La Repubblica dei paradossi. Su “Demofollia” di Michele Ainis
Angelo Cannatà
È il 1511 quando Erasmo esalta la follia: “Qualunque cosa dicano di me comunemente i mortali… ecco qui la prova decisiva che io, io sola, dico, ho il dono di rallegrare gli dei e gli uomini (Elogio della follia, Serra e Riva, p. 9). Commenta Foucault: nell’Elogio, la follia “è un rapporto sottile che l’uomo intrattiene con se stesso. La personificazione mitologica è un espediente letterario” (Michel Foucault, Storia della follia nell’età classica, Rizzoli, p. 30). La filosofia ragiona però anche sul lato oscuro della follia che è “sempre in agguato, andrà conosciuta e rappresentata per poterla combattere, e cioè ironizzata, in tutti i significati del termine ‘ironia’, inesorabile combinazione di riso e pianto, di Democrito ed Eraclito” (Massimo Cacciari, La mente inquieta, Einaudi, p. 16). Ora è in libreria, da qualche settimana, un libro che indaga gli effetti paradossali della follia quando s’insinua nella mente dei governati: Michele Ainis, Demofollia, La nave di Teseo.
Ainis è un costituzionalista noto e raffinato che ama la citazione colta e le incursioni nella letteratura (bello il romanzo Risa, 2018) forse più del dibattito politico di cui è uno dei protagonisti: “La democrazia italiana è lunatica come una ballerina di flamenco”, dice, “da qui l’incoerenza” di atti, leggi, comportamenti, “che sommerge la ragione.” Poi il Nostro ordina per voci, “come un dizionario”, gli interventi giornalistici coi quali mette a nudo contraddizioni e furbizie diffuse nel Paese: la richiesta continua di firmare appelli, per esempio: “diventa arduo esercitare il ruolo critico cui gli intellettuali sarebbero tenuti, quando si rendono organici a una fazione” (p. 20). Ainis denuncia le ipocrisie di quanti “si baloccano con le leggi, scegliendo appellativi accattivanti, ma per lo più cattivi… Buona scuola, decreto Cresci Italia” (p. 14); poi mostra che l’universo legislativo è un ginepraio, nessuna legge uccide mai del tutto la precedente e “quando le leggi son troppe – spiega – s’elidono a vicenda, e in ultimo ciascuno fa come gli pare” (p. 126). Il libro smaschera la malapolitica; l’atteggiamento altalenante verso la giustizia; le truffe semantiche (il Consiglio dei ministri che “adotta un provvedimento ‘salvo intese’ fra i ministri: l’approva però al contempo non l’approva”); denuncia le ‘milleproroghe’ perché “ogni proroga dovrebbe costituire un’eccezione”; il sentimento biforcuto sulla legge elettorale; le false semplificazioni, poiché “dalla legge Bonomi del 1921 ogni semplificazione genera nuove complicazioni” (p. 63). Insomma, irrazionalità e follia: c’è una crisi morale dietro la fuga dalla logica – spiega il costituzionalista – “ogni Stato è un’impalcatura che serve a imbrigliare le passioni. Se l’impalcatura crolla… il seme della follia s’impadronisce della cittadella democratica” e sorgono nuove forme di governo o meglio di non governo: “demofollia, chiamiamola così”.
È qui tuttavia, sulle “nuove forme di governo”, che il libro di Ainis, analitico e ricco di spunti interessanti, si presta a qualche obiezione critica. Prendiamo la parola “Populismo” (fulmine indirizzato spesso contro i pentastellati), Ainis liquida i nuovi leader osservando che la loro “comunicazione politica” è “dominata da messaggi rozzi, semplificati, demagogici… sono diventati populisti senza sforzi… un’inclinazione naturale, mettiamola così” (pp. 147-148). Dove, più che l’analisi prevale la scelta di campo. Anche la voce “Maestri” lascia perplessi: i politici odierni non hanno maestri e non hanno cultura – scrive – “Il primo governo Conte aveva tra le più basse percentuali di laureati dal 1946” (p. 112), e subito arriva l’osservazione che anche Di Maio (insieme ad altri, certo) non ha la laurea, senza la necessaria analisi – su questo tema – di dove ci abbiano portato “i politici laureati”.
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