La legittima difesa armata negli Usa: un buon modello per l’Italia?
Elisabetta Grande
Uno dei temi con cui il nostro nuovo governo leghista/pentastellato si è da subito confrontato per mostrare i muscoli di cui è dotato è quello della legittima difesa. “Ogni difesa è legittima”, soprattutto se si è a casa propria. E poi: “se un delinquente entra in casa mia, nel mio negozio, nella mia proprietà ho il diritto di difendermi comunque e se lui entra in piedi deve sapere che può uscirne steso”! Queste le roboanti dichiarazioni di Matteo Salvini, che con l’auspicata introduzione in Italia di una pena di morte privata – come la definisce Livio Pepino in Volere la Luna – si ispira senza mezzi termini a un diritto che da tempo è in vigore negli Stati Uniti.
E allora guardiamolo questo diritto statunitense, che in Italia ha già costituito il faro per quella regressione di civiltà che ci ha investiti nel 2006, quando l’art. 52 del codice penale italiano è stato riformato per contemplare un ridimensionamento del principio della proporzionalità fra beni nell’ipotesi di violazione di domicilio. In forza di quella modifica chi si trova all’interno della propria casa può oggi legittimamente uccidere con un’arma legalmente detenuta chi, pur non mettendo in pericolo la sua vita, minaccia “la sua o la altrui incolumità oppure i suoi o gli altrui beni, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione”. Anche in base alla più restrittiva delle sue interpretazioni, chi si vede violato nel proprio domicilio può dunque già adesso uccidere a fronte di un pericolo non necessariamente di morte, ma di qualcosa di meno: ossia del pericolo di una semplice lesione della propria o altrui incolumità fisica. Per Salvini però questo non è abbastanza. La pena di morte privata non deve subire ostacoli di sorta: la titolarità del suo esercizio deve essere sempre, inequivocabilmente e ampiamente attribuita in capo a chi ha la fortuna di avere un tetto sulla testa per il sol fatto che altri si ingerisce nei suoi spazi privati. E’ per questo che il nostro Ministro degli Interni aspira a introdurre una normativa il più simile possibile a quella in vigore negli States, dove però il diritto penale non solo giustifica le morti più tragicamente ingiuste, ma finisce per alimentare un clima da far west che danneggia tutti, non solo chi aggredisce ma anche chi si difende, alzando esageratamente il tasso di violenza e di morti, tanto dei ladri e dei “delinquenti”, quanto di coloro che con quelle categorie non hanno nulla a che vedere.
Com’è noto il sistema a federalismo spinto statunitense vede la coesistenza di 50 ordinamenti statali, cui si aggiunge un ordinamento federale, ciascuno dei quali può configurare in maniera diversa la difesa che considera legittima, salvo ovviamente che la Costituzione federale -la così detta Supreme Law of the Land – non preveda preclusioni o limiti, cui tutti dovranno allora attenersi. Giacché però i limiti costituzionali a tutela del diritto dei cittadini americani di difendersi sono posti esclusivamente in relazione alla detenzione e (forse) al porto di armi, ogni ordinamento giuridico del sistema federale è libero di stabilire come crede quando la reazione a un’aggressione, vera o supposta che sia, sia legittima e quindi non punibile. Per quanto 51 ordinamenti siano tanti e le normative siano spesso fra loro differenti, è possibile tuttavia individuare dei tratti comuni fra le stesse, che restituiscono un quadro di ampia attribuzione ai privati cittadini del potere di infliggere la pena di morte, in sintonia con il sentimento collettivo di un paese che prima di tutto l’ammette come pena pubblica.
Non sono però solo le norme sulla legittima difesa a legalizzare un’estesa inflizione della pena di morte privata, ma è la loro combinazione con l’ampia possibilità di detenere e portare con sé armi, che a sua volta alimenta il clima di paura che come vedremo giustifica praticamente sempre la difesa armata, in un’escalation di violenza che fa degli Stati Uniti una nazione con un numero percentuale di morti per arma da fuoco su 100.000 abitanti dieci volte superiore all’Italia, per di più in aumento invece che in calo come accade da noi (cfr. per esempio il rapporto del Flemish Institute al sito per l’Europa e l’Italia, in confronto con quello del Kff per gli Stati Uniti).
Violenza chiama violenza e armi chiamano armi, in una spirale che, incrementando la paura, rende ragionevole immaginare di doversi difendere per tutelare la propria incolumità anche quando la stessa non è affatto messa in pericolo. In un paese in cui il numero di armi legalmente possedute è più alto del numero dei suoi cittadini (bambini compresi) e il porto delle stesse è quasi privo di limiti (sul punto si veda il prossimo approfondimento), una pila elettrica, un rigonfiamento della tasca -magari contenente un fazzoletto- o il semplice movimento del braccio verso il busto, giustificano senza dubbio la paura di un’aggressione, anche quando in un contesto altro quel timore sarebbe del tutto irragionevole. Così mentre in troppi subiscono, con l’approvazione del sistema giuridico, una pena di morte privata magari solo perché cercano di rubare qualcosa, sono tantissimi i casi in cui quella pena viene legittimamente inflitta anche a chi non è né un ladro né un delinquente.
La scia di morti che la teoria del castello porta con sé non colpisce però solo l’intruso innocente, ma anche il “castellano” stesso. Come si accennava, infatti, se la difesa è sempre legittima, mentre chi entra per fini leciti, se scambiato per un aggressore, può essere legittimamente ucciso, chi invece entra per rubare si attrezzerà contro l’eventualità che il castellano eserciti il suo diritto di infliggere morte e per paura non esiterà a sparare subito e per primo, anche contro un “castellano” disarmato. Non è davvero un caso che negli Stati Uniti il numero di persone che muoiono in casa loro nel tentativo di difendersi sia incommensurabilmente più alto che in Italia (cfr. per esempio per gli States i dati riportati da Gun Violence by the Numbers)!
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