L’Altra Europa con Tsipras contro razzismo e sessismo, per la cittadinanza europea di residenza
Annamaria Rivera
Domenica 23 febbraio si è svolta al Teatro Valle occupato la prima assemblea cittadina romana dell’Altra Europa con Tsipras, numerosa e vivace. Annamaria Rivera ha preso la parola in quanto studiosa e attivista antirazzista (fa parte, tra l’altro, del coordinamento nazionale antirazzista “Nella stessa barca”), anche a nome di Francesca Koch, presidente della Casa Internazionale delle Donne, e di Isabella Peretti, del Coordinamento Donne contro il Razzismo. Riportiamo il testo del suo intervento.
L’Europa che rifiutiamo non è solo l’Europa dell’austerità, che calpesta uguaglianza, giustizia sociale, diritto al lavoro, dignità delle persone non ricche e potenti. E’ anche l’Europa-fortezza che in poco più di venticinque anni ha causato la morte, lungo le sue frontiere, di ben ventimila esseri umani in cerca di protezione, libertà, dignità: 2.352 vittime nel solo anno 2011 e ben 650, delle quali molte donne e bambini, nel solo Canale di Sicilia, in appena otto giorni, cioè fra l’ecatombe del 3 ottobre 2014 e quella dell’11 dello stesso mese.
L’Europa che rifiutiamo, insomma, è quella dei trattati di Maastricht e di Schengen, delle politiche di respingimento, dei lager per migranti e profughi, degli scellerati accordi bilaterali con paesi dell’altra sponda del Mediterraneo: anche con quelli che, come la Libia, non hanno leggi sull’asilo, praticano gravissime violazioni dei diritti umani, non hanno sottoscritto neppure la Convenzione di Ginevra del ’51.
E’ l’Europa di Dublino III, che impedisce i movimenti interni al territorio dell’Unione europea dei richiedenti asilo, conferendo agli Stati, invece che alle persone, la facoltà di decidere dove chiedere protezione e prevedendo perfino che essi possano essere trattenuti se c’è “pericolo di fuga”.
Ciò che ripudiamo è, in definitiva, il sistema dell’apartheid europeo, che esclude o discrimina una cifra vicina a 34 milioni di cosiddetti stranieri: la ventinovesima nazione dell’UE, come direbbe Etienne Balibar.
E’ nel contesto di questa Europa che può vivacchiare un paese come il nostro che è tuttora privo, anch’esso, di norme e politiche dell’asilo adeguate. Che non prevede alcun meccanismo automatico per l’acquisizione della nazionalità, neppure per i figli di genitori stranieri nati, cresciuti ed educati qui. Che, pur in un periodo di così grave crisi economica, disoccupazione, precarietà, tuttora conserva la norma assurda che subordina il permesso di soggiorno a un contratto di lavoro regolare.
E’ l’Italia che ha fatto dei cosiddetti campi-nomadi un vero e proprio sistema di segregazione ed esclusione; e che alle minoranze dei rom e dei sinti non riconosce alcun diritto. Che rinchiude in sordidi lager ultrablindati perfino i potenziali richiedenti asilo scampati miracolosamente alla morte in mare: quei lager che il ri-confermato Alfano, ministro dell’Interno nel senso peggiore della qualifica, vuole non già abrogare ma moltiplicare. Che aspettarsi da uno che alla drammatica protesta delle bocche cucite nel Cie di Ponte Galeria sa rispondere solo col rimpatrio degli internati?
E’ l’Italia che nega ai migranti i diritti più elementari, pretendendo di farne dei meteci: forza-lavoro bruta in condizione servile o quasi schiavile. Prova lampante del fatto che l’epoca del neoliberismo trionfante e del capitale globalizzato -ben rappresentati nel governo Renzi- non ha superato affatto relazioni e condizioni di lavoro “arcaiche”, ha anzi inglobato il non-contemporaneo, per dirla alla maniera di Ernst Bloch, sussumendone le forme di sfruttamento estreme; e ri-colonizzando, per citare ancora Balibar, la forza-lavoro e le stesse relazioni sociali.
Sono quasi vent’anni che il movimento antirazzista, non solo italiano, rivendica non già lo jus soli, come dice la vulgata giornalistica, bensì la cittadinanza europea di residenza. Vale a dire il conferimento di diritti politici in base al criterio della residenza, indipendentemente dalla nazionalità o dall’origine, e non solo ai figli dei migranti nati nel paese in cui risiedono stabilmente e sono socializzati.
Nel corso della campagna elettorale dovremmo rilanciare questa rivendicazione, insieme con le altre: cioè libertà di circolazione, abolizione dei lager per migranti e rifugiati, comunque si chiamino, pienezza del diritto di asilo, abrogazione della Bossi-Fini, ma anche di gran parte delle norme della Turco-Napolitano, la legge che, in spregio della Costituzione, ha istituito per la prima volta in Italia la detenzione extra ordinem per una speciale categoria di persone.
Il tema della cittadinanza europea di residenza è cruciale e unificante. Intorno al tema della pienezza dei diritti di cittadinanza e dell’indivisibilità dei diritti -politici, civili sociali- ruotano anche le rivendicazioni del movimento femminista.
Le politiche di austerità hanno peggiorato la condizione delle donne, soprattutto delle donne delle classi subalterne: si pensi agli effetti che hanno avuto e hanno sulla loro vita i tagli al Welfare State e alla sanità pubblica. E si sono pesantemente accentuate le disuguaglianze in termini di occupazione, salario, opportunità di accesso al lavoro, che in Italia, uno fra gli ultimi paesi europei per parità di genere in questo campo, sono particolarmente acute.
L’involuzione delle politiche europee ha effetti disastrosi anche sui diritti all’autodeterminazione e alla libertà nelle scelte riproduttive, che si pensavano ormai acquisiti per sempre. Negli ultimi mesi, vanno moltiplicandosi in modo impressionante gli attacchi alla libertà delle donne e ai loro diritti di cittadinanza. Si sono susseguiti, infatti, la bocciatura della Risoluzione europea sulla salute e i diritti sessuali e riproduttivi, presentata dalla portoghese Estrela; il progetto di legge del ministro della Giustizia spagnolo, Gallardón, che intende proibire l’aborto come libera decisione della donna; il referendum svizzero che vorrebbe escludere l’interruzione di gravidanza dal servizio sanitario nazionale. Per non dire delle difficoltà italiane circa l’applicazione della legge 194.
E non sarà la presenza paritaria di ministre nel nuovo governo del fare (del fare una riforma al mese, ha minacciato il “ragazzo” Renzi) a incrementare i diritti delle donne e a migliorarne la condizione. Ancelle istituzionali di un potere patriarcal-giovanilista, esse, temiamo, serviranno solo a legittimare questo pessimo governo.
Tutto ciò accade in un contesto europeo che da Nord a Sud vede l’incremento, vertiginoso quanto allarmante, di movimenti di opinione, forze politiche, formazioni di estrema destra, caratterizzati nettamente da xenofobia, razzismo, sessismo, omofobia. E pronti ad additare come capri espiatori i soggetti più vulnerabili in quanto più discriminati. Non fosse altro per questo, sarebbe bene che la nostra lista si caratterizzasse per i temi che ho cercato d’illustrare.
(24 febbraio 2014)
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