La moneta non costa nulla. Con la monetizzazione degli eurobond vincerebbe tutta l’eurozona

Enrico Grazzini


Nel suo intervento alla televisione pubblica tedesca ARD il premier Giuseppe Conte rivolgendosi ai cittadini tedeschi ha spiegato che, di fronte alla crisi sanitaria ed economica che colpisce tutte le nazioni europee, è necessaria la massima cooperazione e sono indispensabili ingenti investimenti comuni. Conte, cercando di convincere i cittadini tedeschi, ha fatto un’affermazione impegnativa ma corretta: se verranno create obbligazioni europee comuni – gli eurobond, o la loro forma più limitata, i Covid-bond, mirati ad affrontare l’emergenza sanitaria ed economica – i cittadini tedeschi non perderanno un solo euro. L’affermazione di Conte è assolutamente veritiera. Se verranno emesse obbligazioni comuni europee i contribuenti tedeschi non sborseranno un soldo per “aiutare” gli italiani, così come del resto non hanno pagato di tasca loro la crisi della Grecia o la crisi delle banche europee dopo la bolla dei subprime.

La moneta non costa nulla: gli eurobond non pesano sui contribuenti europei

Infatti la Banca Centrale Europea – come del resto tutte le banche centrali del mondo – “stampa soldi” a costo zero. La moneta fiat è fatta di bit o di carta ed è garantita solo dall’autorità degli stati e non da altri beni fisici scarsi e preziosi, come l’oro: quindi per sua natura può essere “stampata” a costo zero e in maniera illimitata, o meglio, nella misura necessaria per risolvere le crisi e sviluppare l’economia.

La moneta fiat viene creata dal nulla e non costa nulla a nessuno. Può sembrare un concetto anarcoide e scandaloso, ma creare moneta dal nulla – come spiega la Banca d’Inghilterra – è quello che la Banca Centrale Europea, le banche centrali di tutto il mondo e le banche commerciali fanno normalmente tutti i giorni[1]. La moneta ha inoltre un potere magico: infatti – come ha spiegato J.M. Keynes molti anni fa – è un combustibile indispensabile per accendere il motore dell’economia. La moneta viene immessa nell’economia tramite tre canali: le banche, la spesa pubblica e l’export. Se però questi canali non funzionano, o funzionano male, se quindi non viene immessa sufficiente moneta-benzina, il motore si spegne o va a singhiozzo, come è successo nell’eurozona in questi anni.

La moneta non può fare crescere altra moneta, come vorrebbe la speculazione finanziaria. Però ha il potere enorme di attivare il sistema produttivo fino alla piena occupazione. I contribuenti non pagano nulla se la BCE immette nuova moneta nell’economia. Quindi la BCE potrebbe emettere moneta e finanziare i costi immediati della crisi sanitaria e economica, e poi anche gli investimenti per fare ripartire l’economia, senza che nessuno perda un centesimo. Potrebbe acquistare le obbligazioni europee, i Covid-bond o gli Eurobond, senza pesare minimamente sui contribuenti europei.

C’è già un esempio illuminante: con il Quantitative Easing, il piano di espansione monetaria avviato nel 2015, la BCE ha creato, e sta tuttora creando, circa 3000 miliardi di euro a favore delle banche, comprando da loro i titoli di stato. Ma nessun contribuente ha pagato per salvare le banche, né i tedeschi né gli olandesi, né gli spagnoli o gli italiani. La BCE non prende soldi dai bilanci degli stati ma crea moneta dal nulla, come tutte le banche centrali. Casomai distribuisce agli stati membri i “profitti” derivati dalla sua attività di signoraggio, cioè dalla creazione di moneta.

La moneta è magica. È una delle meraviglie del capitalismo. Emettere moneta non costa nulla ma accende l’economia. In realtà l’emissione di valuta comporta due altre conseguenze che possono essere positive o negative a seconda delle circostanze. Queste due conseguenze sono l’inflazione – se la produzione non riesce a tenere il passo con l’aumento della massa monetaria – e la svalutazione. In questa fase inflazione e svalutazione sarebbero benvenute per l’eurozona perché accompagnerebbero la ripresa della produzione, e quindi dei redditi e del benessere comune.

È quindi pretestuoso, e anzi assolutamente falso, affermare – come fanno i governi tedesco e olandese, e in Italia gli economisti e i grandi editorialisti liberal-liberisti – che lanciando nuovi strumenti come gli eurobond i contribuenti della Germania o dell’Olanda perderebbero qualcosa e trasferirebbero le loro sostanze ai paesi cosiddetti “periferici”. La condivisione almeno parziale dei deficit e la loro monetizzazione – ovviamente se condotta con i giusti criteri – ha un costo pari a zero, anzi tutti potrebbero guadagnare enormemente dagli eurobond e dal rafforzamento della moneta europea. La scelta su “se, come e quanto” finanziare gli Eurobond o i cosiddetti Covid-bond è quindi una decisione esclusivamente politica che dipende dagli interessi (divergenti) dei governi dell’eurozona.

