La postdemocrazia di Sarkò e Berluskaz

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Parigi insegna. Qui, com’è noto, quando “la gente s’incazza” fa sul serio. Ha preso avvio in questi giorni una formidabile ondata di contestazioni al potere, dalle scuole alle università, dal pubblico impiego ai trasporti. L’Università, in particolare, dopo alcuni “avvisi ai naviganti” entra in sciopero ad oltranza. Totale e assoluto. Aspettiamo les usines, ora… L’“era sarkò” si è avviata verso un precoce crepuscolo? Presto per dirlo, anzi sarebbe probabilmente frutto non solo di un eccesso di ottimismo, ma anche di un errore di analisi, lasciarsi andare a simili conclusioni. Innanzi tutto perché l’alternativa politica, in Francia, proprio come in Italia, è debole e poco limpida e anzi, se pensiamo alla contendente nella corsa all’Eliseo, l’ineffabile signora Ségolène Royal, dovremmo concludere, come per l’Italia, guardando all’altrettanto ineffabile Walter Veltroni, che si tratta di due facce di una stessa medaglia: che il successo di uno dei due, rientra nella medesima concezione del “dopo la democrazia” che contraddistingue e anima l’altro, che non ne è che una sorta di doppio, invece che un reale avversario.
E Sarkò, a sua volta, non è che un figlio della temperie politica, culturale e antropologica che ha creato Silvio Berlusconi. Sarkò ha “innovato” proprio come Berluskaz. Entrambi hanno portato in piazza i loro affari di famiglia, entrambi hanno sposato una donna avvenente proveniente da mondi estranei tanto alla cultura quanto alla politica, ma che prive di talento, si sono fatte o si erano poste comunque in qualche luce grazie al denaro e al potere, loro, o dei familiari, o dei congiunti o dei loro spasimanti. Certo Veronica è ora sul retro, ma ritiene pure di dire la sua, tutto sommato, più imprudentemente di “Carlà” , mescolando comunque, con straordinaria faccia tosta, il pubblico e il privato. Indimenticabile la sua lettera al direttore de “la Repubblica”, debitamente – ahimé – posta in prima pagina, in cui rimproverava pubblicamente suo marito (casualmente già presidente del Consiglio, poi aspirante tale, poi di nuovo presidente, poi aspirante tale, ecc. ecc.) per le reiterate mancanze di riguardo nei suoi confronti, con le sue pesanti battute, sulla piazza mediatica, a una serie di avvenenti fanciulle. Accusa bislacca, considerando che l’avvenenza, ormai sul punto di diventare un mesto ricordo, era la dote precipua della questuante, la quale peraltro si è resa nota per amicizie “intellettuali” su cui il suo signor marito non ha mancato elegantemente di discettare in occasione di austeri consessi internazionali, nei quali la sua partecipazione pare subordinata a un preciso ingaggio come barzellettiere e dispensatore di pacche sulle spalle agli illustri colleghi. Anche Sarkò, emulo di Silviò, ha fatto della beltà muliebre posseduta e ostentata, una delle tante manifestazioni della ricchezza e del potere maschile, ed in modo assai mediatizzato ha realizzato un cambio di moglie nel volgere di otto settimane (cosa purtroppo da noi impensabile, considerati i tempi biblici del divorzio…), passando dalla cinquantenne Cecilià alla quarantenne Carlà, come impietosamente mise in luce, con dei primi piani sconcertanti, un settimanale “popolare” parigino, che notomizzò le due in tenuta da mare.
Ma anche questa famosissima nuova moglie italiana rappresenta un tassello della postdemocrazia di cui ho già parlato su questo spazio. Di Carlà si parla, per la verità, assai più da noi che in Francia: in fondo nove decimi dei nostri connazionali sono convinti che Carla Bruni (“la più bella donna del mondo”, ha scandito recentemente alla televisione un Fabio Fazio inebetito e gongolante) sia un prodotto del made in Italy che, con la Ferrari e il Parmigiano, porta in giro per il mondo “il sistema Paese” (che cosa voglia dire questa espressione roboante prima o poi qualcuno dovrà pur spiegarcelo). Il sarkozismo, dunque, è una variante francese del berlusconismo, con la differenza non inessenziale che Sarkozy non è un imprenditore o un finanziere, ma un politico che ama il denaro e il lusso, e vuole stare il più possibile immerso negli ambienti dove denaro e lusso si sprecano, mentre Berlusconi è un imprenditore che si è dedicato alla politica non per il bene del Paese, ma per difendere con i propri interessi personali e familiari, la sua stessa libertà, a rischio per la marea di imputazioni da cui gli sarebbe stato impossibile difendersi se non fosse stato protetto dall’immunità da lui ora resa impenetrabile grazie all’ennesima legge ad berlusconem. Il che vuol dire, che al di là della differente antipatia dei due – e mi si lasci dire con orgoglio nazionale che come il Cavaliere non c’è nessuno: con lui non c’è gara! –, che noi siamo messi assai peggio dei cugini transalpini. In fondo, Sarkò fa interessi della classe a cui non appartiene direttamente, ma nelle cui file cerca di infiltrarsi, concedendo favori; mentre Berluskaz è un vero “uomo generale” (per utilizzare Marx alla rovescia): facendo gli interessi propri fa gli interessi di tutti gli imprenditori, i finanzieri, gli evasori fiscali, i grandi esponenti del crimine in guanti bianchi, e così via.
