Le Comunità cristiane di base dicono No all’ora di religione

Antonia Sani

E’ stato recentemente varato dalle CdB un interessante comunicato in relazione all’insegnamento della religione cattolica. Interessante, importante, opportuno.

Opportuno, poiché col trascorrere degli anni le battaglie contro la collocazione di questo insegnamento all’interno dell’orario scolastico obbligatorio hanno perso molto dello smalto che aveva contraddistinto la loro vitalità nei primi decenni dal Nuovo Concordato (1984).

Nei tempi immediatamente successivi alle disposizioni concernenti il marchingegno dell’“ora alternativa”, anche noi laici ci eravamo aggrappati a quella sorta di àncora di salvezza sospesa sul nulla che avrebbe connotato il tempo orario di alunni/e che non si avvalevano dell’IRC. Pesava il confronto con gli anni del Concordato fascista (1929): gli “esonerati”, pochi, quasi tutti/e di religione ebraica uscivano dall’aula e sostavano nei corridoi a chiacchierare coi bidelli. Nessuno si preoccupava minimamente della loro condizione.

La conquista della “facoltatività” dell’IRC in luogo dell’”obbligo”, con la collocazione di questo insegnamento nel quadro orario delle lezioni riproponeva di fatto una situazione analoga.

Benvenute dunque le attività alternative che – secondo la mozione della Camera del 1986 – dovevano avere il carattere di “insegnamenti certi”, un’equiparazione, insomma all’IRC per evitare discriminazioni.

I contributi di intellettuali, di movimenti ispirati alla difesa della democrazia costituzionale, per un autentico concetto di laicità della scuola, favorirono ben presto una presa di distanza dai contenuti di quella mozione. Così, mentre da un lato si tentava di evitare le discriminazioni sollecitando le scuole di ogni ordine e grado (compresa la Scuola dell’Infanzia cui il Nuovo Concordato aveva destinato 2 ore di IRC!) a istituire attività alternative, dall’altro lato si portava avanti un’azione tendente a stabilire la non equiparazione dell’IRC ad attività che non investivano la sfera della coscienza individuale, come invece era la decisione se “scegliere”o no la frequenza dell’IRC.

Decisive le sentenze di alcuni TAR (cfr. TAR del Lazio*) ma, sopra tutte, le sentenze emesse dalla Corte Costituzionale** con la definizione dello stato di non obbligo, che potevano aprire la strada a una collocazione dell’IRC al di fuori dell’orario scolastico obbligatorio, come prima potenziale fase verso l’abrogazione quanto meno dell’Art.9 del Nuovo Concordato).

A tali vittorie fu posto un argine dalla sentenza n.2749/2010 del Consiglio di Stato.

La sentenza era stata emanata nell’ambito di un ricorso contro l’assegnazione del credito scolastico anche all’IRC. La sentenza riconosceva tale credito (ritenuto peraltro irrilevante), ma nel contempo imponeva alle scuole di istituire attività alternative per i non avvalenti, (fatta salva la libertà per alunni/e di pronunciarsi su tutte le opzioni proposte dalla scuola).

Destò scalpore in quegli anni una sentenza del Tribunale di Padova che su istanza di un genitore condannò un Istituto scolastico che non aveva predisposto attività alternative all’IRC a una sanzione di 1500 euro; una multa fu comminata anche al MIUR per non avere controllato.

Da quel momento l’interesse di molti laici si spostò dalle contestazioni alla collocazione dell’ IRC nell’orario scolastico ai contenuti delle “attività alternative”. Si aprirono, confronti, dibattiti, sperimentazioni.

Il Ministero dell’Economia dispose finanziamenti per i docenti di tali insegnamenti. Fu emanata dal MIUR un’apposita circolare per i dirigenti di tutti gli istituti scolastici.

Per genitori e studenti si trattava di indicare alcune preferenze (diritti umani, storia delle religioni, elementi di ecologia…); per i docenti precari si aprivano possibilità inedite di lavoro.

Le scuole in cui non viene avviata alcuna attività alternativa sono a tutt’oggi una realtà, ma la maggior parte ottempera alla sentenza del Consiglio di Stato.

L’IRC continua ad essere inserito nell’orario scolastico, senza suscitare opposizioni ormai storiche. Nelle Scuole Superiori è in aumento il numero di coloro che non si avvalgono, nella Primaria i genitori disposti ad imbracciare la questione di principio sono in numero esiguo.

Da qui l’opportunità del documento delle Comunità Cristiane di Base per riaccendere interesse ed energie nella contestazione di un insegnamento confessionale nella Scuola dello Stato. Il comunicato prende il via dalla complessità della popolazione che oggi frequenta le nostre scuole, un quadro multietnico e multireligioso, oltre il pluralismo culturale nostrano di qualche decennio addietro.

