La “questione foibe” e la storia governativa
Angelo d’Orsi
Sotto l’insegna del politicamente corretto stiamo compiendo grandi passi verso la eliminazione di ogni spazio di dissenso dal pensiero dominante, che è, come insegna Marx, il pensiero delle classi dominanti. Basterebbe questa considerazione per renderci più attenti e critici. La tendenza in atto su scena internazionale, nel mondo occidentale, a cominciare dall’Unione Europea e degli Stati Uniti, è quella di una trasformazione del potere politico in organo giudicante della legittimità delle interpretazioni storiografiche e dello stesso dibattito delle idee: e distrattamente, colpevolmente, troppi di noi hanno trascurato le implicazioni di questa tendenza.
La lotta contro l’antisemitismo ha portato, talora innocentemente, talaltra capziosamente, alla persecuzione giudiziaria, in sede penale, delle forme di negazione o persino di “banalizzazione” della Shoah. Una legislazione in tal senso si sta imponendo sulle due sponde dell’Atlantico, nel silenzio ignaro o ignavo di troppi. La risoluzione UE dello scorso settembre di equiparazione nazismo/comunismo, con allusione a sanzioni penali verso chi non rimuove simboli di quei “regimi”, è stata criticata, ma rimane come un macigno e può essere lo strumento politico prima che legale per perseguitare coloro che credono ancora nel socialismo e che non aborrono, anzi, la Falce e Martello. Un panpenalismo internazionale sta percorrendo l’Occidente da decenni, ormai, e in Italia si connette essenzialmente al tema del “negazionismo”, un termine su cui varrà la pena di riflettere, al più presto, dato il suo carattere ampio quanto evanescente. E in effetti viene adoperato a destra e a manca, in modo completamente privo di scientificità. Negazionismo, esecrando, è quello di chi nega le camere a gas, e i campi di sterminio nazisti; ma per una sciagurata estensione di un “non-concetto” viene bollato come “negazionismo” l’atteggiamento di chi, su qualsivoglia tema, provi a ragionare seriamente sui fatti della storia, rimanendo ostinatamente aggrappato ai documenti, come invitava a fare Marc Bloch, uno storico ebreo, è opportuno precisare, militante antifascista, ucciso dai nazisti. In sintesi, occorre non farsi coartare dal senso comune e men che meno dalle disposizioni di legge, nel campo tanto della ricerca scientifica quanto della discussione intellettuale.
E su questo passaggio siamo stati davvero poco attenti, ed è tempo di reagire con vigore. Intanto, va ribadito che nessuna idea deve essere impedita a furia di norme giuridiche. Il dibattito delle idee deve essere assolutamente libero, e questo ce lo ha insegnato la grande tradizione umanistica, e poi illuministica e liberale, da Lorenzo Valla a John Locke, da Voltaire a Tocqueville. E per quanto concerne i fatti storici, solo la storiografia, ossia la comunità estesa di chi studia professionalmente, scientificamente, e più in generale la comunità intellettuale, rappresenta il “tribunale” che può e deve accogliere o respingere le tesi storiche o pseudo-storiche. Le cattive idee vanno tenute a bada, contrastate con buone idee, le tesi infondate vanno contestate con ricostruzioni scientificamente fondate. Nessun organo politico, nessuna legislazione, possono essere tirati in campo per combattere idee: questo deve essere un punto irrinunciabile. Tanto più se si entra nel campo della storia: se si accetta che siano il potere legislativo o esecutivo, i parlamenti e i governi, a decidere della fondatezza di una tesi storiografica, si finisce per accogliere il principio che la storia sia un campo di opinioni, invece che, come è e come deve essere, un campo di ricerca scientifica. Gli elogi postumi a Giampaolo Pansa, anche da parte di chi in vita lo aveva criticato, sono stati solo l’ultimo esempio di come la moneta cattiva (l’opinionismo, la “doxa”, presentato come valida alternativa alla ricerca) abbia finito per scacciare dal mercato intellettuale la moneta buona (la storia vera e propria fondata sul principio dell’“episteme”, del sapere scientifico). E Pansa ha avuto responsabilità gravissime in tal senso, anche a prescindere dalle tesi farlocche da lui proposte al pubblico che se ne è abbeverato.
Va aggiunto che l’insipienza non sempre innocente della nostra classe politica ha realizzato un micidiale combinato disposto fra il 27 gennaio e il 10 febbraio, quasi fondendo le due date, in una melassa politicamente corretta rispetto alla quale chi prova a ragionare, documenti alla mano rischia di essere bollato come “negazionista”, in una inaccettabile estensione del “non concetto”, e una sua torsione dal campo antifascista a quello fascistoide o decisamente fascista, nella narrazione delle tormentate vicende del Confine orientale.
