La sfida di Ada Colau: “Le donne fermeranno la barbarie”

Steven Forti

A poche settimane dalle nuove elezioni, nazionali e municipali, una lunga conversazione con la alcaldessa che traccia il bilancio del suo mandato: “Barcellona sta lottando contro i poteri forti e le speculazioni, tanto è stato fatto ma tanto bisogna ancora fare per questo mi candido nuovamente”. Un occhio anche al vento di destra che soffia in Spagna e in Europa: “Bisogna ripartire dalle città e dal femminismo”. Infine loda Mimmo Lucano e parla dell’internazionale progressista lanciata con Bernie Sanders.

intervista a Ada Colau e Giacomo Russo Spena

“Mi riconosco nei valori della Rivoluzione francese, nelle lotte operaie, nei movimenti sociali, nelle rivendicazioni femministe. Di certo non credo nei partiti di sinistra socialdemocratici degli ultimi quarant’anni in Europa: sono i partiti di sinistra che hanno messo in pratica le stesse politiche economiche della destra. L’unico cambiamento possibile passa per il neomunicipalismo: questo sarà il secolo delle città e delle donne”. Se qualche tempo addietro con Ada Colau si discuteva del movimento degli Indignados e della sua irruzione nelle istituzioni di Barcellona – da occupante di case a sindaca – ora parla da leader affermata tanto che la sua notorietà è ormai internazionale. Le nuove elezioni a Barcellona sono alle porte, il 26 maggio, ed è tempo di bilanci, ma anche di guardare avanti in un contesto, come quello attuale, segnato dall’avanzata delle destre in Europa e in gran parte del mondo. L’alcaldessa ci sta aspettando al quartier generale di Barcelona en Comú. Ci accoglie in una delle sale riunioni della sede della Calle Marina, a pochi metri dalla Monumental, la vecchia plaza de toros della Ciudad Condal.

Sta per terminare il suo primo mandato da sindaca di Barcellona. In tutta franchezza, in cosa fa autocritica e in che ambito chiede una seconda chance agli elettori?

Sono orgogliosa della mia squadra di governo che ha svolto un lavoro titanico. Non eravamo soltanto nuovi, ma siamo anche entrati in uno dei contesti più difficili della storia democratica del Paese. E nonostante ciò, siamo stati in grado di sviluppare l’agenda del cambiamento che avevamo promesso in campagna elettorale: abbiamo rivoluzionato le priorità della città affrontando questioni che sembravano impossibili come la regolamentazione del turismo, la nascita di un operatore energetico comunale o l’assegnazione del 30% della nuova edilizia per alloggi sociali. C’è ancora molto da fare, ovviamente, e bisogna sempre fare autocritica. Ad esempio, il primo anno abbiamo avuto problemi per capire il funzionamento della macchina amministrativa e ciò ci ha fatto perdere del tempo. Ma, alla fine, abbiamo dimostrato capacità di apprendimento.

Il problema della casa ha segnato il suo passato come attivista. È stato anche uno dei temi chiave dell’ultima campagna elettorale. Che cosa ha fatto, in concreto, in questi quattro anni?

Stiamo progettando più abitazioni pubbliche che mai nella storia di questa città: abbiamo avviato la costruzione di 4mila case che saranno terminate nei prossimi 4 anni. In secondo luogo, abbiamo approvato una nuova misura che segna un prima e un dopo: tutti i privati devono essere congiuntamente responsabili del diritto all’alloggio, destinando il 30% della nuova costruzione all’edilizia sociale. Sappiamo che questo non è sufficiente dopo decenni di assenza di diritto alle politiche abitative: per questo stiamo pressando il governo centrale affinché modifichi il regolamento sugli affitti e permetta di porre dei limiti ai contratti di locazione abusivi. La stragrande maggioranza della popolazione è nelle mani del mercato privato e della speculazione sfrenata che esiste in tutte le grandi città. Il capitale vede nelle città una grande opportunità di business: si tratta di un plusvalore garantito. Poiché non ci sono regolamenti statali ed europei, le lobby possono saccheggiare senza alcun problema le nostre città. Inoltre, il Partido Popular (Pp) ha regalato incentivi fiscali ai costruttori, norma rimasta invariata anche col governo socialista. Per la prima volta il Comune prende una posizione chiara: affermiamo che gli speculatori sono i nostri nemici e che faremo tutto il possibile per rendere loro la vita impossibile.

I consigli comunali hanno poteri limitati. Considera di essere riuscita a tener testa ai poteri forti?

I grandi cambiamenti richiedono tempo e molte battaglie. Non si risolve con un provvedimento governativo o un mandato elettorale. Noi, nel nostro piccolo, come contro gli speculatori immobiliari, abbiamo posto il tema del conflitto. Prima era invisibile dal punto di vista istituzionale: ora è normale che il Comune di Barcellona dica ufficialmente che combatte ogni oligopolio in nome dei beni comuni. Che la speculazione fosse il nemico principale della città non era mai stato detto prima. Questo ha reso visibili molte cose che prima erano invisibili.

Oltre alla questione abitativa, ci fa qualche altro esempio?

