La riforma Gelmini: una logica aziendale che annulla la didattica
di don Raffaele Garofalo
L’Ocse dichiara che l’Italia è agli ultimi posti nella classifica delle scuole più efficienti e la Gelmini attribuisce la colpa di tutto al ’68. Per migliorare la qualità della scuola pubblica nell’ultimo decennio non è stato trovato altro rimedio che dirottare finanziamenti e alunni verso la scuola privata. Qualche mese fa i vescovi minacciavano di “scendere in piazza” se il governo avesse operato tagli ai loro istituti educativi. Nell’arco di poche ore i prelati venivano rassicurati che potevano “dormire non su due ma su quattro guanciali”. Erano stati accontentati. Non sarebbe stato uno “spettacolo edificante” vedere celerini intenti a manganellare monsignori in rivolta come black block! Per arginare la decadenza della scuola la Gelmini, da parte sua, offre “bonus” alle famiglie che vogliono disertarla per la privata. Il ministro mostra eccitazione per l’aumento di bocciature, orgogliosa di riaffermare il principio della meritocrazia. I geni devono avere la possibilità di emergere ma non sono certo essi che hanno bisogno delle attenzioni della scuola, vanno piuttosto valorizzati nelle istituzioni, una volta affermati, e non costretti a fuggire all’estero.
La scuola pubblica è chiamata ad offrire a tutti i cittadini l’opportunità di raggiungere il massimo sviluppo delle proprie capacità culturali. Questo non si ottiene praticando tagli ai fondi, già scarsi, a disposizione ma disponendo di mezzi e personale adeguati per ottenere il massimo anche da chi genio non è nato o è figlio di immigrati e fatica ad ottenere un rapido inserimento. Le scuole private da parte loro, quando non si riducono a semplici diplomifici, si configurano come istituzioni di connaturale selezione contrarie ad una società multiculturale che miri all’integrazione di tutte le sue componenti. Un Paese che si professa cristiano anche quando bestemmia sa bene che il messaggio di fede è un fermento finalizzato a far lievitare la massa, non svolge la sua funzione se rimane separato da essa.
Si organizzano scuole private perché si teme la contaminazione dell’”altro”, molte non accolgono ragazzi diversamente abili per non contrariare genitori i quali non tollerano che l’apprendimento dei loro figli possa “subire ritardi”. Per loro natura le private sono destinate ad essere causa di conflitto culturale. Portatrici di “verità” nascondono spesso un fondamentalismo mascherato da ragioni pretestuose. Solo in una scuola pubblica identità e convinzioni di varia natura hanno la possibilità di confrontarsi democraticamente, in una buona palestra di convivenza cui abituare le nuove generazioni. La “conversione” di Magdi Cristiano Allam, educato in terra musulmana da una scuola privata cattolica, è l’ emblema di una cultura integralista islamica che si traduce automaticamente in cattolica intolleranza.
La Gelmini è convinta che un processo educativo efficace possa partire dalle bocciature, da un insuccesso. Gli alunni bocciati dovrebbero essere la cattiva coscienza della scuola, come gli ammalati che non migliorano sono il fallimento dell’ospedale. Sapere o non sapere la matematica non è la stessa cosa ma nella scuola dell’obbligo separare l’alunno dal gruppo classe comporterebbe danni considerevoli nella sua maturazione psicologica quando non è causa di dolorosi eventi che leggiamo nelle cronache. La scuola dell’obbligo è scuola formativa, innanzitutto, per cui andrebbero escogitati recuperi “indolori”, con classi aperte e altro, il che vuol dire investire di più nella formazione.
L’8 aprile scorso le Commissioni di Difesa della Camera hanno approvato in via definitiva l’acquisto di 131 cacciabombardieri da combattimento F-35. Programma di spesa 15 miliardi di euro. Lo Stato spende tante risorse per mandare a morire i suoi giovani e farne degli inutili eroi o forse utili solo ai signori della guerra. Una spesa immorale di risorse preziose che potrebbero essere utilizzate invece in maniera più proficua per l’emancipazione culturale del Paese, per la Sanità. Non si vuole proporre una scuola dequalificata che costringa i laureati ad andare ad abilitarsi a Reggio Calabria, come ha fatto la Gelmini, per procacciarsi un “68 buonista” personalizzato. La riforma del ministro segue logiche aziendali di tagli pesanti anziché ispirarsi a percorsi didattico-formativi: è destinata a selezionare, quindi a fallire l’obiettivo di elevare il livello culturale del Paese. Una riforma non inizia dalla bocciatura ma da una scuola moderna che offra agli alunni ogni mezzo per la loro crescita individuale: dallo sviluppo della personalità, dall’apprendimento delle nozioni teorico-pratiche, all’esercizio di capacità letterarie, artistiche, sportive e altro. Non vi è ragazzo, per quanto “bullo”, che resista alla seduzione di una disciplina capace di incanalare la sua “esuberanza” orientandola verso una passione costruttiva. Lo studente deve essere attratto dalla scuola, non costretto alla fuga da essa. A tale scopo l’istituzione scolastica non ha bisogno di “Dirigenti” ma di “Educatori”. La cultura non si comunica con le “normative”, né si travasa: ognuno costruisce la propria. Ancor meno è frutto di cattivi voti. Il quasi anonimo Leopold Mozart, non fu maestro di eccezionali capacità, ma eccellente educatore. Al piccolo Wolfgang trasmise la “passione”, insegnò il “metodo”. Il resto è nell’alunno e nelle opportunità che gli si offrono.
(7 luglio 2009)
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