Le incognite del Brexit e gli errori dell’Europa
Antonia Battaglia
Il Brexit ha gettato l’Europa in un’incertezza epocale. Ma era davvero così difficile immaginarlo? L’ipotesi dell’uscita del Regno Unito dall’Unione era plausibile ed è quello che è accaduto. Ma, come se nessuno avesse voluto immaginare il peggio, adesso né le Istituzioni Europee né le Capitali sembrano preparate. Da venerdì notte è tutto un susseguirsi di dichiarazioni contraddittorie e di impossibili colpi di scena, tra petizioni per un nuovo referendum, la Scozia che vuole restare nell’EU, Londra che tenta il tutto per tutto, Cameron che si è dimesso ma esita ad attivare l’articolo 50 del Trattato sull’Unione Europea per sancire l’uscita ufficiale.
Un punto è certo però. Che il negoziato per la Brexit sarà portato avanti dalla Germania. Perché è la Cancelliera Merkel che, ancora una volta, ha preso de facto il posto delle Istituzioni Europee. Una posizione timida nelle prime ore, la sua (e quella della CDU) in contrasto con l’atteggiamento del ministro degli esteri Steinmeier (SPD) che ha chiesto un’uscita immediata.
Da una parte la Germania teme che il vento riformatore in Europa possa portare a delle modifiche fondamentali al Trattato, e quindi possa perdere il controllo indiscusso che ha attualmente. Dall’altra, crogiolarsi in posizioni poco chiare può lasciare spazio per i populismi, nazionalismi sia antichi che delle ultime ore e potrebbe rinforzare la volontà di chi, altrove in Europa, come in Francia e Svezia, ha già chiesto referendum simili. Inoltre, umiliare la Gran Bretagna lo si può fare ma fino ad un certo punto: è un partner economico troppo importante.
Et maintenant?
Le divisioni sono tante anche in Francia, dove il ministro degli esteri Ayrault chiede un’uscita immediata, mentre il Ministro dell’economia Macron frena e dice che un nuovo trattato non può esser scritto in quindici giorni.
Renzi ha dichiarato che “La partita e finita, ora si volta pagina”. Ma non si sa ancora se e quando Londra confermerà l’uscita. Le questioni politiche tra Tory e Labour peseranno, e Nicola Sturgeon, primo ministro scozzese, fa sapere che la Scozia continua ad opporsi al Brexit. “Il progetto Farsa” -ha scritto Sturgeon su Twitter- è cominciato e tu Boris (Johnson, leader della campagna Leave, ndr) ne sei largamente responsabile”.
E allora Merkel entra in campo di nuovo e richiama tutti alla calma, ricordando che soluzioni rapide e semplici dividerebbero ancor di più l’Europa. Juncker, Presidente della Commissione, però non ammette la grande sconfitta dell’EU, che della possibilità di un voto tipo Brexit avrebbero dovuto capire molto e molto tempo fa, e attacca rispondendo che l’Europa ha decenni di esperienza in materia di gestione delle crisi e che ne è sempre uscita rinforzata. Ma la verità è che non si è fatto davvero molto per evitare Brexit, a diversi livelli.
Il rischio è che le negoziazioni durino anni e che durante questo periodo l’Europa si occupi esclusivamente di questo.
La Francia, inoltre, indebolita dalla cattiva intesa Merkel-Hollande, cerca di cavalcare l’onda della riforma e chiede agli altri leader europei di accompagnarla nella proposta di rifondare, reinventare un’altra Europa, sperando nell’aiuto di Renzi per un nuovo trattato. In marzo 2017 cadranno i 60 anni del Trattato di Roma.
Ma rilanciare per fare cosa? Cambiarla si ma come? Come affrontare l’euroscetticismo? Rafforzando ed allargando la zona euro (19 paesi)? Negoziando un nuovo trattato tra fondatori? Come avvicinare i cittadini a quest’Unione così distante dai loro bisogni primari? Come colmare il gap di partecipazione democratica?