E’ opportuno e necessario – si legge – “affidare la formazione che tenga conto di queste componenti ai docenti dei vari ordini e gradi di scuole per un approfondimento interdisciplinare”… Che il fatto religioso come manifestazione socio-culturale dei popoli dovesse essere parte dei programmi scolastici dei vari gradi e ordini di scuole e non patrimonio di una privilegiata confessione religiosa era la via sulla quale ci eravamo incamminati come movimenti laici all’epoca della sentenza 203/1989 della Corte Costituzionale.

Un dibattito che tenderebbe oggi ad assopirsi trova in questo documento la forza di un incentivo alla sua riproposizione.

La finalità culturale prevale sull’appartenenza religiosa. A fronte della “grande ignoranza del fenomeno religioso – recita il documento – sarebbe auspicabile una minima conoscenza non solo della Bibbia ma quantomeno del Corano e delle altre tradizioni cultuali presenti nel nostro Paese”.

A questo proposito, interessante e dirompente emerge la seguente proposta: “da parte della Chiesa cattolica italiana sarebbe un segnale significativo operare per rendere plurale la conoscenza e non già l’insegnamento (compito delle famiglie e delle comunità religiose) delle diverse religioni e quindi disattendere unilateralmente il dettato concordatario, astenendosi dal nominare gli insegnanti destinati all’IRC”. “Gesto profetico questo – così lo definiscono gli estensori del documento – in grado di scuotere non solo la Chiesa ma la stessa società italiana”.

Notiamo in questa straordinaria affermazione, che riteniamo frutto di un forse non indolore dibattito all’interno delle CdB, qualche contraddizione con quanto affermato nella prima parte del documento laddove si parla di “IRC (ovvero Insegnamento religioso nelle scuole) come incongruo e antistorico nel suo essere appannaggio monopolistico della CEI)”.

L’IRC concordatario non può che essere appannaggio della CEI! Ma nessun insegnamento religioso – come tale, da chiunque impartito, sia pure liberato dai crismi delle gerarchie cattoliche – potrebbe aver luogo nella Scuola della nostra Repubblica.

La proposta raddrizza con determinazione l’ipotesi, in quel passo adombrata, di un insegnamento religioso nelle scuole non affidato alla CEI. Se l’ IRC non venisse più impartito da insegnanti nominati dall’Ordinario diocesano, cadrebbe automaticamente la sua natura confessionale, e verrebbe salvaguardato l’inserimento culturale del fenomeno religioso all’interno delle discipline previste nel piano di studi dei diversi ordini e gradi di scuole Ciò che i movimenti per la laicità della scuola vann
o da tempo affermando.

Ma ancora più importante e coraggiosa è la parte conclusiva del documento: le CdB invitano apertamente le/gli studenti delle scuole di ogni ordine e grado e “le loro famiglie a richiedere di non avvalersi dell’ora di religione confessionale nella consapevolezza che l’articolazione multiculturale della società italiana richieda oggi la rinuncia ad ogni privilegio… Le CdB italiane pertanto intendono promuovere il diritto al rifiuto ad avvalersi dell’IRC”. Un palese invito alle giovani generazioni a operare la distinzione fondamentale tra sfera personale, adesione a un credo religioso, e rinuncia nella sfera della civile convivenza ad ogni privilegio in nome del rispetto reciproco, dell’interazione delle differenze, nella ricerca della pace civile.

Optare per l’uscita dall’edificio o sottostare alle altre opzioni di attività alternative, benedette dalla citata sentenza del Consiglio di Stato? Nessuna indicazione in tal senso viene fornita dal documento. La sollecitazione al rifiuto delle attività alternative nella Scuola Superiore avrebbe rispettato – a nostro giudizio – la coerenza di un percorso, ma avrebbe riproposto l’equiparazione tra IRC e opzioni alternative in questo modo sapientemente evitata.

L’invito, semplice, chiaro al di là di tatticismi e burocraticismi giunge nelle scuole dove ormai da oltre 30 anni l’IRC è divenuto facoltativo, ma la sollecitazione promossa da coloro che laicamente della fede religiosa fanno la loro ragione di vita, può ottenere quel largo consenso che noi laici (spesso anche atei) non abbiamo a tutt’oggi riscosso.

La strada per una collocazione dell’IRC in orario aggiuntivo, al di fuori dell’orario scolastico obbligatorio (presente anche nel nuovo testo della LIP)**, si manifesta come la prosecuzione – resa più attrattiva dalla qualità dei promotori del documento – di quel cammino intrapreso da decenni ma ancora incompiuto.

* sent.1273/1987 del TAR del Lazio

“… non una scelta tra due distinte forme di insegnamento,che, certamente la riforma concordataria non contiene;né può logicamente contenere, riferimenti ad altro insegnamento che non sia quello religioso cattolico, sibbene tra l’avvalersi e non di questo insegnamento….”

** sent. Corte Costituzionale n.203/1989; n.13/1991

*** Legge di iniziativa popolare per la scuola della Costituzione

(13 ottobre 2017)



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