanno affrontato la situazione», hanno scritto le Comunità di Base Italiane (www.cdbitalia.it). Le Cdb invitano tutta l’area del “cattolicesimo del disagio” «ad una seria riflessione sulla qualità dell’impegno intraecclesiale che non può limitarsi a elevare qualche critica occasionale verso scelte inopportune o errate delle autorità ecclesiastiche cattoliche». Gli anni trascorsi dimostrano infatti che «non è servito impegnarsi nel sociale senza toccare se non marginalmente la struttura ecclesiastica, mentre nel dopoconcilio veniva fatto il vuoto intorno alle esperienze conciliari più vive, che spesso venivano lasciate sole a subire, una dopo l’altra, la repressione e dalle quali si prendevano le distanze». Per questo, «la drammatica crisi che la società e la Chiesa italiane stanno vivendo può essere anche occasione per i cattolici conciliari di maturare la consapevolezza che non è sufficiente la critica, opportuna e necessaria, ma è necessaria anche l’assunzione di responsabilità nella gestione della Comunità ecclesiale esercitando fino in fondo ruoli e funzioni che il Concilio ha affidato al Popolo di Dio».

I cattolici, dal “disagio” allo sgomento
E che il “disagio” tra i cattolici, intanto, raggiunga ambienti sempre più ampi del tessuto ecclesiale e livelli mai così acuti, lo dimostrano anche le parole del presidente dell’Azione Cattolica Franco Miano (Unità 24/1): «Sarebbe molto grave se le accuse a Berlusconi fossero confermate. Ma problematico è anche lo stile di vita del premier che emerge. Compresa quel ritenere che “tutto è possibile” e che “tutto si può fare”».
Ma che il clima sia radicalmente cambiato dentro l’opinione pubblica cattolica, anche quella “moderata”, lo dimostra tra le altre cose lo spazio dedicato dagli organi di informazione “istituzionali” a lettere ed interventi di lettori sul caso Ruby. Due pagine intere su Famiglia Cristiana (27/1). «La misura era colma. Così come l’indignazione. Al punto che era impossibile tacere di fronte alle squallide vicende del presidente del Consiglio. Accusato dalla Procura di Milano di concussione e prostituzione minorile. Lo sgomento dei cittadini è palpabile. Quello dei cattolici ancor di più, ormai inarrestabile», spiega il direttore del settimanale, don Antonio Sciortino. Ed eccolo, lo sgomento dei lettori: «Un “piccolo uomo” che, incurante del dovere del buon esempio, fornisce prove amorali. Squallore e depravazione rendono bene l’immagine. La “mia” Chiesa deve prenderne, con forza, le distanze», scrive ad esempio Leo. «Non giudico nessuno, ma il “caso Ruby ” ha raggiunto livelli di “sudiciume morale” incredibili. Non trovo altri termini», aggiunge Anna. Mentre Luciana, disorientata, si chiede: «Al Vaticano stanno più a cuore gli “atei devoti”, specie se potenti, o i fedeli “poveri di spirito” del Vangelo? Le cronache di questi giorni, come credenti ci impongono una chiara presa di posizione. Tacere è connivenza». E Fausto, assai più disilluso: «Cosa deve ancora succedere perché la Chiesa prenda una posizione più netta? Sono sconfortato da tanta diplomatica prudenza. Se si ha paura a parlare chiaro, non si è vere guide. Il Vangelo non è diplomatico, indica la verità e la testimonia». Con il silenzio, al contrario «si legittimano comportamenti immorali e anticristiani. Povero mondo cattolico, così supino e incerto!». Non ha avuto la fortuna di venire pubblicata la lettera inviata dal coordinatore nazionale di Pax Christi don Nandino Capovilla ad Avvenire: «Il mio disagio è diventato disgusto e interpreto ormai ogni silenzio, inevitabilmente, come un tacito consenso», ha scritto don Nandino (17/1). Per questo, ha aggiunto, «non possiamo più tacere», né «barattare un sostegno alla nostra presenza cristiana nella società italiana in cambio del silenzio di fronte all’arrogante degrado del potere istituzionale». «Il presidente del Consiglio potrà continuare ad andare orgoglioso del suo stile di vita, ma se noi pastori l’approviamo, diventiamo responsabili di una degenerazione morale dalle conseguenze incalcolabili, non solo legate alla morale sessuale, ma a una serie consequenziale di aspetti fondamentali della vita: il valore della persona umana, il rispetto della donna, l’educazione alla legalità, il rispetto e la cura per i giovani».

Sentenza già scritta nella coscienza dei credenti
A quei “cattolici berlusconiani” che si sono rivolti all’opinione pubblica con una lettera aperta nella quale mettono in guardia contro la “gogna mediatica” e contro “l’onda nera” che sta travolgendo il presidente del Consiglio sceglie invece di rivolgersi Agire
Politicamente. «D’accordo sulla trasformazione impropria dei mezzi di comunicazione di massa in un “tribunale” che ora condanna, ora assolve (a parte la domanda, riteniamo legittima, su chi comanda nel grande teatro dei media e sull’obiettività di quella informazione di cui oggi Berlusconi si dichiara vittima) ma, sia pure in attesa del processo, alcune puntualizzazioni si impongono». Un processo, in ogni caso, può tutt’al più stabilire «se Berlusconi è colpevole o innocente dei reati che gli vengono attribuiti (concussione e corruzione di minorenne)», ma «non potrebbe dissolvere le nubi che si sono addensate sul Cavaliere di Arcore», né modificare l’immagine che «offre all’opinione pubblica di altri Paesi un capo di governo che dà di se, indipendentemente dal fatto di commettere o meno un reato, uno spettacolo così squallido». «Verrà, se verrà, la sentenza dei giudici – è la conclusione di Agire Politicamente -; ma già è scritta nella coscienza della maggior parte degli italiani questa radicata convinzione: che un così fatto individuo non è degno di rimanere alla guida del Paese. Lo dovrebbero riconoscere quanti, anche cattolici, lo hanno votato e si sono a lui affidati».

Parole ancora più dure quelle di don Aldo Antonelli, parroco di Antrosano: «Questo letamaio in cui siamo affossati, non ci sono prudenze che tengano, né pazienze che si ammantino di virtù, né attese di dignità. Lo scandalo è talmente acclarato e invasivo ed eversivo che solo dei gesti eclatanti e clamorosi possono destare il risveglio e riscattare la chiesa dal suo silenzio ibernale e, a questo punto anche, mafioso», ha detto il prete, che ha dato seguito alle sue parole affiggendo un manifesto a lutto per l’Italia e per la Chiesa davanti alla chiesa di Antrosano.

Ma dalla gerarchia, qualche voce fuori dal coro delle parole caute, pronunciate con labbra imburrate c’è. Come quella di mons. Raffaele Nogaro, vescovo emerito di Caserta, sulle pagine del numero monografico di MicroMega (1/2011) dedicato al berlusconismo: «La Chiesa non reca salvezza se rimane collegata agli interessi di classe, di razza e di Stato. Non porta salvezza se è complice dell’ingiustizia e della violenza istituzionali. La Chiesa non può rimanere in rapporto con i poteri oppressivi, col rischio di diventare egoista e indifferente, priva di amore e vergognosamente timorosa». E se «La Chiesa può sbagliare solo per amore dell’amore» oggi che «buona parte del nostro popolo pensa che la corruzione e il malcostume che oggi affliggono l’Italia vengono assecondati dall’attuale governo» questa Chiesa «non può tenere rapporti di amicizia con esso».

(6 febbraio 2011)

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