La salute viene prima della bellezza

Stefano Bonaga

L’appello di Vittorio Sgarbi apparso oggi sul Corriere della Sera, corredato da molte firme di intellettuali, ha come premessa assiologica il valore della bellezza e della cultura come bene primario per l’umano.

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Mi permetto di disambiguare un attributo vago: il cibo è sicuramente un bene primario nel preciso senso che il tempo di acquisizione di esso è una discriminante irrinunciabile per la salute o la sopravvivenza del vivente secondo la sua misura. Il termine “primario” si può declinare secondo il tempo e secondo il valore, ma nella vita reale la variabile “tempo” è primaria per gerarchizzarne il valore. Due mesi senza cibo sono impensabili, due mesi senza bellezza, qualora si intenda con essa l’accesso visivo o auditivo a capolavori estetici esposti al pubblico, sono decentemente sopportabili sia per l’individuo che per la collettività.
L’invito dell’appello alla mobilitazione di masse eventualmente disciplinate all’ingresso di musei, teatri e sale da concerto, non impedirebbe alle stesse di uscire di casa liberamente e indisciplinatamente, almeno finché non si posseggano già programmi coercitivi di selezione domestica, qualunque sia la forma del criterio, topologico, anagrafico, alfabetico e via dicendo.
Non mi sembra che la candela della salute pubblica valga il gioco dell’accesso urgente alla pubblica bellezza. Se qualcuno è in grado di fare un esempio di progetto pratico per garantirle entrambe, fossero anche bizzarramente poste sullo stesso piano, ben venga. Viceversa, se di una proposizione non si riesce a fare neanche un esempio, come dice Wittgenstein, essa è semplicemente senza senso e dunque sarebbe meglio tacere.


(10 aprile 2020)





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