La musica interrotta

MicroMega

Una vita dedicata alla musica e poi, all’improvviso, una diagnosi che suona come una condanna: sclerosi laterale amiotrofica. Nel nuovo numero di MicroMega in edicola il racconto appassionato di un ‘musicista impertinente’, che non vuole arrendersi alla malattia e alla deriva del paese in cui vive: “Il ‘pregio’ del mio progressivo immobilismo è di aver risvegliato, ancora di più, la mia coscienza”.

di Paolo Di Modica, da 2/2009, in edicola

«Dottore, ma qual è il mio problema?».
«Malattia del motoneurone!», mi aveva risposto en passant, il neurologo da me interrotto nella sua amabile conversazione tra colleghi lungo il corridoio del reparto di Neuroscienze dell’Ospedale Fatebenefratelli di Roma, come se fosse un semplice raffreddore!
«Vabbè dottore, se il problema al mio mignolo si chiama così…».
«Si, però non s’affatichi!».
«Affaticarmi? Dottore, io devo soltanto suonare, per me non è affatto faticoso…».
Tornato a casa dall’ospedale ovviamente la curiosità mi ha portato a interrogare la rete sulla malattia del motoneurone: «Malattia del Motoneurone meglio conosciuta come sclerosi laterale amiotrofica (Sla) è la più grave fra le malattie mortali che colpiscono i motoneuroni, ovvero le cellule nervose del cervello e del midollo spinale che comandano il movimento dei muscoli…». Semplicemente una terribile sentenza… di condanna a morte!
Da allora il mio mondo ha iniziato a rallentarsi. Io, emulo di Pan, differentemente dal satiro sto vivendo la mia metamorfosi.
Per trent’anni la musica ha occupato la mia vita. Avevo 12 anni quando intrapresi gli studi musicali, affascinato dal potere magico del flauto, dalla ricchezza di nuances e dalla flessibilità del suo suono immateriale e ricco di mille colori.
Vivevo in Italia da circa 8 anni, da quando, piccolino, i miei genitori, ristoratori a Santa Monica in California, a causa di problemi di salute avevano deciso di affidarmi, per un breve periodo, che invece dura tutt’oggi, ai miei zii che vivevano in un piccolo paese alle pendici della Maiella in quella splendida parte dell’Abruzzo aquilano. Un piccolo emigrante al contrario!
E per un bambino vivere in un angolo di paradiso dove tutti conoscono tutti, dove allora all’imbrunire potevi incontrare il pastore e le sue pecore tornare all’ovile o il contadino a dorso d’asino rincasare stanco dopo una giornata di lavoro nei campi, oppure prendere a pallonate le galline della vicina che temerarie avevano invaso il «nostro» campo di calcio nella piazzetta davanti casa, tutto questo era un sogno. In alternativa c’era la vita nella già metropoli Los Angeles dove i miei genitori erano immersi per tutta la giornata nel loro ristorante ad accogliere la celebre clientela, Tony Curtis, Dean Martin, Marylin Monroe e Joe Di Maggio… e io in casa davanti alla tv affidato alla baby-sitter alcolista che, amorevolmente, ogni tanto mi coinvolgeva nelle sue bevute. E la vita nella nostra villa di San Bernardino sfiorava quella di migliaia di giovani che, dalla locale base militare, partivano per l’assurdità politica del Vietnam.
Così ero cresciuto nell’incanto di un mondo che ancora resisteva al risucchio del vortice della contemporaneità, serenamente con gli zii, che placavano i miei capricci con l’ipotesi di rispedirmi a casa dai miei che ora vivevano nella New York degli anni Settanta.
E poi, contagiato dallo zio Italo musicista per diletto, l’inizio degli studi musicali, il Conservatorio a L’Aquila e l’incontro con Marianne Eckstein, erede della grande scuola flautistica tedesca di Gustav Scheck, che segnerà decisamente la mia formazione musicale e umana. Attraverso un metodo di studio rispettoso e analitico, ho avuto l’incommensurabile privilegio di potermi confrontare con l’assoluta purezza della musica di Johann Sebastian Bach, e poi Mozart, Debussy e tanti altri. Un insegnamento prezioso che mi ha fornito cognizioni e orizzonti tali da consentirmi poi, nello studio quanto nella professione, autonome e costanti riflessioni, fatte anche attraverso l’attenta osservazione degli altri ambiti artistici; e la consapevolezza di non sentirsi mai sazi di fronte al sapere, in un interminabile viaggio verso la conoscenza e la maturità.