Ne è esempio la censura preventiva a cui viene sottoposta, da tempo, ma con una progressione inquietante, colei che è, con pochissimi altri, la più informata studiosa della vexata quaestio foibe/esodo, Claudia Cernigoi, la quale ormai trova difficoltà a parlare in pubblico, fatta oggetto di campagne denigratorie, e di intimidazioni al limite della vera e propria persecuzione. L’ultimo episodio è il ritiro della concessione di spazi per conferenze sul tema, prima a Cologno Monzese, poi a Pistoia, località naturalmente, entrambe, in mano alla destra; ma va aggiunto che se ciò è stato possibile è perché la sinistra ufficiale, o il cosiddetto centrosinistra, è stata finora silente o corriva, sul tema, nella paura di urtare una parte dell’elettorato. Il comunicato dell’Amministrazione comunale pistoiese rappresenta un inquietante e rozzo esempio paradigmatico degno dell’infausto Ventennio. Il titolo dice già tutto: “Dramma foibe – nessuno spazio pubblico per chi propaganda odiose tesi negazioniste”. Nel testo vi è poi un volgare attacco personale contro la Cernigoi:
tristemente nota alle cronache per aver definito il dramma delle foibe una “montatura gigantesca” e che ha pubblicato un “libro” dal titolo piuttosto eloquente: “Operazione “Foibe” tra storia e mito”
Ora proprio quel lavoro di Claudia Cernigoi, che il comunicato tenta di dileggiare con le virgolette che racchiudono il termine “libro”, è una pietra miliare degli studi sull’argomento. Ma nella campagna contro la verità della storia, il potere politico, la parola di un amministratore ignorante o di un conduttore televisivo contano infinitamente più del rigoroso, diligente, faticoso lavoro di ricerca negli archivi e nelle biblioteche. La “verità politica” (si pensi a certi discorsi recenti di autorità dall’ex presidente del Parlamento UE, Tajani, allo stesso presidente Mattarella, che ha finito per accogliere le posizioni del suo predecessore Napolitano che avevano rischiato di creare conflittualità con le confinanti repubbliche ex-jugoslave) diventa la verità tout court. Con tanti saluti alla storia, ai documenti, alle analisi, e alla stessa onestà intellettuale. Nel comunicato dell’Amministrazione comunale di Pistoia si insiste nell’accusare la Cernigoi di “negazionismo”, con parole che vorrebbero essere infamanti ma appaiono grottesche, parlando di “farneticazioni”. E si rivendica la giustezza della decisione assunta di negare i locali alla conferenza, asserendo che sindaco e direttrice della Biblioteca (dove avrebbe dovuto svolgersi la conferenza)
nello scongiurare che una tale manifestazione d’odio si svolgesse in un luogo pubblico, hanno tu
telato con serietà e professionalità non solo la Legge dello Stato e la dignità delle Istituzioni Repubblicane, ma anche la sensibilità di quei discendenti degli esuli istriani, fiumani e dalmati che vivono sul nostro territorio.
La Cernigoi, doverosamente, ha inviato una lettera di precisazioni e contestazioni, dal tono assai misurato, in cui prova a esporre le sue ragioni, che sono quelle della ricerca, e del diritto all’accertamento della verità. Ammesso che venga letta, non credo possa sortire alcun effetto. Ormai siamo a un passo dal delirio e chi non accetta il mainstream politico-mediatico viene bollato con marchio d’infamia. Invece della “lettera scarlatta”, la famigerata A (per “adultera”), dell’immorale romanzo di Hawthorne, avremo una “N” per “negazionista” e magari pure un simbolino? Possibile che la storia non insegni?
Basti pensare che negli stessi giorni giunge la notizia, ancora più preoccupante, che un rappresentante triestino del partito neofascista di Giorgia Meloni, tale Walter Rizzetto, ha avanzato una proposta di legge, così intitolata: “Nuove misure per punire il negazionismo e attribuzione alle associazioni di esuli Fiumani, Istriani e Dalmati di un ruolo primario per difendere la storia del confine orientale”, proposta sottoscritta da tutti i suoi sodali del Gruppo parlamentare. Ad abundantiam, Rizzetto ha dichiarato:
Chiediamo che le associazioni di esuli siano interpellate dagli enti locali prima di autorizzare o concedere spazi per lo svolgimento di eventi sulle foibe, e che siano le sole ad essere coinvolte nell’elaborazione dei piani di formazione ed insegnamento nelle scuole, per garantire una testimonianza autentica di quegli accadimenti per troppo tempo occultati. Ciò anche allo scopo di estromettere enti e soggetti che in passato, nell’intraprendere tali iniziative sulle foibe, hanno rappresentato quei tragici fatti in modo distorto per meri fini politici. Chiediamo inoltre una modifica al codice penale affinché sia previsto specificamente come reato l’apologia e negazione degli eccidi delle foibe.
La proposta di legge, a tal fine, chiede la variazione dell’Art. 604-bis, terzo comma, del Codice Penale, con l’inserimento accanto all’apologia della Shoah, quella “dei massacri delle foibe”. Ecco appunto si arriva al cuore della questione: punire il negazionismo o il riduzionismo o la banalizzazione della Shoah, apre la strada ad altri analoghi divieti, che presumibilmente cresceranno, e nondimeno potranno cambiare in base alle maggioranze politiche.
Ecco, quindi, la storia governativa, degna dei peggiori regimi dittatoriali.
Tutto questo non fa risonare un campanello d’allarme? La comunità intellettuale, a cominciare da quella degli storici, non ritiene di avere nulla da dire?
MicroMega rimane a disposizione dei titolari di copyright che non fosse riuscita a raggiungere.