La questione dell’acqua di Barcellona. Fino a qualche anno fa soltanto i movimenti sociali denunciavano la mala gestione e il fatto che fosse stata privatizzata in modo fraudolento finendo per essere regalata nelle mani di una multinazionale. Ciò che i movimenti hanno detto è stato raccolto dall’istituzione e reso visibile: è stata effettuata un’ispezione, abbiamo sancito la fondatezza delle accuse fatte dai movimenti e ripensato la gestione dell’acqua. Le multinazionali si sono lamentate, hanno protestato, hanno fatto pressione sui gruppi di opposizione, hanno investito milioni di euro in pubblicità e bombardamento mediatico contro di noi. Non abbiamo fatto un passo indietro.

La sua storia dimostra l’importanza delle pratiche di mutualismo, siete riusciti ad andare “oltre il noi” e ad aggregare non solo nei settori ristretti della sinistra radicale. È questo il segreto del vostro successo?

Il radicamento sui territori è l’unico modo per rispondere all’impoverimento generale e all’enorme disuguaglianza. Ed io vengo da lì. Ero stanca sia dei classici partiti di sinistra che dei movimenti sociali autoreferenziali e gruppettari, con i loro linguaggi incomprensibili. Quando abbiamo fondato la Plataforma de Afectados por la Hipoteca (Pah) il mio obiettivo era incidere nella società, cambiarla veramente, e per farlo sei obbligato a relazionarti con la massa, ovvero anche con persone che si definiscono né di destra né di sinistra, senza una forte ideologia o conoscenza del passato. Altrimenti è impossibile, a meno che non si voglia applicare una forma di dispotismo illuminato.

Quindi non si è mai posta, nemmeno alle origini di Barcelona en Comú, il problema di “unire la sinistra” per poter attuare un reale cambiamento nella società?

A me interessa unire la gente. Questo è stato il nostro punto di partenza, appartiene alla mia storia personale. Provengo dalla Pah che è stata sicuramente il movimento sociale più trasversale degli ultimi anni, o forse decadi, in questo paese e che ha dimostrato che con obiettivi e metodi comuni si possono intercettare molte persone, anche chi non si sente di sinistra.

La figura di Ada Colau quanto è servita per la crescita di Barcelona en Comú?

È innegabile che sia stata utile per articolare Barcelona en Comú perché ero una persona conosciuta, trasversale, estranea ai partiti e molto legata alle battaglie sociali. Dall’altra parte, Barcelona en Comú è un percorso collettivo più complesso che non si spiega solo con la mia leadership.

Qual è la sua opinione sul sistema dei partiti dopo quattro anni nelle istituzioni?

È profondamente deprimente. Non voglio mentire: i grandi partiti politici si sono rilevati peggiori di quanto pens
assi. Hanno come unico scopo quello di vincere le elezioni. Non interessa, poi, governare per il bene comune, per la città o per i cittadini. Il potere, vogliono solo raggiungere il potere.

Eppure in base ai sondaggi alle elezioni comunali di maggio 2019 nessuno avrà la maggioranza assoluta. Sta già pensando ad un’alleanza? I socialisti possono essere un riferimento politico, specialmente dopo la tappa del governo Sánchez?

Ci presenteremo con la speranza di vincere e, se possibile, di ottenere ancora più voti rispetto alle precedenti elezioni. È indubbio però che l’era delle maggioranze assolute è finita: la società è plurale e diversificata ed è normale che ci siano patti e alleanze. Siamo sempre stati molto onesti: seguendo la logica, ci viene spontaneo parlare in primis con i partiti coi quali abbiamo affinità programmatiche, cioè i socialisti ed Esquerra Republicana de Catalunya (Erc). Possiamo rappresentare il perno centrale di un nuovo governo progressista a Barcellona. Quello che non è chiaro è cosa faranno gli altri. Erc ha trascorso anni a governare in Catalogna con la destra approvando bilanci di tagli e austerità insieme a un partito attraversato da scandali di corruzione. I socialisti, purtroppo, hanno avuto una deriva che li ha portati persino ad allinearsi con Pp e Ciudadanos nel commissariamento della regione catalana. Credo che siamo un incentivo affinché entrambi priorizzino la propria anima progressista rispetto ad altri criteri. E lo abbiamo dimostrato: quando i socialisti si sono sganciati dalle destre, noi abbiamo appoggiato la mozione di sfiducia a Rajoy che ha portato Sánchez al governo. Abbiamo dimostrato attraverso le nostre azioni che siamo sempre coerenti: ciò che diciamo, lo facciamo. Chiunque voglia fare politiche progressiste di cambiamento che privilegino gli interessi della gente sa che può contare su di noi.

Se Barcelona en Comú non arriverà prima e non potrà indicare il sindaco, lei cosa farà? Si può ipotizzare una Ada Colau, consigliera di un altro primo cittadino o dell’opposizione nel consiglio comunale?