Un vaso di Pandora, nell’aprire il quale non si avevano ancora ben chiari i rischi. Questo referendum è stato una roulette russa, il cui esito avrà conseguenze planetarie.
Una decisione così irreversibile per tutta l’Europa poteva davvero esser presa con uno strumento quale il referendum, così soggetto ai mutevoli sentimenti popolari?
Siamo certi di non essere di fronte ad una distorsione della democrazia?
L’implosione dell’Unione Europa, date per certe le chiare responsabilità delle sue Istituzioni, poteva esser decretata appunto da un tale strumento di democrazia? E’ vera democrazia o si agisce per via di una distorsione democratica?
E’ stato chiesto a Farage, euroscettico leader di Ukip, durante la trasmissione Good Morning Britain, di documentare uno dei punti martellanti della sua campagna Leave. Ovvero che ogni settimana 350 milioni di sterline venivano pagate da Londra all’ Eu. Ha ammesso, imbarazzato, che era stato un errore degli organizzatori della campagna Leave. Tra l’altro, secondo le stime ufficiali, non di oneri a carico della Gran Bretagna si trattava ma di vantaggi. Lo stesso Farage ha detto successivamente che il Regno Unito entrerà in recessione ma che questo non dipenderà dal Brexit.
L’Europa deve essere riformata, senza dubbio, pur non sottovalutando i rischi di realizzare questa riforma in un momento in cui euroscetticismo e nazionalismo si rafforzano vicendevolmente. Un processo di cambiamento così profondo richiederebbe modalità non soggette alle emotività del momento.
L’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea ha molti aspetti differenti, che non sono assolutamente riducibili ad unica matrice di rifiuto e contestazione dell’Europa quale essa è oggi.
Per esser arrivati a questo punto ci sono stati dei passi da gigante verso il baratro, compiuti nel passato più recente. A cominciare dalla deludente politica europea nei Balcani negli ultimi venti anni, prima avvisaglia della gestione del potere continentale in chiave auto-difensiva e non di apertura ed accoglienza, né di reale risoluzione delle questioni geopolitiche più vicine.
La grave crisi economica, l’inefficace risposta al terrorismo e soprattutto la lacunosa politica di gestione della crisi migratoria hanno acuito un état de l’art già molto traballante, che alla base poco aveva di comune e comunitario.
L’Unione Europea nasce da un progetto politico di grande idealismo, fondato sulla condivisione di principî e di finalità, in nome di passato e di radici comuni. Si è riusciti, però, a svuotare la materia filosofico-politica che stava al cuore dell’Europa, per farne uno strumento di dominio di alcuni pochi eletti Stati, in un carosello infernale in cui il potere dei più piccoli e deboli dipende dalla vicinanza e dall’aiuto che essi riescono ad ottenere dai grandi.
E’ venuto a mancare il sogno di Altiero Spinelli già nel giorno in cui il Trattato di Lisbona trasformò l’Unione Europea in un mostruoso groviglio di materia giuridica, incomprensibile alla stragrande maggioranza della popolazione. Il Trattato sul funzionamento unico dell’Unione Europea, o trattato di Lisbona (2007) costituisce, infatti, la base fondante dell’attuale diritto primario del sistema politico dell’UE. Ma, pur avendone rinforzata la costituzione, esso non ha saputo dar vita all’unione di intenti politici e filosofici.
Se si è arrivati all’uscita del Regno Unito, infatti, è anche perché lo strumento del diritto in mano alla Commissione Europea è diventato una bacchetta di comando. Non è l’archetto di un maestro, come avrebbe dovuto essere, ma
una verga con la quale paesi economicamente e politicamente forti come la Germania possono disporre di grande potere e condizionare la vita stessa dell’Unione a (ex) 28.
La gestione miope della questione greca, la mancanza totale di una visione comune in materia di migrazione – che non sia appunto la deludente condivisione del principio “aiutiamoli fuori dai nostri confini” – hanno inasprito differenze, punti di vista lontani, interessi molto eterogeni, accentuando notevolmente la sfiducia del popolo europeo nei suoi rappresentanti.
