La scuola pubblica e la retorica della ‘didattica a distanza’. Un appello
Appello per la scuola pubblica-Ass. Naz. Per la scuola della Repubblica-Extra nos-Lavoratori Autocovocati Scuola-LipScuola-Manifesto dei 500-Partigiani della scuola pubblica-Scuola bene comune
Da più di un mese le attività didattiche nelle scuole sono sospese.
Mentre scriviamo veniamo a conoscenza di colleghi colpiti dal Coronavirus, di famiglie delle nostre scuole coinvolte in situazioni drammatiche, di difficoltà lavorative e quindi economiche che si aggiungono a quelle di gestione famigliare. Prima di sottoporre al mondo della scuola alcune riflessioni, vogliamo innanzitutto esprimere la nostra vicinanza a tutti, in primis a chi vive le situazioni più difficili. Vogliamo stringere virtualmente in un abbraccio bambine/i, ragazze/i il cui immaginario non potrà non essere condizionato da tutto ciò che stiamo vivendo.
Come associazioni della scuola che da un anno sono unite, con altre categorie, nella battaglia per il ritiro di qualunque Autonomia differenziata, sappiamo che la situazione che viviamo è una situazione d’emergenza, nella quale ciò che conta è prioritariamente la salute, la vita.
Ma sappiamo anche che in questo momento molti si interrogano giustamente sulle politiche che ci hanno portato fin qui e su come si stia affrontando questo enorme problema.
In un attimo sono volate in aria tutte le affermazioni che intendevano isolare la scuola dal processo di Autonomia differenziata, come se istruzione, sanità e altri settori fossero elementi distinti. “Forse un insegnante non sarebbe toccato dalla regionalizzazione della sanità?”, scrivevamo. La risposta è nei fatti.
E la scuola?
Dimostrando un doveroso attaccamento agli allievi e alla propria professione, istintivamente e senza attendere direttive, la maggior parte degli insegnanti non ha aspettato per attivarsi e garantire, come possibile, il proseguimento a distanza della didattica.
La stragrande maggioranza lavora molto più del normale, senza orari, senza sosta.
Da parte loro le famiglie si sono trovate in condizioni difficili: ai problemi di questo periodo si sono aggiunte le difficoltà tecnologiche, quelle di abitazioni piccole, quelle del contemporaneo lavoro a casa dei genitori. E purtroppo anche le preoccupazioni di salute o di reddito. Ma la maggioranza si è attivata, ha cercato di fare il possibile, ha dimostrato di dare un grande peso all’istruzione.
A distanza di un mese s’impone un primo bilancio: una scuola “a distanza” non può essere vera scuola
È vero, come è stato detto da molti, insegnanti, genitori, alunni: mai come oggi comprendiamo il valore della scuola reale e dello stare a scuola; di un rapporto diretto e costante, che si configura nella relazione e nella cura, unici elementi che possono determinare sapere realmente significativo. Abbiamo – anche nei migliori casi – la netta percezione di quanto questi elementi umani ed umanistici diventino insostituibili per connotare il processo di insegnamento-apprendimento nel senso di una spendibilità culturale, politica, etica, realmente sostenibile e diretta conseguenza della funzione che la scuola deve continuare ad avere, come serbatoio di pensiero critico-analitico, di palestra di complessità, di approccio ad una cittadinanza consapevole. E pertanto – non dovrebbe essercene bisogno – diffidiamo chi, esaltando le attuali drammatiche condizioni, volesse produrre accelerate miopi, ravvisando in dotazioni e pratiche tecnologicamente adottate stabilmente una prospettiva praticabile per il futuro.
Il tentativo di ammantare il risparmio di spesa esaltando avvenirismo e modernità (parole chiave del Neoliberismo, con il suo corredo ideologico di efficientismo, autoimprenditorialità) ha già prodotto danni incommensurabili in tanti settori dei diritti universali, scuola compresa. Rivendichiamo la funzione centrale (esistenziale, politica, culturale, etica) del magister, dove il “più” contenuto nell’etimo rappresenta precisamente ciò che nessuna macchina potrà mai surrogare.
