L’anacronismo del Family Day

don Vitaliano della Sala

, da adista.it

Anacronistica. È la parola che mi è venuta in mente appena ho sentito al Tg, la sera del 20 giugno, che Roma ha ospitato l’ennesimo Family Day, la manifestazione organizzata da cattolici tradizionalisti, per protestare contro il disegno di legge Cirinnà, che apre alle unioni civili e alle adozioni anche per quanto riguarda le persone appartenenti allo stesso sesso.
Anacronistica; come è anacronistico ogni integralismo, non per forza violento, che tenta di imporre le proprie idee intolleranti – queste sì contro natura! – che tenta di convincere gli altri che le novità sono pericolose.

Sarebbe lungo e complicato immaginarsi quale modello di famiglia Gesù avesse in testa; certamente intuiamo dai vangeli che il suo giudizio non sembra quasi mai positivo, almeno sul concetto di famiglia usata dal potere come controllo sociale. Ma il vangelo che anche i cattolici del Family day dovrebbero conoscere e testimoniare, chiaramente racconta di un Dio che ha deciso di mischiarsi al suo popolo così come è, di intrufolarsi tra gli esseri umani concreti; ha deciso di diventare uno del popolo, uomo pure lui: in mezzo a tanti figli di donna è nato pure Dio. E non è una lezione da poco.

Perciò bisogna riflettere, e non per un momento soltanto, sulla voglia attualmente diffusa di non mescolarsi agli altri, bisogna pensare con terrore ai miti risorgenti della razza, al modo in cui trattiamo e discriminiamo gli stranieri, i rom, i musulmani, i “negri”, i gay, i diversi; bisogna riflettere sul tentativo anticristiano di imporre l’unico modello di famiglia “tradizionale-occidentale”, escludendo automaticamente modi nuovi di essere famiglia, appartenenti ad altre culture, altre fedi, a tradizioni diverse. Bisogna pensare con preoccupazione agli integralismi raccolti dietro le bandiere o, peggio, dietro i crocifissi assurti a simbolo dell’identità nazionale o di una “normalità” decisa non si sa bene da chi.

Sembra che separare, dividere, alzare steccati sia l’impegno principale dei cristiani tradizionalisti del Family day, che egoisticamente si illudono di conquistarsi così il paradiso, escludendo gli altri, tutti gli altri inesorabilmente condannati all’inferno.

Nessuno può imporre le proprie idee e i propri usi e costumi, soprattutto noi cristiani che, come Gesù abbiamo invece il diritto-dovere di proporre i nostri valori e, soprattutto, di testimoniarli. I cristiani del Family day devono essere liberi di testimoniare il proprio modo di intendere la famiglia, senza per questo pretendere di imporlo a chi la pensa in modo diverso.

Probabilmente non la pensano così Kiko Arguello e Mario Adinolfi. Il primo, durante il suo lungo intervento alla manifestazione, ha dato la sua personale interpretazione del femminicidio analizzando le motivazioni che possono spingere un uomo a uccidere moglie e figli: quando la moglie lo abbandona “il primo moto è quello di ucciderla” perché “sperimenta il non essere amato e il non amore è un inferno”. Mario Adinolfi nel suo applaudito comizio ha toccato per l’ennesima volta la vicenda “scandalosa” della famiglia omogenitoriale di Elton John, il noto cantautore inglese. Non so se il bambino di una coppia gay soffra, come sostiene Adinolfi, sono certo che soffre quando è vittima di famiglie etero violente, senza amore, ignoranti.

Con persone saccenti come Arguello, Adinolfi o Giovanardi che stanno alla Chiesa come Salvini, Borghezio e Calderoli stanno all’Italia – populisti che giocano pericolosamente a chi la spara più grossa, altrimenti i mezzi di informazione non si accorgerebbero affatto di loro – è impossibile discutere, perché sono straconvinti di possedere la verità. Con gente come loro poche volte sono riuscito a confrontarmi. Dopo la mia partecipazione al Gay pride di Roma durante il giubileo del 2000, mi sono trovato a dover scegliere se infognarmi in discussioni cervellotiche con chi la pensa come Arguello, Adinolfi e Giovanardi o se tentare di incamminarmi con la mia comunità e con chi la frequenta, verso la costruzione di una “diversità riconciliata” (cfr. Evangelii gaudium, di papa Francesco). Una volta mi illusi finanche di discutere, alla pari, con un lefebvriano ipertradizionalista; quando alla fine, pacificamente gli dissi che almeno ci univa la stessa fede in Gesù Cristo, mi rispose che non ne era per niente convinto. Allora ho deciso: mentre continuo ad essere aperto al dialogo con chiunque, senza troppo clamore ho cominciato a benedire coppie di gay o di divorziati: non pretendo di essere nel giusto, ma sono certo che Dio comprenderà e apprezzerà l’intenzione di dare gioia a persone che si amano.

Parafrasando papa Francesco (il 25 gennaio scorso, alla chiusura della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani), mi convinco sempre più che l’accettazione delle coppie gay e l’accoglienza piena dei divorziati nella chiesa cattolica, “non sarà il frutto di raffinate discussioni teoriche nelle quali ciascuno tenterà di convincere l’altro della fondatezza delle proprie opinioni. Verrà il Figlio dell’Uomo e ci troverà ancora nelle discussioni. Dobbiamo riconoscere che per giungere alla profondità del mistero di Dio abbiamo bisogno di incontrarci e di confrontarci sotto la guida dello Spirito Santo, che armonizza le diversità e supera i conflitti”.

(30 giugno 2015)



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