La morte di Eluana tra retorica e speculazione
di don Raffaele Garofalo
Eluana è morta. Sono cominciate le manifestazioni di sincero dolore per una vita che non c’è più. Purtroppo continuano anche le operazioni di sciacallaggio di coloro che usano la vicenda per scopi diversi da quell’ ”amore per la vita” che non dimostrano in altre circostanze, ancora più gravi, in cui l’esistenza delle persone è messa quotidianamente a repentaglio. Le suore misericordine hanno svolto con amorevole sollecitudine il loro compito, corrispondente alla finalità dell’Ordine, attuando l’autentica “compassione del cuore” verso la sfortunata ragazza. Nei 15 anni di continua assistenza avranno pregato il loro Dio di liberare Eluana da quella condizione che aveva tutte le apparenze della morte. Sarà capitato anche alle buone sorelle, come capitò a Cristo sulla croce, di avere sperimentato l’”abbandono” di Dio, di aver chiesto al Padre perché loro fossero tanto brave a mettere in pratica la misericordia in Suo nome e Lui si mostrasse così assente, neutrale. Gli interrogativi che hanno accompagnato la vita di molti santi, avranno sfiorato anche i pensieri di religiose che certamente non si rassegnano davanti al male degli altri che permette loro di esercitare la misericordia. Eluana aveva capito il senso cristiano di una morte che fa parte della vita perché è Dio che ha destinato l’uomo a morire, non lo ha deciso il Presidente di un Tribunale né il Presidente della Repubblica: nessuno può presumere di “salvare” una vita non più vissuta nella sua pienezza. Il delirio di onnipotenza del presidente del Consiglio e il moralismo astratto dei monsignori del Vaticano non devono sentirsi autorizzati a decidere per gli altri: tocca all’individuo scegliere il suo ultimo destino. Anche il credente, come estremo atto di fede, deve poter stabilire legittimamente se “tornare alla casa del Padre”. Le suore dedite alla loro missione hanno espresso un sentimento di solidarietà umana alla famiglia, con apprezzata discrezione, mentre il mondo della politica ha offerto uno spettacolo deprimente di ipocrisia e di speculazione. Si autoproclama per la “cultura della vita” chi si onora dell’amicizia di un ex agente Kgb che ordinava massacri in Cecenia e non solo; chi familiarizza con un ex presidente degli Stati Uniti che mantiene la pena capitale nel suo civile Paese, che sfida le convenzioni internazionali facendo torturare i prigionieri a Guantanamo e Abu Graib tollerando ogni abuso, calpestando la dignità della persona umana, che ordina i bombardamenti sull’Iraq causando la morte di decine di migliaia di civili. Costoro sono per la “cultura della morte” e invocano Dio dalla loro parte. Le loro mani non vengono dichiarate “assassine” ma strette calorosamente. Ipocrisia anche in Vaticano ove il presidente Bush viene accolto con onore e a lui si stringe la mano non ritenuta assassina mentre assassina viene definita la mano del medico che ha tolto il sondino nasogastrico ad una donna le cui terapie risultavano “sproporzionate rispetto ai risultati”, come scriveva lo stesso Ratzinger ritenendo l’azione “legittima”. ( Catechismo, Rispetto per la vita umana” 2278 ). Wojtyla condannò l’intervento armato in Iraq ma non affrontò Bush. Quando ebbe inizio l’aggressione contro Saddam il papa preferì ritirarsi in Vaticano e rimettere gli eventi nelle mani di Maria Santissima. Ratzinger ha condannato la strage di innocenti a Gaza e altrove ma non ha definito omicida la mano di Israele o di altri. E’ da irresponsabili ritenere criminali le mani di medici che aiutano a vivere tante persone: si tratta invece di abilitare ora quelle mani ad aiutare anche a morire, con dignità, come voleva la ragazza che ripetutamente aveva espresso il desiderio di rifiutare uno stato di vita vegetativo permanente. Educata dalle suore Eluana aveva interiorizzato che la morte è la nascita alla vera vita. Il suo caso ha messo in luce ulteriormente la cattiveria e la stupidità umana che portano ad infierire su un corpo in disfacimento per meschini interessi di potere o per salvare principi astratti che “impongono pesi insopportabili” sulle spalle degli altri. L’amore per la vita lo ha dimostrato Beppino Englaro che, per 17 anni, ha visto la figlia in condizioni peggiori dello stesso morire. Avrebbe potuto soddisfare le aspettative di Eluana togliendole il sondino, in privato, molti anni prima ma il signor Englaro, “eroe di una battaglia civile”, come lo ha definito Stefano Rodotà, ha inteso rispettare la legge e garantire a molti la libertà di scelta del proprio ultimo destino. In omaggio ad una figlia da lui definita “purosangue della libertà”. Certi saltimbanchi del Governo e del Parlamento che anni fa istigavano a sparare sugli scafisti o sul ladro che varca l’uscio di casa, ora si fanno paladini della cultura della vita. La tutela della vita non si misura ad intermittenza solo nella vita che nasce e in quella che si arrende in un letto di morte, ce n’è una vita intermedia di cui la politica non si fa carico. Va difesa la vita nelle sacche di povertà umana ove non si riesce a sopravvivere e non ci si può curare perché clandestini e braccati o si è rinchiusi nei Cpt in condizioni degradanti e disumane. Gli embrioni, tanto tutelati in provetta, una volta cresciuti, possono essere bruciati vivi, oltraggiati e soppressi senza scrupoli. E’ per la cultura della vita un Governo che pone ostacoli alla ricerca sulle cellule staminali che potrebbero sconfiggere malattie gravi? Tante famiglie che vogliono ricorrere alla fecondazione assistita esprimono “amore per la vita”. Berlusconi cerca consensi Oltretevere e nel mondo cattolico mentre il suo Governo invita i cittadini alla barbarie, ad essere “cattivi”con le vittime dell’immigrazione, con i più deboli. La vita si difende schierandosi contro le guerre e le operazioni militari. Wojtyla, sempre presente in ogni parte del mondo, nel febbraio 2003, non si recava personalmente alla Casabianca né a Baghdad per fermare una aggressione militare che avrebbe causato decine di migliaia di morti. Ratzinger in Israele, dopo aver venerato le pietre che ospitarono di passaggio il corpo del Maestro, avrebbe potuto varcare le porte delle stanze ove si premono i bottoni di operazioni militari devastanti. Papa Leone I uscì dal Palazzo per affrontare personalmente Attila e ne fermò la mano assassina, dice la Storia. Francesco d’Assisi si recò personalmente dal feroce Saladino, contro il parere dei crociati, narrano i suoi biografi, e ne uscì con doni. Erano per la cultura della vita. Altri tempi.
(11 febbraio 2009)
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