La politica mercantilistica e neo-colonialista della Germania

Il problema è che il governo tedesco ha sempre inteso vincere la concorrenza con i “partner” (?) europei utilizzando l’euro come arma competitiva. Infatti l’euro-marco è una moneta forte per i Paesi concorrenti della Germania (come l’Italia) e quindi frena le loro economie, mentre per la Germania l’euro è una moneta debole, con minore valore rispetto al vecchio marco, e quindi fa correre la sua economia e facilita l’export.

La Germania, grazie alla moneta unica europea, ha raggiunto un gigantesco surplus commerciale. Inoltre ha acquisito un altro formidabile vantaggio competitivo: nelle crisi i capitali fuggono verso i paesi più ricchi, quelli considerati sicuri, come la Germania. Non a caso lo stato tedesco si indebita a costo zero, mentre al contrario lo spread – il differenziale di costo del debito – aumenta per i paesi del sud dell’Europa. Non c’è quindi alcun dubbio che l’economia tedesca sia quella che guadagna di più dall’esistenza dell’euro e che avrebbe tutto da perdere se l’euro cadesse. Il governo tedesco, grazie alla moneta unica e attraverso l’imposizione di politiche di austerità, ha finora di fatto soffocato le economie concorrenti.

Quella tedesca è però una strategia miope, di breve periodo, mercantilistica, del tipo “fotti il tuo vicino”, che mette continuamente a rischio l’esistenza stessa dell’eurozona e dell’Unione Europea. Una strategia che, per la prima volta, il governo del premier Conte ha messo finalmente in discussione. “La crisi del coronavirus è un appuntamento della storia, nessuno può addebitarci la colpa di questa crisi, è necessaria la massima cooperazione”.

Il premier Conte, con il presidente francese Emmanuel Macron, il premier spagnolo Pedro Sanchez e i leader di altri sei Paesi europei[2], ha invocato per l’eurozona una sorta di piano Marshall, di espansione e di investimenti non solo per affrontare l’emergenza della crisi sanitaria in corso ma anche per rendere l’Europa più competitiva con gli Stati Uniti d’America e la Cina.

Conte, Macron, Sanchez, di fronte alla crisi comune del coronavirus, chiedono che tutti gli stati dell’eurozona siano uniti, emettano obbligazioni comuni con la garanzia e la copertura della BCE per accedere più facilmente, con maggiore forza negoziale, e su un piano di eguaglianza, ai finanziamenti di mercato.

Germania e Olanda non vogliono invece alcuna condivisione d
ei costi e dei finanziamenti. Hanno un debito pubblico inferiore al 60% del PIL e possono quindi permettersi di coprire con le loro proprie forze le ingenti spese necessarie per affrontare l’emergenza sanitaria e i costi economici della crisi.

La strategia del governo Merkel è piuttosto quella di dominare le altre nazioni dell’euro grazie al Meccanismo Europeo di Stabilità, un organismo intergovernativo detto anche Fondo salva-Stati e locato nel paradiso fiscale del Lussemburgo. Il MES a guida tedesca – che tra l’altro è finanziato anche dall’Italia con oltre 14 miliardi – potrebbe disporre complessivamente di circa 400 miliardi di euro per affrontare la crisi, ma pone pesanti condizioni e limiti di sovranità agli stati che vi ricorrono.

L’errore della Merkel (e del suo stretto alleato olandese) è di credere che l’Italia, in disperata cerca di finanziamenti per superare la crisi in corso, possa accettare vincoli draconiani e si faccia mettere sotto sorveglianza come è stato per la Grecia. In Grecia il MES è intervenuto con i suoi “aiuti” contribuendo a fare precipitare il PIL del 25%, ad aumentare il debito su PIL fino al 180%, e a spogliare le risorse del Paese. Un disastro orribile che l’Italia non può e non deve accettare. Qualsiasi governo che accettasse queste forche caudine verrebbe cacciato con i forconi.

L’eurozona è così diventata esplicitamente quello che è sempre stata: un campo di battaglia tra potenze con interessi divergenti. Francia, Italia e Spagna però non sono la Grecia e non sarà facile piegarle. Se la Germania non trova un compromesso decente l’euro potrebbe cadere.