Eravamo un gruppo di amici, più o meno coetanei, che avevano deciso di votarsi alla musa Euterpe, e nella piccola e bella Sulmona cercavamo di ritagliarci il nostro spazio.
C’era un bel fermento culturale a Sulmona in quella fine anni Ottanta, noi giovani, nella nostra ingenua e sfrontata arroganza avevamo aperto scuole di musica, organizzato corsi di perfezionamento con concertisti di fama internazionale, e tanta musica, tanta attività musicale.
Io ero tutto preso dal mio sogno di costituire un’orchestra sinfonica nella mia città, difatti nel 1989 era nata l’Orchestra sinfonica sulmonese!
Eravamo riusciti a convincere il gruppo dirigente della Camerata musicale sulmonese, che dal dopoguerra organizza ancora oggi una stagione di concerti, ad accogliere nel loro ambito una realtà nuova, non più solo di fruizione ma anche di produzione.
L’orchestra, con l’entusiasmo del suo presidente, il professor Paolo Spigliati, medico fiorentino colto e illuminato, e l’entusiasmo di giovani musicisti, grazie anche al concorso lirico Maria Caniglia, si caratterizzava sempre più come orchestra lirico-sinfonica, tanto che si pensò di trasformare ambiziosamente il progetto in un vero teatro lirico sperimentale, laboratorio per orchestrali, cantanti, maestranze teatrali, soprattutto per valorizzare lo splendido teatro comunale, un teatro all’italiana (nel senso nobile del termine) che benemeriti sulmonesi avevano fatto costruire nel 1933. Pensavamo che un simile gioiello, poiché di questo si tratta, il più grande della regione, meritasse un’attività artistica degna, che producesse cultura, con possibilità lavorative per giovani artisti e un indotto per la città. Il sogno si interruppe, inspiegabilmente (o forse no); non ci si rese conto allora, e probabilmente ancora oggi, delle immense possibilità che un simile spazio avrebbe potuto offrire alla comunità. La lirica in Abruzzo intanto è approdata su altri lidi, a pochi chilometri di distanza, nella città marrucina; a onor del vero, un ultimo tentativo di valorizzare la struttura fu fatto da una giovane e competente assessore alla Cultura con un progetto valido e originale, legato alla prosa però, ma il tempo non le ha dato ragione.
Purtroppo la sacralità di un teatro per un artista, l’amore e il rispetto per il luogo Sancta Sanctorum dell’arte, potrà mai essere compresa da una politica miope, incapace di sfruttare le immense ricchezze del nostro territorio, così ricco di storia e tradizioni? È di moda ormai concepire la cultura soltanto come evento: ossia bruciare risorse economiche in poche ore, che invece garantirebbero diversamente una programmazione a più lungo termine; e visibilità: la loro, per impressionare l’elettorato con il classico specchietto per le allodole. La politica culturale è politica pura ancor più della politica, non si occupa dei problemi oggettivi della gente e non dà la visibilità di cui sopra, ma è attraverso di essa che si può ambire a una crescita soci
o-culturale del tessuto sociale di una comunità. È difficile da capire, o forse no, semplicemente perché questo creerebbe un’autentica coscienza critica e questo è realmente pericoloso! Ricordo con amarezza quante volte il maestro Uto Ughi, per citarne uno su un milione, abbia gridato che «l’evento è la tomba della cultura!».
Per anni ho creduto, ho lottato con la mia musica volendo ideologicamente contribuire a un mondo migliore, dalla prima esperienza, giovanissimo, con l’Orchestra sinfonica sulmonese fino all’ultima mia scommessa con la Stagione concertistica del teatro Tosti di Castel di Sangro. Anni trascorsi tra concerti e organizzazione di festival e rassegne a dare il mio contributo alla lotta per mantenere desto l’interesse verso le arti, sempre più ai margini del tessuto sociale in un paese dimentico della sua storia.
