Le false tesi sull’epidemia di Xylella
Mauro Centritto
l’articolo “Giallo Xylella” di Petra Reski, pubblicato sul numero 2/2020 della sua Rivista, è caratterizzato dalla inconsistente aderenza alle evidenze scientifiche, dalla totale assenza di fonti e soprattutto dal mancato rispetto della realtà. Avendo un’impronta di chiaro stampo negazionista e complottista, l’articolo è assolutamente fuorviante e pertanto contribuisce ad alimentare la disinformazione su questa tremenda epidemia che rischia di mettere in ginocchio il comparto olivicolo dell’intero bacino mediterraneo, con conseguenti pesanti ricadute sul territorio, sulla cultura, sulle tradizioni, sul paesaggio ed ovviamente sull’economia mediterranea.
Stupisce che una rivista che si definisce illuminista dia spazio a teoremi assurdi ed inconsistenti, totalmente privi di base scientifica, che hanno come fonte primaria i sentimenti di persone dall’atteggiamento per lo meno discutibile. Ricordiamo l’esempio emblematico della “guerriera” che “agita un cartellone con su scritto <<Salviamo la sputacchina – vaffanculo Martina>> …. Un compagno di protesta la esorta ad avere un comportamento più sobrio, cosa che Anita, tuttavia non riesce proprio a fare”. Forte di queste fonti solide ed incontrovertibili, si costruisce così un teorema in cui – cerco di riassumere – potentati oscuri (agromafie? Multinazionali?) riescono a costruire un ecosistema perfetto per far progredire i profitti malavitosi, grazie alla convergenza con gli interessi di ricercatori infedeli che tentano di propalare tesi truffaldine per i propri vantaggi di carriera, e quelli delle Istituzioni pubbliche italiane (il Ministro dell’Agricoltura, Martina) e (potevano mancare?) europee (la Commissione, che attraverso il programma quadro Horizon 2020 per la ricerca e l’innovazione avrebbe conferito ai suddetti ricercatori finanziamenti ad hoc, manipolando le proprie consolidate e rigide procedure di valutazione e selezione dei progetti). Un complotto evidentemente teso ad avvelenare l’ambiente, avallando l’uso massivo di pericolosissimi fitofarmaci.
Davvero un gran servizio alla crescita civile del Paese. La realtà è invece che le affermazioni false e calunniose contenute nell’articolo di Petra Reski alimentano una pericolosa confusione e, sostenendo tesi assurde, contribuiscono a ostacolare la già difficile applicazione delle misure di contenimento definite per legge.
Proviamo ad analizzare alcuni punti. Premessa
Xylella fastidiosa è un batterio gram-negativo che si insedia e si moltiplica nei vasi xilematici, portatori di linfa grezza ed è causa dei disseccamenti degli ulivi in Puglia. È un patogeno da quarantena, ossia uno degli organismi “nocivi la cui identità è stata accertata, che non sono presenti nel territorio, oppure, se presenti, non sono ampiamente diffusi e sono in grado di introdursi, di insediarsi e di diffondersi all’interno del territorio” (MiPAAF). Questo era appunto il caso della Puglia nel 2013, dove il ceppo di Xylella fastidiosa rinvenuto, di origine centroamericana, era già presente ma non largamente diffuso. Il batterio è trasmesso da insetti vettori, il più importante dei quali è appunto la cosiddetta sputacchina, che si alimentano della linfa della pianta ospite inoculandovi così il batterio.
Gli ulivi sono davvero malati?