Ma bisogna andare oltre: è la scuola della Repubblica ad essere rimessa in causa…
È necessario allora ripartire ancora una volta dai principi, quelli dell’art. 3 della Costituzione, combinato con gli art. 9, 33 e 34: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Non è solo un problema di rapporti umani, di accesso alla tecnologia, di “dotazioni” e linee internet: è l’uguaglianza dei diritti che viene rimessa in causa senza il quadro della scuola, i suoi programmi, la libertà d’insegnamento (rimessa in causa), senza le aule uguali per tutti, gli orari, le regole, i rapporti.
E allora va detto chiaramente: l’esplosione di soluzioni, proposte, orari di lezione e lavoro, carichi dei compiti, il non controllo del quadro generale e delle possibilità di “frequenza” degli alunni, della validità delle verifiche, dei voti, rappresenta in sé, oltre che un grosso problema per docenti e famiglie, un vettore di diseguaglianze che impediscono di garantire a tutti l’accesso all’istruzione e ai docenti l’esercizio della loro vera professione.
… ed è il Ministero che esalta questa distruzione!
Ma se questo è in parte comprensibile e gli insegnanti non ne hanno responsabilità, anzi fanno di tutto per superare gli ostacoli, ciò che è inaccettabile è che “in alto” il Ministero, con le sue note, si faccia promotore di queste diseguaglianze, di questo caos, di una concorrenza frenetica e distruttiva delle scuole, cioè dell’esatto contrario del ruolo che dovrebbe avere!
Inaccettabile, ma non casuale: se oggi il ministro rivendica note e circolari “illegittime e inapplicabili” (come indicato dai sindacati che ne chiedono giustamente il ritiro), offensive delle condizioni in cui si trovano docenti e famiglie, circolari che tra l’altro alimentano le tensioni all’interno del mondo della scuola, ciò è la logica conseguenza dell’aver dimenticato e calpestato per trent’anni i principi della scuola della Repubblica e dell’aver anteposto – riforma dopo riforma – il mantra di una presunta modernità e di una necessaria modernizzazione come panacea ai mali della scuola e come prospettiva privilegiata di intervento.
Se il Ministero è lontano anni luce dalle problematiche reali, se alimenta la babele del “si faccia di tutto e di più”, il motivo è semplice e lo accomuna alle centinaia di ditte, banche, organizzazioni che, come avvoltoi, parassiti di un parassita (il Covid-19) si sono gettati sulla scuola con le loro offerte: per anni lo stesso Ministero ha promosso questo processo, lo ha alimentato con l’Autonomia, ha cercato di inserire la tecnologia nella scuola non, come si dovrebbe, per realizzare al meglio l’art. 3 della Costituzione, ma per stravolgerlo e aprire un mercato scandaloso, per mettere in concorrenza le scuole, per svuotare il senso della conoscenza a favore della “competenza”, per differenziare i programmi, annullare il valore dei voti e dei titoli di studio.
Oggi se ne vedono i risultati: deregolamentazione totale, diseguaglianze, diritto all’istruzione potenziato per alcuni e negato per altri, porte aperte al fai da te e alla penetrazione
del privato (e di che privato, spesso!). E troppo spesso, un vulnus inflitto anche alla libertà di insegnamento, complice la convinzione che irreggimentare la propria didattica in percorsi e strumenti precostituiti da case editrici in cerca di un facile profitto potesse essere la strada verso la “modernità” tanto evocata. Inconsapevoli, però, che attraverso quelle pratiche il “pensiero pedagogico unico” ha avuto buon gioco nell’infiltrarsi e nell’affermarsi.
Se oggi il Ministero arriva a dire che questa è la scuola “della Costituzione” è perché dopo trent’anni non sa più nemmeno che cosa essa sia!
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È grave per oggi ed è grave per domani perché, se si perde il senso della scuola della Repubblica fino a questo punto, è immaginabile che questo periodo venga poi utilizzato, come addirittura il capo del governo annuncia in Parlamento, evocando una trasformazione in chiave digitale della scuola, dell’università e del lavoro tutto, per spingere ancor più i processi di deregolamentazione e mercificazione della scuola, di promozione delle “competenze” al posto delle conoscenze.
Ed è questa la riflessione che proponiamo a tutti: costretti nelle condizioni attuali, restiamo però coscienti non solo dei limiti oggettivi di ciò che facciamo, ma dei principi che muovono la scuola della Repubblica e del fatto che la battaglia di ieri per difenderli è la battaglia di oggi e sarà ancor più la battaglia di domani.
Evidentemente, prima ci sbarazziamo del Coronavirus e meglio è per tutti.
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