Quanta difficoltà nel relazionarmi, farmi comprendere o semplicemente comunicare l’importanza di questi concetti alla quasi totalità di sedicenti assessori, sindaci, presidenti di provincia! E quanto diversa è stata, per esempio, la mia esperienza a Istanbul, nel centro culturale Borusan dove, durante una tournée con il mio trio, la comunione di spirito fu immediata, nonostante le difficoltà della lingua. Nell’antica e nobile Bisanzio ho lasciato un piccolo pezzo del mio cuore, più che altrove, affascinato dagli antichi fasti e dalla genuina e sincera ospitalità della gente turca. Prezioso bagaglio culturale, porto con me il ricordo indelebile di ogni luogo dove l’arte da me frequentata mi ha condotto, potendo contare sul più universale dei linguaggi, facendomi sentire orgogliosamente cittadino di un mondo senza confini. Ed è per questo che sento New York, crogiuolo multietnico, la mia città d’elezione, e dove, con mia moglie, avevamo pensato il nostro futuro più immediato all’indomani del nostro matrimonio.
Nel settembre 2007 avrei dovuto iniziare un master nel campo dell’organizzazione artistica presso la New York University, e invece, nel giugno 2007, il fragore dei miei sogni si è improvvisamente interrotto in un silenzio assordante con quella sentenza gettata lì, distrattamente, in un corridoio d’ospedale.
Ora la mia musica è silenziosa, i miei movimenti sono lenti e le mani non corrono più sulle chiavi d’argento, ma il mio pensiero è vivo più che mai, ed è un pensiero arrabbiato.
Dal giorno della diagnosi non ho fatto altro che riscontrare con la mia disabilità in progress tanti disagi, tante piccole situazioni che hanno umiliato il mio essere ora «diverso»; inevitabilmente osservo tutto, il mondo come la semplice quotidianità, da un altro punto di vista che è quello del disabile.
La suprema ironia di essere ora diversamente abile sta nel non essere riconosciuto come tale dalle istituzioni. Per la V Commissione invalidità civili della Asl Avezzano-Sulmona non sono un invalido. Che bella notizia, ma quanto vorrei fosse vero!
Purtroppo i neurologi (!) della V Commissione, sprezzanti tra l’altro delle conquiste, in materia, di Luca Coscioni, non hanno a che fare ogni giorno con una malattia che non concede tregua, eppure dovrebbero conoscere il significato che in neurologia ha la parola «progressiva»!
Perché la Asl di Sulmona non si chiede piuttosto come mai in un piccolo paese come Pacentro, il paradiso della mia infanzia, circa 1.200 abitanti, vi sono stati 2 casi di Sla (ossia lo scrivente, 44 anni, e l’amico Bruno, 51 anni, deceduto nell’ottobre 2008), una malattia la cui incidenza è di 2 casi ogni 150 mila abitanti?
C’entra qualcosa il fatto che nei miei tessuti, in seguito a un mineralogramma fatto su un campione del capello, sia stata riscontrata una presenza spaventosa di mercurio? Facevo il musicista tra i monti e non il pescatore! E allora da dove viene quel mercurio? Per dovere di cronaca, nessun neurologo, nessun luminare della neurologia ha preso in considerazione questo dato, eccetto un giovane ricercatore che segue la mia riabilitazione.
O è forse normale che sempre nello stesso paese nel 2003 si siano verificati undici aborti spontanei, nessuna gravidanza portata a termine quell’anno e a settembre, per la prima volta, non ci sarà una prima elementare a Pacentro?
Forse nessuno dei due fatti è collegato con i tantissimi casi di tumori e leucemie in piccoli centri abitati a ridosso del Colle San Cosimo, nelle vicinanze di Sulmona, e nella stessa Sulmona, con una incidenza che è quasi il doppio del resto della provincia, o forse sì? Mi chiedo, sono competenze della Asl oppure la Asl è oberata di lavoro nell’occuparsi esclusivamente delle importantissime norme igieniche delle sagre paesane del comprensorio peligno?
