La terza vita
Anna Maria Bruni
Ancora uno spettacolo da segnalare per la valida stagione proposta dal Teatro Valle di Roma. Un testo dell’autore e regista cinematografico Valerio Moroni, qui in veste di autore teatrale per una storia di immigrazione, un percorso di vita, visti con gli occhi di una donna maghrebina.
“Continuerò ad indossare il velo, perché non devo diventare una donna italiana, voglio essere io, in Italia”. E’ così che ha inizio “La terza vita”, dopo le prime due confuse fra gli altri la prima, e nascoste dagli altri, la seconda. Ed improvvisamente vediamo Aisha, e ci rendiamo conto che è lei, che è la sua storia, che è il suo emergere dopo un lungo cammino attraverso la gioia degli anni dell’università in Marocco, delle fantasticherie e degli innamoramenti, insieme al rispetto per la famiglia, al calore del proprio villaggio e delle proprie tradizioni, il cui respiro è però allargato dai sogni e dalle speranze per il futuro.
Un futuro però raccontato da Ahmed attraverso Aisha, questo è il suo autoinganno legato a doppio filo all’amore per quel ragazzo e al desiderio di seguirlo. Dentro un sogno che però si rimpiccolisce via via che si realizza, perché comincia con Parigi, evocata dai film francesi visti in Marocco, dove “aprirà un suo ristorante”, dice Aisha che ripete Ahmed, e che finisce a Milano, in Italia, dove farà il manovale. E dove Aisha, una volta approdata, vede restringersi il suo spazio vitale il respiro i suoi sogni, insieme agli occhi “sempre più stanchi” di Ahmed, e alla perdita “di quella magia” nella sua voce. Una vita piccina, ristretta negli spazi angusti della casa e della paura dell’altro, soprattutto maschile, in questo caso di Ahmed. Una paura che limita i movimenti di lei quanto quelli del loro bimbo, che invece freme per vivere e giocare e sentirsi con gli altri bambini.
Finché un terremoto non scuote quel percorso apparentemente così lineare, e imprime la svolta decisiva nella vita di Aisha. Ed è quando comincia “La terza vita”, quando Aisha emerge, che ci accorgiamo che la brava Laura Nardi, accompagnata da una toccante scrittura del testo, è riuscita a celarsi dietro le altre figure del racconto evocandole tanto da farle muovere in scena, proprio come una donna d’altri tempi cederebbe il passo al proprio uomo, ai figli, agli altri insomma, mettendo se stessa per ultima. Proprio come è il personaggio, nella sua forza e umiltà. E così altrettanto recitazione e scrittura insieme sono riuscite a restituire il respiro largo e spensierato, eppure pregno di speranza e passione nella vita di Fez, il villaggio berbero, tanto quanto la cappa e l’angustia della vita da immigrati a Milano.
E insieme a loro la scena nuda, arricchita da un grande telo dove immagini disegnate dal vivo da Elena Vegetti, a tratti Fanny, amica-sorella di Aisha, più spesso nascosta dietro il telaio per la tessitura dei tappeti, con sabbia e acqua e proiettate da una lavagna luminosa, si inseguono trasformandosi continuamente l’una nell’altra, proprio come i pensieri, le emozioni, la vita interiore di Aisha. A chiudere questo cerchio armonico luci e suoni che si rincorrono con le immagini e i movimenti di scena, quando non ne provocano la frattura, firmando la valida regia di Amandio Pinheiro.
Un premio più che meritato, questo Siae.Agis.Eti che Valerio Moroni ha vinto nel 2009 per il miglior testo, prima opera teatrale per un fecondo autore cinematografico. Fecondo e pluripremiato fin dagli esordi, con il lungometraggio “Tu devi essere il lupo”, dove ha ottenuto la nomination al Davide di Donatello come miglior regista esordiente, replicata ai Nastri d’argento con il documentario “Le ferie di Licu”, e per due volte Premio Solinas come sceneggiatore, oggi impegnato nello stesso ruolo nel film d’esordio alla regia di Alessandro Gassman “Roman e il suo cucciolo”. Lo spettacolo sarà in replica al Teatro Valle sabato 12 e domenica 13 marzo alle 16,45. Da vedere.
(12 marzo 2011)
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