La sincera ambiguità dell’infanzia: Céline Sciamma parla di “Tomboy”

Barbara Sorrentini



La storia di una bambina, quasi adolescente, che si spaccia per un maschio avrebbe potuto dare fastidio a qualcuno, Tomboy in Francia è diventato un film culto. Dall’Italia invece che cosa si aspetta?
Sì, capisco che possa far storcere il naso, però se il film ha trovato un distributore in Italia significa che l’Italia è pronta ad accoglierlo.

Com’è cominciata questa storia?
E’ partita da un concetto: una ragazzina che si fa passare per un maschio. Di questa storia mi ha affascinato l’equilibrio che si creava tra un soggetto sensibile e sovversivo e una buona storia da cinema con del ritmo, della suspence e dell’azione.

E la fortuna di trovare un’interprete come Zoé Héran nei panni di Laure/Michael.
La scommessa del film era proprio quella di trovare una ragazzina che fosse una brava attrice e che potesse sembrare un maschio. Sembra quasi una leggenda, ma io l’ho trovata il primo giorno di casting. Mi aveva colpito per questo suo fisico androgino e questo volto indimenticabile. Poi abbiamo dovuto fare un grande lavoro di costruzione del personaggio.

Com’è stato farle capire il doppio ruolo che doveva interpretare?
Credo che Zoé avesse già una certa familiarità nei confronti della storia. Mi ha raccontato che spesso passava i pomeriggi a giocare a pallone con i suoi amici. Sono convinta che i bambini abbiano un modo di pensare più semplice rispetto agli adulti nei confronti di storie come questa. I ragazzini, rispetto agli adulti, non chiedono perché, non cercano la psicologia del ruolo che devono interpretare, ci entrano direttamente.

L’accento infatti non è posto sul cambio di sesso, ma sull’aspetto giocoso del mettersi alla prova in una situazione diversa dal solito. Qual’era l’obbiettivo?
Sicuramente l’obbiettivo era di non fare un film a tesi, ma un film aperto su questo argomento. Volevo che il film provocasse delle domande, senza fornire una sola risposta e fare in modo che il pubblico potesse identificarsi in un film che descrive l’infanzia.

Dove avete girato?
In una piccola cittadina della periferia parigina, vicina ad EuroDisney.

Com’è possibile che nessuno, nemmeno lo spettatore, si accorga che la protagonista protagonista è una bambina?
E’ vero, anche il pubblico pur sapendolo continua a dubitarne e questa è la prova che ci si può credere.

Anche i bambini non riconoscono questo meccanismo?
Loro ancora di più, perché i bambini giocano sempre ad essere qualcun altro e hanno voglio di credere alle storie.

Il rapporto con gli adulti è solo abbozzato, ma lascia ad intendere che sono genitori molto moderni. Ne ha incontrati tanti così?
Sì, ce ne sono molti. Sono aperti e moderni, ma non per questo perfetti. Anche le loro reazioni, sono improvvisate e non incarnano il ruolo di genitori pieni di saggezza e di certezze. Sono personaggi travolti dalla situazione.

Colpisce la descrizione di questi bambini, che sono ancora immersi nella natura, giocano per la strada e non sembrano succubi, come spesso si vede al cinema, della tecnologia. Lei li vede ancora così?
Volevo che il film fosse atemporale e che potesse sembrare anche l’infanzia di chi è cresciuto negli anni ’80 o ’60. Mi piace che il cinema possa essere nello stesso tempo contemporaneo e universale.

In questo film si intravede un’ispirazione cinematografica molto marcata. Qual’è?
Sì, infatti c’è tutta la tradizione cinematografica francese sull’infanzia, Truffaut, Doillon e c’è anche il cinema americano degli anni ’80, quello che vedevo quando ero io bambina: Spielberg, la televisione, i cartoni animati.

Che tipo di produzione è stata quella per Tomboy?
Il film è stato fatto in un modo molto poco regolare. L’ho scritto in tre settimane e l’ho girato due mesi dopo in venti giorni. Questo film è stato realizzato come gesto politico, con pochi soldi arrivati dalla televisione.

E’ raro sentire in Italia che fare cinema in un certo modo rappresenti un “gesto politico”, lo fanno in pochi e in pochi arrivano ad essere distribuiti. In Francia è più frequente?
Sì. Soprattutto con la crisi si sono create le situazioni giuste per produrre in un altro modo e con maggiori responsabilità da assumersi in prima persona.

(18 ottobre 2011)

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