Le tre metamorfosi di Conte
Michele Martelli
Chi è il benpensante scandalizzato dalla terza metamorfosi di Giuseppe Conte, da giovane studente di provincia, poi docente universitario (I), ovvero signor Nessuno in politica, a premier-ombra (II) del governo Salvini-Di Maio, inglorioso vice dei suoi due vice, fino a presiedere, a quanto sembra, in autonomia (III), e fino a che punto lo vedremo, il nuovo governo giallo-rosso (o rosa)? Il suo motto potrebbe essere quello volutamente sgrammaticato di Rimbaud: «Je est un autre». Perché? Ma perché la vecchia classica idea identitarista e tautologica dell’«io=io», «individua substantia» metafisicamente indivisibile e inalterabile, è difficilmente sostenibile. Nelle scienze socio-antropologiche odierne avanza infatti sempre più l’idea dell’«io=noi» («una repubblica», lo definiva già Hume, e articolata «città o campagna» Pascal): costrutto storico-culturale, plurale e mutevole, un «intreccio o groviglio di somiglianze e differenze», ininterrottamente «simile e dissimile» da se stesso, sempre in parziale e precaria strutturazione[1].
La biografia accademica di Conte qui non ci interessa nello specifico. Ma la sua biografia politica sì, spezzata in due dal suo coraggioso discorso dimissionario in Parlamento il 20 agosto: un Conte simile e dissimile da se stesso, un po’ il professore che dà lezione di costituzionalismo ad un allievo politicamente analfabeta (gli emoticon delle facce e smorfie di Salvini erano un involontario sberleffo alla sua «Bestia» digitale), e un po’ un politico «altro», a sorpresa «diverso», riformista europeista e quasi laburista, che preannunciava una nuova stagione. Ma quanto della sua pregressa ignavia il «bis-Conte» porterà nel governo Pd-5S solo chi ha la sfera di cristallo può saperlo. Quanto la dissomiglianza tra i due Conte prevarrà sulla somiglianza? Chi non ricorda la sua promessa di un «anno bellissimo» per quel che si è rivelato invece un annus horribilis, sotto le tetre insegne razziste, fascistoide e xenofobe del Ministro della Propaganda e della Paura (mesto il suo trasloco obbligato dal Viminale: ma lì nessuno l’aveva mai visto; chiedetelo al custode)?
Conte ha detto di aver mediato e meditato. Di essersi distanziato in privato dal Salvini mitragliante dei «porti chiusi» e dell’«armatevi e sparate». A noi sa di excusatio non petita … Alla storia restano i fatti: la sua auto-denuncia per salvare il capo leghista dal processo sulla Diciotti, le sue firme sulle orrende leggi salviniane, la sua foto pubblica col ministro antimigranti sorridente al suo fianco, e con in mano entrambi l’ineffabile cartello: «Decreto Salvini. Sicurezza e Immigrazione». Ma sicurezza da chi, da qualche decina di profughi disperati, tra cui donne e bambini, affamati, assetati e a rischio annegamento nelle acque di Lampedusa? O dagli immigrati buttati in strada e trasformati in potenziali fattori di insicurezza proprio dai Decreti Sicurezza?
«Altro» sembra il Conte del nuovo governo Pd-5S, di cui dichiara di voler essere guida sicura e sintesi efficace. A che cosa oggi, invero, egli ci ha messi di fronte? Non più ad un amoroso contratto privato (peraltro incostituzionale), come quello di un anno fa tra i due patetici promessi sposi di Lega e 5S, ma ad un faticoso e difficile programma di coalizione (allestito purtroppo frettolosamente, senza una profonda riflessione e condivisione strategica!). Non più ad un inverecondo mercato di vacche, ad una miriade di baratti, di do ut des, ma ad una dichiarata unità di intenti (seppure inevitabilmente approssimativa, e con tante, troppe riserve mentali delle due forze protagoniste!). Molte, ovviamente, anche le trappole, i trabocchetti, gli imprevedibili infortuni in cui potrà cadere il neo-governo (a partire dalle contraddizioni interne ai due alleati: chissà se ci sarà una replica dell’«Enrico stai sereno»!).