I debiti pubblici saliranno alle stelle

A causa della crisi sanitaria e delle fermate produttive le spese pubbliche e i deficit di bilancio cresceranno a dismisura, per migliaia di miliardi in tutta Europa e nel mondo. I mercati non potranno reggere di fronte all’onda d’urto delle richieste di denaro. Dovranno selezionare a chi dare soldi e a chi no. Gli stati con livelli eccessivi di debito pubblico pregresso – come l’Italia, che ha già maturato un debito del 135% sul PIL – avranno difficoltà crescenti a finanziarsi sul mercato. Alcuni stati dell’eurozona potrebbero fallire e l’euro potrebbe cadere.

Gli stati avranno bisogno di fiumi d denaro per aumentare la spesa pubblica, finanziare le famiglie e le imprese, soprattutto piccole e medie. Per gli stati la nuova normalità sarà quella di avere un debito pubblico pari a circa il 150% del Pil[3].

È difficile che i mercati possano reggere questa onda d’urto. Alcuni stati verranno finanziati, altri sono a rischio di fallimento. Per quanto riguarda l’Italia, Goldman Sachs ha previsto che il rapporto debito/PIL dell’Italia quest’anno salirà al 161%. Il Pil italiano potrebbe cadere del 10%. La banca d’investimento prevede che anche Francia e Spagna supereranno alla grande il 100% di debito su PIL. Sui mercati la lotta diventerà strenua, per la vita o la morte. Da qui sorge la necessità che la BCE “monetizzi” i debiti crescenti degli stati, cioè stampi moneta a loro favore.


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La sfida europea è aperta: Macron e Conte hanno dalla loro parte la BCE

La partita europea è aperta ad ogni possibile risultato. La carta vincente dell’Italia è l’alleanza con la Francia. Per la prima volta la diarchia che domina l’eurozona, quella tra Germania e Francia si è spezzata. Le due nazioni più potenti e ricche sono su fronti contrapposti. E la carta vincente della Francia è la sua forte influenza sulla BCE.

Francia, Italia e i paesi del sud Europa possono vincere perché Macron si è assicurato un forte potere di condizionamento sull’unica istituzione europea che forse conta più del Bundestag: quella che emette la moneta comune. Dalla parte di Macron non c’è solo la presidente francese della BCE, Christine Lagarde: nel comitato esecutivo della banca tre membri su cinque sono senz’altro a suo favore. Uno è spagnolo, uno del Lussemburgo, un altro è l’italiano Fabio Panetta; sull’altra sponda c’è la rappresentante tedesca e quello dell’Irlanda.

In uno scenario estremo, ma possibile, Italia, Francia, Spagna e gli altri paesi del Sud – seguendo per esempio il suggerimento dato anche da Wolfgang Munchau sul Financial Times[4] – potrebbero emettere di titoli di debito comuni e accordarsi con la BCE per farli acquistare a bassi tassi di interesse; sancirebbero così definitivamente la spaccatura (che c’è sempre stata) tra i paesi dell’Euro. È comunque anche possibile che alla fine di questa disputa le negoziazioni portino a un compromesso, anche perché la Germania avrebbe molto da perdere da una rottura brusca dell’eurozona.

Al bivio: la UE verso la cooperazione o la disintegrazione

Se l’Unione Europea non avvierà iniziative al livello necessario per superare la crisi perderà ogni legittimità di fronte all’opinione pubblica e l’onda grigia dei partiti ultra-nazionalisti e sciovinisti di destra sommergerà i paesi europei, Italia compresa. Se la UE non sarà in grado di rispondere unitariamente alla crisi sarà travolta. Ancora una volta la Germania potrebbe essere causa principale di una drammatica divisione europea. Se non prevarrà la coesione, prevarranno allora nei singoli Paesi spinte ultra-nazionalistiche, “sovraniste”, isolazioniste, destinate a cercare di affrontare la crisi in maniera autoritaria. Non a caso Mario Draghi nel suo recente intervento sul Financial Times a proposito della necessità di sostenere in ogni modo la rapida crescita dei debiti pubblici, ha evocato gli anni ‘20 del secolo scorso, quelli che portarono al fascismo e al nazismo[5].

NOTE

[1] Bank of England, Quarterly Bulletin 2014 Q1, “Money creation in the modern economy”, Michael McLeay, Amar Radia and Ryland Thomas of the Bank’s Monetary Analysis Directorate

[2] Belgio, Portogallo, Irlanda, Grecia, Slovenia e Lussemburgo

[3] Reuters, 26 marzo 2020 “Breakingviews – Why 150% is the new 100% for public debt/GDP

[4] Wolfgang Münchau, Financial Times “Go-it-alone eurozone ‘coronabonds’ are worth the risk” 29 marzo 2020

[5] Financial Times, Mario Draghi: “We face a war against coronavirus and must mobilise accordingly”. Marzo 25 Nell’articolo Draghi ha scritto: “The loss of income is not the fault of any of those who suffer from it. The cost of hesitation may be irreversible. The memory of the sufferings of Europeans in the 1920s is enough of a cautionary tale.”





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