La pandemia come pretesto contro la scuola pubblica
Pierfranco Pellizzetti
Tra i tanti principi, dichiarati inalienabili a parole, oggetto di ininterrotti mercimoni da parte dell’incommensurabile corrività del ceto politico italiano, la scuola di Stato, repubblicana ed eguagliatrice, risulta in permanenza il più palese agnello sacrificale. Ed anche il più vergognoso e ignobile esempio di svendita dello spirito della nostra Costituzione. Perché il trasbordo che dirotta verso le strutture private, in larga misura confessionali, le sempre più scarse risorse a sostegno dell’insegnamento pubblico, determina l’anemizzazione dei luoghi istituzionalmente dedicati a coltivare e trasmettere alle nuove generazioni i valori irrinunciabili della laicità e – ribadiamolo senza infingimenti o ponziopilatesche prudenze – della civiltà democratica.
Tutto questo a che pro’?
Nient’altro che interessi inconfessabili.
Sul fronte dei “beneficiati” – le scuole private – per ragioni affaristiche in generale (fare provvista di denaro a integrazione del monte-rette versato dalle famiglie clienti) e per ragioni di indottrinamento, nel caso comunque prevalente di quelle religiose (condizionare in senso fideistico ragazze e ragazzi, particolarmente indifesi nella fase formativa delle loro personalità, a sostegno dell’ordine gerarchico-patriarcale incarnato dai vertici ecclesiastici). Sul fronte dei benefattori – larga parte del ceto politico politicante – l’opportunistico calcolo di scambio tra concessioni monetarie e importanti bacini di voto e di consensi. Santa Romana Chiesa in testa.
Una lunga azione, comunque spartitoria esercitata sul pubblico denaro, e – nello specifico – di de-secolarizzazione della società italiana; che principia dalla formazione del nostro Stato Nazionale, passa attraverso la vergogna dei Patti Lateranensi mussoliniani, si rafforza con l’ultra-vergogna della recezione di tali Patti nella Costituzione del 1948 (larva inoculata nel suo dettato dalla collusione tra democristiani e comunisti, in rapida metamorfosi diventata il contagio che attacca le difese della nostra Grundnorm sul fronte del civismo). E non si ferma più.
Operazione affaristico/reazionaria che si è sistematicamente ammantata nelle parole di libertà: pluralismo nelle proposte didattiche, priorità delle famiglie nelle scelte dei percorsi educativi (quelle famiglie ormai da tempo insigni nell’assenteismo in quanto a esercizio del ruolo genitoriale). Poi è diventata un mantra della vague liberista: l’idea di mercantilizzare la scuola che piacque ai banditori di Comunione e Liberazione, non meno che a svariati Chicago Boys nostrani alla Michele Boldrin (non si capì se più ideologici, petulanti o naif).
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Attualmente rinasce a nuova vita nel revival sovranista alla Salvini del Cristianesimo come antemurale delle nostre radici etniche (il bizzarro presidio dell’Occidente affidato a un’eresia medio-orientale predicata da un palestinese).
Oggi siamo ancora qui, con l’assalto ai miliardoni del “Decreto rilancio” predisposto dal governo, che vede in prima linea il più insigne esponente contemporaneo del professionismo politico senza scrupoli né pudori: quel Matteo Renzi, che qualunque posiziona assuma dà sempre l’impressione di perseguire interessi personali; materiali. Di potere, elettorali, di visibilità. Qualcosa che si traduca in beneficio per il suo salvadanaio, la Fondazione Open nel mirino di inchieste della magistratura.
Puro carrierismo che nulla ha a che vedere con qualsivoglia istanza valoriale. A conferma che sulla pelle della scuola si giocano sempre interessi mercantili, che un Gesù redivivo (se mai fosse esistito) si premurerebbe di scacciare dal tempio.
La vicenda della battaglia per quadruplicare la regalia (già di per sé indebita) del governo ai privati per 150 milioni di euro. Con tanti saluti all’idea di scuola prima di tutto come scuola di cittadinanza, insita nella missione primaria della scuola pubblica.
Teniamo duro!
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