Che cosa rappresentano, loro e le loro dolci signore? Rappresentano un fenomeno in atto, che è spaventosamente preoccupante, soprattutto perché è negletto nelle analisi degli opinionisti e del tutto ignorato al grande pubblico. In sintesi, essi rappresentano antropologicamente e persino fisicamente – con la variante peggiorativa del caso italiano – la postdemocrazia. Essi sono gli homines novi di un’era nuova che essi stessi stanno costruendo, sulle macerie della “fine delle ideologie”, dunque un’era in cui i cambiamenti di campo sono la regola, in cui gli ideali non hanno cittadinanza, e in cui il denaro appare regola e fine di tutte le cose, in cui il potere è mezzo per accrescere indefinitamente il proprio benessere (individuale familiare e delle torme dei propri clientes), oltre che un fine in sè. Ma la loro novità è anche politica. Essi sono accomunati da un totale disprezzo per le regole della democrazia parlamentare, e sono convinti che la legittimità di una vittoria elettorale costituisca una cambiale in bianco che il popolo ha loro affidato. Sarkozy ha appena nominato direttamente il capo del sistema televisivo francese. Berlusconi non può fare tanto, essendo, tra le altre cose, proprietario di un network privato gigantesco, ma riesce comunque a controllare il cosiddetto servizio pubblic; ma fa in modo da condizionare pesantamente il sistema (vedi caso presidenza Commissione Vigilanza Rai). Essi ritengono non, come il Re Sole, che “L’État c’est moi”, ma piuttosto “Moi, c’est l’État”, uno Stato affidato alle loro benevole cure da un elettorato compiacente, del cui mandato essi si ritengono forti, estendendo una specifica legittimità (quella elettorale che dà titolo a prendere alcune decisioni, ma non a tutte), all’intera sfera sociale, dall’economico allo spirituale. Essi, insomma, pensano di poter fare tutto (Berlusconi può anche sgozzare qualche giovinetta, protetto dal suo personale scudo, il famigerato Lodo Alfano…), e a farlo in barba all’opposizione – flebile e belante, perlopiù –, e in generale a quella parte, non piccola, di nazione che dall’opposizione parlamentare non è neppure rappresentata. Essi appaiono convinti, e trovano dozz
ine di “disinteressati” commentatori pronti a dar loro ragione (ogni uomo ha un prezzo, a quanto pare), che la maggioranza dei voti costituisca una riserva di ragione giuridica: insomma, chi è minoranza ai sensi della legge elettorale (e che legge, poi, da noi! La “porcata” di Calderoli!), è minoranza anche sul piano giuridico e morale della Nazione: una minoranza che non può che subire, tacere, o al massimo accontentarsi di un sempre più ridotto ius murmurandi.
Analogamente, Francia e Italia hanno visto un costante, rapidissimo deteriorarsi del potere legislativo, davanti a un rafforzarsi prepotente dell’esecutivo, e, in Italia, specialmente, ma anche Oltr’Alpe, un assedio al Terzo Potere, ossia il potere giudiziario, con il tentativo di irreggimentare la magistratura. Per non parlare dell’arroganza dei due “duci”, che assommano le loro personali deficienze di cultura giuridica e politica, con una rozzezza e volgarità di comportamenti che li fa parere talora emuli di forme tiranniche del passato: ma questo non è il passato che ritorna, questo è il futuro preconizzato dal pensiero distopico. Il futuro che si avvera. The big brother si aggira tra noi, e fingiamo di non accorgercene. E il “format” tv ormai sovranazionale che reca quel titolo finisce per essere una sorta di dolcificante che ci fa ingoiare questo boccone amarissimo, banalizzandolo, rendendolo accettabile.
Sicchè, mentre Berlusconi chiede alle forze dell’ordine di identificare e denunciare chi gli dà del “buffone” (o “buffone” che sia…), o che continuamente attacca, addirittura, gli autori e attori satirici, accusandoli di “superare il limite” (che naturalmente è egli stesso a misurare!); Sarkozy dal canto suo, proprio in questi giorni, silura il prefetto di un Dipartimento di provincia in quanto non ha saputo impedire che dei manifestanti esprimessero con fischi il loro dissenso verso il presidente. Cosa analoga, ma in questo caso con dura risposta delle forze dell’ordine incitate da eleganti signore in pelliccia a “dagli al rosso” , a quanto accaduto recentemente in Sardegna, nella campagna elettorale per le regionali, quando un gruppo di manifestanti ha tentato di esprimere in forme civili e garantite dalla Costituzione, il proprio dissenso dal capo del governo recatosi a sostenere il candidato forzitaliota.
Insomma, non paghi di un potere quasi assoluto, gestito in forme di familismo ostentatametne amorale, i due uomini nuovi della destra “moderata” europea, evidentemente, non tollerano neppure le forme più innocue e normali di protesta. La postdemocrazia non ammette dissenso. Tutti uniti, tutti insieme, a seguire le gesta dei naufraghi nell’Isola dei famosi; e se proprio vogliamo essere “di sinistra” possiamo, finché il suo conduttore non “esageri”, guardare "Che tempo che fa". O emigrare in Francia e leggere “Libération”.

Angelo d’Orsi



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