Il «pregio» del mio progressivo immobilismo è di aver risvegliato, ancora di più, la mia coscienza. Con il Parco nazionale della Maiella, il Parco nazionale d’Abruzzo, il Parco regionale Velino Sirente, la riserva del Monte Genzana, la riserva delle sorgenti del Pescara, che praticamente circondano Sulmona e tutto il suo comprensorio, non posso non interrogarmi su queste «piccole stranezze» che accadono in un territorio incontaminato e che, spero vivamente, non nascondano preoccupanti verità.
Troppa natura, troppo territorio protetto?
Ed ecco, come l’uomo della provvidenza, arrivare in soccorso dei peligni il fratello bandiera di travagliata memoria, Franco Toto, che, per controbilanciare questa abnorme presenza di parchi naturali, propone la realizzazione di cementificio, dismessa di aeroplani, inceneritori per rifiuti ospedalieri e tante altre geniali proposte, così come si evince dal progetto presentato dalla direzione nuove iniziative della Toto Costruzioni generali al comune di Sulmona il 4 dicembre 2008: «Oggetto: investimenti produttivi» (per chi?), dove si fa presente che «l’eventuale diniego all’iniziativa costituirà motivo – seppure a malincuore – di orientamento della stessa verso siti di altri territori – alcuni in aree dell’Obiettivo 1 – i cui rappresentanti stanno rivolgendo pressanti appelli affinché gli insediamenti produttivi trovino ivi ospitalità».
Sulmonesi irriconoscenti che, con il loro tentennare, dopo Ovidio, rischiano di esiliare anche il buon Franco Toto, il quale, per il bene del comprensorio di Sulmona (area Obiettivo 2, ossia assenza di fondi comunitari), la preferisce a territori in aree Obiettivo 1 (ossia con finanziamenti comunitari), rinunciando quindi ad agevolazioni finanziarie europee. Ingrati!
La conca peligna, con montagne che la perimetrano di altezza minima di 1.800 metri garantirebbe il ristagno di salubre aria inquinata, prodotta dagli investimenti produttivi della Toto Costruzioni generali, così da riuscire a garantire performance ancora migliori nelle statistiche delle malattie rispetto ai già buoni numeri di cui ci possiamo fregiare (si può sempre fare di più…). E con un po’ di culo magari ci danno pure una delle future centrali atomiche, anche una centralina, ciliegina sulla torta! Il sommo Publio Ovidio Nasone, nei suoi Tristia, pensando alla patria lontana diceva: «Sulmo mihi patria est gelidis uberrimus undis…», potrebbe oggi dire: «Sulmona è la mia patria, ricchissima di fredde acque (privatizzate), e di cementifici, discariche e inceneritori».
Con amara ironia dico che Ovidio sia volontariamente fuggito nell’esilio di Costanza per non assistere allo scempio politico-economico-culturale della sua amata Sulmo.
Ci insegni ancora la storia, guardiamo al nostro passato per costruire
un mondo migliore per i nostri figli. La storia, la filosofia, i grandi movimenti di pensiero come, ad esempio, umanesimo e illuminismo, sono stati riassunti nel 1948, all’indomani della più grande tragedia che l’umanità ricordi, nella Dichiarazione universale dei diritti umani: «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti […] senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione». Un inno alla vita, un bellissimo canto d’amore e di fratellanza.
L’amore è intimità, la fede è amore, vorrei che la fede fosse vissuta intimamente e senza fanatiche ostentazioni. Vorrei fosse interamente riconosciuta la libertà dell’individuo all’autodeterminazione, accettando la diversità di razza, di cultura, di orientamento sessuale, di fede, nel rispetto del vivere civile; che sia la nostra coscienza a giudicarci prima di un Dio, che si condanni chi nega la vita a un uomo per il suo orientamento sessuale, che ci fosse comprensione per una donna che vive il «dramma di un aborto» piuttosto che criminalizzarla, che ci fosse carità per il dolore di un uomo nel vedere la figlia non gioire della propria vita in 17 lunghi anni di non vita; un padre che nel dolore accompagna il dolore della propria figlia per un tempo così lungo non è un assassino! È così difficile accettare tutto questo?