Ma i 29 punti, orientati verso la difesa della Costituzione, dei diritti, del lavoro, dei beni pubblici (scuola, sanità, green economy, tassazione progressiva, ecc.), per quanto sufficientemente astratti e generici, quasi un libro dei sogni, sembrano tuttavia di buon auspicio. Anche se, per superare in gran parte la loro diversità, per diventare più simili che dissimili, anziché più dissimili che simili come fino ad oggi apparivano, per rigenerarsi radicalmente contaminandosi l’un l’altro, posto che accada, Pd e 5S hanno bisogno di tempo, di molto tempo. Ma è tuttavia cosa augurabile e non impossibile. La «coerenza dello scarafaggio» (come ha scritto nel suo blog il 10 agosto il Grillo della svolta contro «i nuovi barbari»), ossia la politica identitaria e mortifera dell’«io sono io», con l’implicito risvolto della brama di conquista e distruzione dell’«altro», non serve né ai 5S né al Pd. E nemmeno agli italiani progressisti.
Lasciamola a Salvini, che in nome di questa «coerenza» (il)logica identitario-autoritaria è riuscito finora soltanto a ridimensionare e sgonfiare il suo elefantiaco «Sé» o «Self» (sarà un caso che è stato ingigantito dai selfie?). Aveva tutto, ha rischiato di perdere tutto, anche il comando della sua Lega. Chiamando proditoriamente traditori gli altri, i (da lui) traditi, ora tenta di risalire nei sondaggi, ma invano. Estromessosi col suo harakiri dai centri del potere, lui che era giunto a chiedere «i pieni poteri», ora, forse nel folle progetto di prendersi quei «poteri» con altri mezzi, si appella alle piazze d’Italia. A cominciare da piazza Montecitorio, dove il disperato ex-(non-)ministro degli Interni si è mischiato tra i Meloni tricolori d’Italia, e i neofascisti di Forza nuova e Casapound: una piazza oggettivamente eversiva, estranea e ostile alla razionalità dialogica e argomentativa, nonché alle regole procedurali della Costituzione, in base alle quali si è formata la nuova maggioranza parlamentare, altrettanto «legale» e «legittima» della precedente; una piazza oggettivamente eversiva, perché mobilitata non solo contro il nuovo governo, ma anche contro il Presidente della Repubblica, che ne ha garantito e autorizzato la nascita. A quando in Italia una destra non eversiva e fascistoide, ma liberale e parlamentare, finalmente costituzionalizzata?
Come l’«Io», l’«Unico» immaginario di Stirner, memorabile oggetto degli sberleffi critici di Marx ed Engels, che vantava le stesse «proprietà» di Dio (perfezione, onnipotenza, incondizionatezza, ecc.), chiudeva la sua assurda pretesa di auto-deificazione con la confessione della sua auto-nientificazione («Ho fondato la mia causa su nulla»), così – e questo è un fatto inoppugnabile – l’ingordo onnivoro Salvini, che ieri reclamava, contro il dettato costituzionale, lo scettro dei «pieni poteri» («lo Stato sono io», anzi: «Io sono lo Stato»), ora è fuori dal Viminale e dal governo, sull’orlo di un «nulla» che ricorda metaforicamente la fine dell’«Unico» stirneriano.
Ma la «Bestia», seppure emarginata e ridimensionata, ringhia ancora, pronta a (ri)balzare sulla scena. Se ciò accadrà o non accadrà, dipenderà non solo da quello che farà, o non farà, il nuovo governo, ma anche da noi, dal nostro auspicabile rinnovato attivismo democratico.
[1] Vedi Francesco Remotti, Somiglianze. Una via per la convivenz
a, Laterza, Bari, 2018.
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