Ripeto: sono qui per un progetto collettivo, non personale. Barcelona en Comú è un’organizzazione che funziona davvero in modo diverso rispetto ai partiti tradizionali, che è piena di attivisti nei quartieri, auto-organizzata, che dà significato a questo progetto che va ben oltre l’istituzione. Ho sempre detto che sono qui perché sono utile alla causa, ma non ho problemi ad immaginare altre vite. Di certo, alle urne, ci presentiamo per chiedere alla gente di dare continuità al nostro progetto: non abbiamo intenzione di fermarci proprio ora. Barcellona, tra l’altro, sta divenendo sempre più un punto di riferimento internazionale in un momento di regressione dei diritti e delle libertà: da Trump a Bolsonaro passando per Salvini, Le Pen e Orbán.

Ha parlato dell’avanzata della destra a livello internazionale: Salvini, Le Pen e Orbán guadagnano voti per le loro campagne contro gli stranieri o per la chiusura delle frontiere dando una risposta ai cittadini che reclamano sicurezza, legalità e protezione sociale. Come si contrasta questa strategia che, per il momento, sembra egemonica nelle società?

Come arginare il razzismo dilagante, se non partendo dalle comunità locali? In Italia avete l’esperienza di Mimmo Lucano. La storia di Riace dimostra che, dal basso e con poche risorse, si possono realizzare cose importantissime se c’è onestà e si prende la decisione etica e politica di restare umani, senza piegarsi alla disumanizzazione imperante. Ci dimostra che gli stranieri non sono una minaccia, come vorrebbero i discorsi basati sulla paura di Salvini e di quelli come lui, ma al contrario: quando tratti gli altri esseri umani con rispetto e dai loro una seconda opportunità, non soltanto non minano il tuo stile e modo di vita, ma lo possono persino migliorare. Le città sono il luogo della prossimità dove l’Altro non è un’astrazione, ma è il mio vicino di casa. È nella vita di tutti i giorni che si vive la solidarietà e si contrasta la xenofobia. Ho parlato dell’esperienza di Riace persino a Bernie Sanders: dobbiamo costruire un’internazionale progressista contro i populismi xenofobi.

Intanto anche in Spagna, il prossimo 28 aprile, si voterà per le elezioni nazionali e si prospetta il boom elettorale di Vox, la peggior destra…

L’unico modo per costruire un’alternativa alle destre è passare per il municipalismo. Rivendicare il diritto alla città significa anche rivendicare una forma di potere decisionale sui processi di urbanizzazione e sul modo in cui le nostre città sono costruite. Solo quando si sarà capito che coloro che creano la vita urbana hanno, in primo luogo, il diritto di far valere le loro rivendicazioni su ciò che essi hanno prodotto, e che una di queste rivendicazioni è il diritto a costruire una città più conforme ai loro intimi desideri, solo allora potrà esserci una politica urbana che abbia senso.

In tutto il mondo crescono i movimenti di donne che reclamano diritti e cambiamento. Il femminismo può essere la risposta?

Questo è il secolo delle città e delle donne. Lo ripeto sempre. Attenzione, però, il femminismo non è soltanto una questione di giustizia di genere ma è un’opportunità per vivere meglio tutti: donne e uomini. Lo dico da madre di due bambini e lo vedo tutti i giorni: non voglio che i miei figli crescano in un mondo patriarcale perché sarebbero anche loro più felici in un mondo femminista. Dobbiamo per questo difendere un femminismo che non disprezzi la diversità, ma che la veda come una ricchezza. Un femminismo che sia antirazzista, anticoloniale, antiomofobo, che sappia creare ponti tra le diverse lotte che hanno in comune l’uguaglianza, la libertà, i diritti umani. E che abbia anche un messaggio positivo per gli uomini.

Dopo il voto contrario degli indipendentisti alla finanziaria di Pedro Sánchez – che è costata la caduta al premier socialista – quali saranno i prossimi scenari per la crisi catalana? Qual è la sua ricetta?

Credo che bisogna superare il modello di organizzazione territoriale dello Stato costruito con la transizione alla democrazia a fine anni Settanta. È un modello chiaramente esaurito. Quando milioni di persone manifestano in piazza, uno Stato ha il dovere di ascoltarli, capire le loro rivendicazioni e ragionare insieme sul come improntare un nuovo rapporto tra la Catalogna e la Spagna senza che nessuno si senta escluso o aggredito. Ho sempre sostenuto la necessità di un referendum concordato sul modello scozzese, ma è chiaro che ci sono molti problemi che impediscono un sereno confronto e che sta prevalendo una forte polarizzazione. Di questo responsabilizzo soprattutto il governo di Rajoy per la risposta autoritaria, repressiva e giudiziaria che non offre alternative, ma radicalizza solo le posizioni. Anche se mi hanno accusato di essere equidistante, rivendico più che mai la mia posizione: dobbiamo cercare punti comuni ed incoraggiare il dialogo, specialmente chi ha responsabilità governative. È un mio obbligo, sebbene possa avere costi elettorali. È un problema etico e di democrazia.

Ultima domanda, di carattere più culturale. Quali sono i suoi autori di riferimento, quelli che più l’hanno formata con i
loro scritti…

Sono molti, domanda difficile. Forse direi Albert Camus, Hannah Arendt, Antonio Gramsci, David Harvey. E anche Simone de Beauvoir.


(7 marzo 2019)





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