Nel 2013, quando per la prima volta fu identificato il patogeno X. fastidiosa in olivi sintomatici in Salento, si parlava di “complesso del disseccamento rapido dell’olivo” (CoDiRO), ipotizzando la contemporanea esistenza di altre possibili concause. Già agli inizi del 2016, mentre il disseccamento continuava a distruggere rapidamente l’olivicoltura salentina (l’analisi di immagini satellitari da poche migliaia a fine 2013 ha fatto levitare a 6,5 milioni il numero di olivi gravemente danneggiati già a fine 2017), furono pubblicati dati che, attraverso la dimostrazione dei postulati di Koch, dimostravano chiaramente che l’agente eziologico della malattia fosse proprio il batterio da quarantena. I lavori scientifici confermavano quindi il ruolo di X. fastidiosa come unica causa del disseccamento rapido degli olivi e quindi anche i timori di una diffusione epidemica della malattia. Siamo nel 2020: le ricerche sono proseguite, i sistemi di diagnosi sono stati affinati e ulteriori, numerose conferme sperimentali sono arrivate dalla comunità scientifica internazionale. La scienza procede, ma purtroppo anche il pregiudizio si espande.
Perché serve trattare con insetticida?
La sputacchina (Philaenus spumarius), insetto vettore della xylella, è responsabile della diffusione della malattia. È quindi estremamente importante tenerne sotto controllo la popolazione laddove il batterio è presente, principalmente con mezzi fisici/meccanici contro le forme giovanili e con mezzi chimici nei confronti degli adulti. Perché opporsi ai trattamenti insetticidi? Il rischio è l’ulteriore diffusione dell’epidemia, che minaccia non solo tutto il resto dell’olivicoltura ed agricoltura pugliese ma anche quelle delle regioni limitrofe e dell’intero Mediterraneo, come riporta una recente analisi economica, coordinata dall’Università olandese di Wageningen, che stima in svariati miliardi di euro l’impatto che nei prossimi decenni X. fastidiosa avrà sull’olivicoltura di Italia, Spagna e Grecia.
Il glifosate causa della morte degli ulivi?
L’articolo di Micromega reitera la tesi, sostenuta dai negazionisti sin dagli inizi dell’epidemia, che sia questo diserbante la vera causa dei disseccamenti, continuando a ignorare semplici e logiche evidenze contrarie, come la manifestazione della patologia con la stessa gravità negli uliveti storicamente condotti in biologico, la resistenza genetica di alcune varietà di olivo, l’assenza di sintomi analoghi in tutte le altre regioni olivicole mediterranee ove pure si utilizza il glifosate. Ma se anche l’ipotesi avesse un fondo di verità, è quantomeno strano che i suoi sostenitori in sette anni non abbiano prodotto una minima prova sperimentale a sostegno e, di conseguenza, si sottraggano sistematicamente al dibattitto scientifico internazionale nelle sue diverse forme, dalla pubblicazione dei risultati del proprio lavoro in riviste scientifiche alla loro presentazione in conferenze.
Come vengono erogati i finanziamenti europei?
L’articolo insinua il dubbio e getta ombre sulla legittimità dei finanziamenti assegnati in questi anni a sostegno delle ricerche sul batterio, mostrando di ignorare le procedure di accesso ai finanziamenti europei. Nell’articolo si legge infatti che “Tutto ruoterebbe intorno al denaro: ai finanziamenti europei destinati all’istituto di ricerca di Bari che si occupa di analizzare il batterio, ai fondi per i laboratori che sostengono di essere in procinto di sviluppare cultivar di ulivi resistenti” ovviamente per “biechi interessi”. Tutto ciò è palesemente falso: il CNR, coordinando una numerosa compagine di Istituzioni di ricerca europee, ha partecipato a diverse selezioni e ha ottenuto finanziamenti per la qualità delle proposte progettuali, dei laboratori e dei ricercatori che le hanno elaborate e presentate. La Commissione Europea infatti, affida la valutazione delle proposte progettuali a revisori indipendenti, qualificati e anonimi, che decidono in base alla qualità e fattibilità dei progetti, non trascurando i curricula dei ricercatori. Le attività progettuali devono poi essere costantemente relazionate e controlla
te dal punto di vista del rigore scientifico e finanziario.