La Commissione Europea e la Banca Centrale hanno salvato le casse della Grecia, ma non hanno salvato la dignità del popolo greco davanti agli occhi del mondo intero. Il prezzo pagato in termini di sacrificio storico, di mancanza di solidarietà e di condivisione umana da parte dei Greci è stato troppo alto. Le frizioni sono diventate scosse telluriche e nulla è stato fatto per ridare a Tsipras quella dignità di cui aveva bisogno agli occhi del suo stesso Paese.
L’algida gestione della questione migrazione, il patto scellerato con la Turchia che, rea di importanti violazioni di diritti umani, continua a gestire la vita di migliaia di esseri umani per conto dell’Europa, ha rappresentato un ulteriore punto di attrito e forse il punto di non ritorno dell’abbandono del principio stesso sul quale si fonda l’Unione: la solidarietà e la condivisione.
Dopo il referendum greco, tutto è diventato possibile. Dopo il patto Eu-Turchia, è caduta ogni velleità. E la Brexit è solo la conferma di una totale mancanza di sintonia tra Paesi, Istituzioni e cittadini.
Da un’Europa di principî, si è passati ad un’organizzazione di tipo militare messa a guardia di confini ed austerity.
Che il Regno Unito stesse facendo i conti con la questione referendum non era un segreto per nessuno a Bruxelles. E che Cameron fosse contrario alla elezione di Juncker, non era neanche questo un segreto.
Perché le istituzioni non sono scese in campo per evitare il Brexit e per conciliare posizioni di partenza così diverse? Politicamente, moltissimo poteva esser fatto. Ma è prevalsa l’austerity anche in senso morale: la condanna, come con la Grecia e con i Paesi “i mediterranei” indietro con le riforme. E’ prevalsa un’Europa in cui si perdonano gli scandali finanziari come LuxLeaks.
Il Presidente del Consiglio Europeo Tusk ha dichiarato a dicembre, in una intervista al Guardian, che detenere fino a 18 mesi un migrante è permesso dal diritto internazionale. “Per favore non sottovalutiamo il ruolo della sicurezza”. Questo è l’uomo il cui compito sarebbe quello di forgiare e guidare le direzioni della politica europea dei 28 (adesso 27). Il Brexit è una grande sconfitta di questa architettura europea.
La risposta di Bruxelles al referendum inglese non è stata altro che astio, fretta, arroganza.
Particolarmente deludente la dichiarazione del Presidente del Parlamento Europeo Schulz, che ha definito “scandalosa” l’opzione che Cameron possa restare in carica fino ad ottobre, momento in cui il suo successore sarà designato dal partito conservatore. Schulz ha invitato il Regno Unito ad uscire “quanto prima” dall’Unione Europea.
Ma il Presidente del Parlamento europeo parla anche, ancora, a nome di quella parte del popolo inglese che ha votato per restare in Europa. E anche se parlasse solo a nome di quella parte del popolo inglese euroscettico, non avrebbe lo stesso il diritto di dire “Li vogliamo fuori il prima possibile” perché dovrebbe essere il Presidente di un’Europa che, invece di dividere, accoglie e sana.
L’Europa non può continuare ad essere un clan di amici della Germania, il cui fine è quello di mantenere in vita le politiche di austerità e il dominio di pochi sui tanti.
Habermas scriveva, in “Costellazione Post-nazionale”, che la questione, effettivamente, è quella di capire se potrà mai formarsi una coscienza europea della solidarietà cosmopolitica.
Solo la modalità democratica della legittimazione del potere dà compimento all’associazione di stati quali l’Unione Europea. E solo nel pieno rispetto di ideali comuni e alti che le singole coscienze nazionali generano la necessaria solidarietà civica. In caso contrario, il passo verso la disintegrazione è corto e certo.
(27 giugno 2016)
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