La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa
Pubblichiamo il documento dell’International Movement We Are Church sul Sinodo dei Vescovi su «La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa» (5-26.10.2008)
Dal Concilio Vaticano II (1962-1965) l’«ascolto della Parola di Dio nella Sacra Scrittura» è la pietra angolare nella vita della Chiesa cattolica.
Secondo il movimento Internazionale “Noi siamo chiesa”, però, in numerosi testi del Magistero, la teologia della Parola di Dio, così come è contenuta nella Dei Verbum – la Costituzione Dogmatica sulla Rivelazione del Concilio Vaticano II – non è stata tenuta in debito conto o lo è stata in modo molto limitato.
L’ultimo Concilio ha fatto sì che la comprensione della Bibbia progredisse moltissimo, benché senza conseguenze durature. “Noi siamo chiesa” invita i vescovi che parteciperanno al Sinodo dei Vescovi del 2008 a discutere dei seguenti problemi e a esprimere orientamenti che guardino al futuro:
1. Non si può usare della Bibbia come di una specie di magazzino dove attingere allo scopo di consolidare le affermazioni del Magistero ecclesiale. Essa non è un manuale di dogmatica o di etica. La Bibbia è stata spesso usata a sproposito nei documenti della Chiesa (si veda, per esempio, il Catechismo della Chiesa cattolica): frasi provenienti da contesti diversi e di generi differenti sono state messe insieme in modo arbitrario; alcuni metodi di interpretazione della Scrittura e certi criteri che dovrebbero guidare la sua comprensione vengono spesso ignorati. La pretesa di verità assoluta attribuita a singoli testi biblici (ad esempio al vangelo di Giovanni) è incompatibile con la “Costituzione dogmatica sulla divina Rivelazione” del Concilio.
2. In alcuni scritti neotestamentari sono presenti passi di carattere antigiudaico. La loro recezione e l’influenza che questi testi hanno avuto dall’inizio sono stati disastrosi. Ora non è più tollerabile che si continui a usarli, in particolare dopo il documento della Pontificia Commissione Biblica del 2001 su “Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana”.
3. Alcune espressioni bibliche storicamente poco corrette (come «gli ipocriti farisei», «il Dio della vendetta nell’Antico Testamento» contro «il Dio dell’amore del Nuovo Testamento») dovrebbero finalmente essere messe da parte.
4. All’interpretazione storico-critica della Bibbia continua a spettare un compito imprescindibile per la retta comprensione dei testi biblici. Questo approccio si serve di diversi metodi che dovrebbero essere usati sia nei documenti ufficiali, con le opportune citazioni, sia nella pastorale.
5. I nuovi approcci alla Bibbia aperti dall’«esegesi femminista» dovrebbero essere presi in considerazione con più convinzione. Nell’interpretazione della Bibbia, che ha molti testi di cultura maschilista, solo occasionalmente si prendono in considerazione e si valorizzano le esperienze delle donne con il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Numerosi testi della Bibbia sono stati scritti per legittimare il patriarcato o, in seguito, se ne è abusato a tali fini.
6. L’intepretazione dei testi biblici da parte della psicologia del profondo viene ancora scarsamente presa in considerazione. Questo tipo di interpretazione ha a che fare coi problemi del lettore della Bibbia, con le sue domande, con le sue paure, con le sue speranze, con le sue emozioni, con i suoi sogni – ad occhi chiusi e ad occhi aperti –, con le sue opinioni, con i suoi valori.
7. L’interpretazione della Bibbia di alcuni degli esegeti di oggi apre nuove prospettive alla Chiesa. La comprensione del canone delle Scritture, nella sua complessità ed interezza, ci libera da ogni totalitarismo e mette in evidenza come la Bibbia sia una costruzione multiforme, pluralistica e che garantisce il pluralismo. In questo senso, la Bibbia può diventare una “scuola di pluralità” (Otmar Fuchs).
8. L’«unità nella molteplicità» ha una grande importanza per l’ecumenismo. Guardare all’insieme, in sé multiforme, degli scritti biblici, ebraici e greci, significa riconoscerne la pluralità. La Bibbia, così, diviene un modello per la Chiesa di unità nella diversità e di autentico ecumenismo.
9. Non esistono idee definite di rivelazione. Il Concilio Vaticano II non ha spiegato come il manifestarsi di Dio possa essere conciliato con l’agire storico dell’uomo, in modo da conservare la libertà di Dio e quella dell’uomo ed evitando al contempo un discorso di carattere mitologico.
10. La rivelazione di Dio nelle religioni del mondo e il suo rapporto con la rivelazione ebraico-cristiana sono problemi ancora irrisolti.
11. L’«ispirazione della Bibbia», a livello popolare, era ed è stata spesso capita male. Dio – o lo Spirito Santo – avrebbe suggerito le parole direttamente all’orecchio degli scrittori biblici. È un’idea che sarebbe ormai opportuno urgentemente rettificare.
12. Nella prassi ecclesiale vi è di frequente una «doppia» Bibbia: la Bibbia degli esegeti, che operano in modo scientifico, e la Bibbia dei «semplici» lettori, molto credenti, ma che la leggono restando all’oscuro dei lavori degli esegeti.
Nel documento della Pontificia Commissione Biblica su L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa (1993), i diversi approcci alla Bibbia vengono illustrati in modo oggettivo e sottoposti a una critica costruttiva. Vi si afferma con forza l’inculturazione dell’interpretazione della Bibbia, facendo riferimento al fatto che gli scritti biblici stessi sono connessi a una situazione specifica. L’approccio fondamentalista alla Bibbia viene esplicitamente condannato come metodo errato.
Per evitare il crescente rischio di una «doppia» Bibbia, un dialogo fruttuoso tra le diverse posizioni in un clima di serenità sarà necessario in questo sinodo ed anche in futuro. A questo scopo è necessario trovare un modo nuovo di dialogare tra i differenti criteri nell’interpretazione della Bibbia.
(24 ottobre 2008)
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