Particolarmente grave è inoltre l’errata informazione riportata a pag. 164: “E fornire i risultati spetta esclusivamente all’Italia e cioè sempre agli stessi ricercatori dell’Ateneo barese, al Consiglio nazionale delle ricerche del capoluogo pugliese e all’Istituto agronomico mediterraneo di Bari (Iamb). Fino ad oggi tutte le misure disposte dalla Regione Puglia e dall’Unione europea sono basate sulle analisi condotte da questi enti: sono sempre questi, pertanto, a ricevere i finanziamenti UE per la ricerca”. È vero che il contributo dei suddetti Enti all’avanzamento delle conoscenze sull’epidemia causata dalla X. fastidiosa è stato finora sostanziale, ma certamente non
esclusivo: contributi significativi sono stati forniti, per esempio, dalle altre due Università pugliesi e dal CREA, Ente di ricerca del MiPAAF, dai principali centri di ricerca di stati europei come Francia e Spagna, dove sono presenti importanti focolai di altri ceppi dello stesso batterio, di molteplici centri di ricerca che hanno partecipato ai progetti di ricerca finanziati dal programma Horizon 2020. In ogni caso, ribadiamo, i prodotti della ricerca scientifica non sono mai recepiti acriticamente, ma passano al vaglio di revisori indipendenti, qualificati ed anonimi; la produzione scientifica riguardante X. fastidiosa viene poi valutata, su incarico della Commissione Europea, dall’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) mediante la propria commissione di Plant Health, che si avvale anche della consulenza di gruppi di esperti insediati ad hoc. Nonostante tutto ciò sia stato spiegato pubblicamente più volte, la giornalista continua a sostenere l’esistenza di una sorta di presunto e inesistente monopolio della ricerca, ovviamente funzionale agli interessi di oscuri potentati!
Varietà genetiche modificate e coperte da brevetto?
Un’altra grave ed insussistente affermazione si legge a pag. 167: “…già un anno prima del ritrovamento della Xylella l’università del capoluogo pugliese, l’Istituto per la protezione sostenibile delle piante, l’Istituto agronomico mediterraneo di Bari e il dipartimento di Scienze agrarie hanno siglato un accordo con la multinazionale dell’agricoltura Agrimillora per lo sviluppo di una nuova cultivar di ulivo adatta alla coltivazione industriale che garantisce loro il 70 per cento degli introiti derivanti dalla licenza”. L’affermazione è totalmente priva di fondamento, perché l’Istituto per la Protezione Sostenibile delle Piante del CNR non ha mai sottoscritto, “prima del ritrovamento della Xylella”, alcun accordo per lo sviluppo di nuove cultivar di olivo o di altre specie, né con Agromillora né con altri soggetti.
In conclusione, guardiamo con preoccupazione alla tendenza, sempre più comune, di insinuare condotte illecite e malavitose, gettando fango ed evidenti falsità sull’obiettivo prescelto. Ovviamente è giusto e giornalisticamente doveroso dubitare e chiedere spiegazioni, ma ciò non significa formulare gratuiti, immotivati e lesivi attacchi ad enti di ricerca e scienziati che svolgono il proprio lavoro con professionalità e diligenza, cercando di dare risposte a problemi importanti ed urgenti. L’epidemia causata da Xylella fastidiosa è uno di questi, un problema estremamente grave, una minaccia letale per una coltura pilastro non solo dell’economia agricola mediterranea, ma anche della storia, della tradizione e del paesaggio italiano.
La gravità della situazione dovrebbe richiamare tutti, ed in particolare chi si occupa di comunicazione, a comportamenti professionali e responsabili. L’isolamento, il contenimento e l’eliminazione delle fonti di infezione, per evitare che l’epidemia si trasformi in una pandemia, mettendo a rischio tutti gli olivi di Italia e d’Europa, sono misure fondamentali che non possono essere ostacolate con ipotesi infondate. A maggior ragione dovremmo riuscire a capirlo oggi: più in fretta e in maniera capillare agiamo, più saremo efficaci.
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