La piscina col velo islamico, ovvero la santa alleanza dei clericalismi
di Paolo Flores d’Arcais
La decisione della piscina “Siloe” di Bergamo, di riservare un’ora al nuoto “islamicamente corretto” (solo donne, costume testa-piedi approvato dai mullah) costituisce l’ennesimo episodio di sudditanza della convivenza civile al clericalismo. Il fatto che si tratti di clericalismo islamico non cambia nulla: sempre una resa dello Stato laico è. Un clericalismo di minoranza non cessa di essere clericalismo, e la somma di due clericalismi non diventa tolleranza, e meno che mai integrazione. L’integrazione si realizza solo sulla base del pieno dispiegarsi dei diritti individuali, della autonomia di ciascuno (uomo e donna), non sul moltiplicarsi delle sudditanze e dei divieti. E la ghettizzazione delle donne è l’esatto opposto della autonomia. E’, al massimo, servitù “volontaria”, dove il carattere “volontario” va corretto dalle infinite virgolette di una condizione materiale, sociale, culturale, che vanifica la possibilità di libera scelta.
Che la piscina in questione sia di proprietà della Curia di Bergamo, sia insomma uno degli infiniti beni immobili della Chiesa cattolica gerarchica, è sommamente significativo. L’ora natatoria islamico-clericale, promossa dai vertici diocesani clerico-cattolici, verrà sbandierata come un fulgido esempio di dialogo interreligioso, di iper-ecumenismo, alla faccia dei critici (soprattutto cristiani) di Papa Ratzinger, che hanno osato parlare di un suo “abbandono” del Concilio Vaticano II. E di un ancor più fulgido esempio del magistero civile della Chiesa, ultimo baluardo ormai agli egoismi, divisioni e derive di razzismo che stanno saturando la società italiana.
Balle. Quali che siano le intenzioni (che vogliamo considerare buone, anzi eccellenti, e perfino progressiste, aprioristicamente), ciò che si è realizzato è solo una santa alleanza dei clericalismi che ribadisce la subordinazione della donna in seno a una parte (probabilmente non piccola) delle famiglie di immigrati, e anzi tale subordinazione legittima e santifica, lanciando così un messaggio ai tantissimi nostalgici italici delle prevaricazioni di sesso (ancora fin troppo correnti, malgrado la parità giuridica). A conferma, se ce ne fosse bisogna, che laicità ed eguaglianza fanno corpo unico, non si può ricercare l’una senza l’altra. E che non si può combattere un clericalismo e difenderne un altro (sia detto per i leghisti d’ordinanza, che per gli immigrati non vogliono l’eguaglianza laica ma la falsa “integrazione” cattolica).
(30 aprile 2009)
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