Il mio sogno laico vorrebbe vedere che nella scuola primaria non ci fosse premura di finanziare con fondi pubblici regionali, così come avvenuto in qualche regione del Nord, insegnanti di religione pronti a catechizzare gli ignari bimbi, a meno che questi insegnanti non fossero dei novelli don Milani; ma lui era un’altra storia.
Nella Repubblica, Platone sostiene che è difficile scoprire un’educazione migliore per l’anima che la musica. Perché non ascoltare il grande filosofo introducendo l’insegnamento della musica, del canto e delle arti, oltre che delle lingue, della matematica e delle scienze, così come avviene da sempre nelle grandi società occidentali?
È di questo che avrebbero bisogno i cittadini di domani, di un pensiero pedagogico che educhi al libero pensiero, al senso critico e non imponga dogmi. Per la religione come per la filosofia c’è necessità di una maturità acquisita negli anni, solo così si può raggiunger un pensiero sano e una fede autentica e consapevole.
È dalla scuola che dovrebbe partire un nuovo Rinascimento. Ho sentito spesso, in questi tempi di crisi, esponenti politici riempirsi la bocca con la parola rinascimento, bella, suggestiva e che riporta alla mente fasti passati.
Non voglio ergermi a storico del Rinascimento, vorrei fare soltanto delle considerazioni personali. Il Rinascimento può considerarsi la conclusione di un lungo percorso sincretico che pone l’uomo al centro dell’universo. Oggi mi sembra che al centro di tutto ci sia la classe politica, intoccabile e che non abiura la corruzione. A fianco di essa si pone una gerarchia ecclesiastica che non solo pretende di essere al centro di tutto, ma addirittura prevarica lo stesso Dio e la parola autentica del Cristo, primo anticlericale della storia. Da parte di entrambe molta autorità ma poca autorevolezza.
Senza voler scomodare la neoplatonica magnificenza di Lorenzo il mediceo, perché non guardare ai nove del governo senese ispiratori dell’Allegoria del buon governo di Ambrogio Lorenzetti del 1337, formidabile testimonianza di grande organizzazione civile, da esempio per la nostra classe politica tutta. Un pellegrinaggio a Siena sarebbe doveroso per chi si occupa di politica e per chi vi si dedicherà in futuro, anche in gita giornaliera, la città è molto bella e la cucina senese è veramente degna di nota.
In tempi non sospetti, Barack Obama, pensando certamente già alla politica, sognava però un mondo nuovo, una rinascita per il suo paese, con un progetto politico che, partendo guarda caso dalla scuola, ha come obiettivo il voler rimettere al centro del suo mondo il cittadino con i suoi diritti e le sue libertà. Ecco allora rinascere la questione etico-morale la cui mancanza ha minato seriamente la politica americana, l’economia, la società tutta, negando gli incentivi alle ricerche scientifiche su energie rinnovabili e staminali che promettono un futuro benessere al cittadino.
La storia ha preso un’altra direzione e forse non dirà «che George W. Bush è stato un grande, grandissimo presidente degli Stati Uniti», come qualcuno ha affermato a Washington il 13 ottobre 2008. Perché Obama conosce e guarda alla storia, passata e recente.
Un mondo migliore si è rimesso in cammino, nell’immagine oceanica del 20 gennaio a Washington, mentre un elicottero portava via con sé, assieme al vecchio presidente, tante vite distrutte e un mondo confuso da una politica scellerata.
Hope! Lasciamoci contagiare.
La mia anima ha smesso di cantare, ha perso la sua voce più bella, ma ancora una volta Ovidio ha da insegnarmi. Nel XV libro delle Metamorfosi egli fa dire a Pitagora: «Così io vi insegno che l’anima è sempre la stessa, ma trasmigra in vari aspetti…», la musica si è interrotta, ma il mio pensiero troverà nuova poesia.

(14 aprile 2009)



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