I CLASSICI DI MICROMEGA: ‘Lealtà, defezione, protesta’ di Albert O. Hirshman presentato Lucio Baccaro

Lucio Baccaro

Quante volte abbiamo sentito dire che questo o quel partito politico è diventato una sorta di azienda, che segue esclusivamente le logiche del marketing? E se invece fossero le aziende a doversi interrogare su un elemento che nelle organizzazioni politiche gioca un ruolo centrale e che gli stessi partiti stanno dimenticando? In questo classico della sociologia politica Albert O. Hirschman indaga le modalità con cui gli utenti di un’organizzazione economica o politica interferiscono con le decisioni dell’organizzazione stessa, attraverso i complessi meccanismi dell’‘uscita’ e della ‘voce’.

Questo libro – pubblicato per la prima volta nel 1970 – ha un obiettivo ambizioso: presentare una teoria generale dei meccanismi di apprendimento organizzativo, valida sia per le imprese sia per le organizzazioni politiche, che spieghi come sia possibile, per organizzazioni la cui performance si va deteriorando, correggere la rotta e migliorare la propria «offerta», sia essa un prodotto, un servizio, o una piattaforma programmatica1.

Uno di questi meccanismi è il mercato. Un’impresa che vede il numero dei suoi clienti assottigliarsi, la quota di mercato ridursi, i profitti contrarsi, sa che deve modificare qualcosa: aumentare la qualità, abbassare i prezzi, ridurre i costi. In maniera simile, un partito politico che vede restringersi il proprio consenso elettorale trae analoghe conclusioni. L’autore, l’economista e sociologo tedesco Albert O. Hirschman, chiama questo meccanismo, che ritiene tipico delle organizzazioni economiche, «uscita» (exit).

L’interesse e la principale novità del libro è però l’analisi di un altro meccanismo organizzativo, tipicamente politico: la «voce» (voice). Un’organizzazione cambia non solo e non necessariamente perché clienti e utenti la abbandonano, ma anche perché qualcuno al suo interno indica a leader e manager la presenza di disfunzioni che andrebbero corrette.

«Uscita» e «voce» interagiscono in maniera importante con il livello di «lealtà» (loyalty) dei membri dell’organizzazione. La lealtà aumenta i «costi» dell’uscita, e incentiva l’esercizio della voce, modificandone però la tempistica: membri particolarmente leali sono inizialmente poco propensi a esprimere critiche nei confronti dell’organizzazione, ma lo divengono sempre di più con l’aumentare della distanza tra aspettative e realtà.

All’autore non interessa determinare in quali condizioni sia ottimale utilizzare l’uscita e in quali la voce, ma esplorare le interrelazioni tra i meccanismi in particolari contesti. Un limite dell’opera è la mancata tematizzazione della distinzione tra «clienti» dell’organizzazione e «soggetti interessati» (stakeholders). La differenza tra le due categorie è accennata, ma non pienamente sviluppata. I primi si limitano a «comprare» il «prodotto» dell’organizzazione, ovvero contribuiscono alla «domanda»; i secondi contribuiscono a realizzarlo, ovvero sono importanti per l’«offerta». In linea teorica, uscita e voce si applicano tanto ai clienti quanto ai soggetti interessati, con esiti però differenti che è bene considerare separatamente.

Uscita e voce nelle organizzazioni economiche

 

Nel discutere dei meccanismi di uscita per le organizzazioni economiche, Hirschman ha in mente i clienti di un’impresa che, nell’abbandonare i prodotti dell’azienda in questione sostituendoli con i prodotti di aziende concorrenti, lanciano un importante segnale al management perché intraprenda azioni correttive. La trattazione non aggiunge molto a quanto è già noto, grazie soprattutto ai lavori di von Hayek 2, sul ruolo della concorrenza come dispositivo di trasmissione dell’informazione. Ci sono, tuttavia, osservazioni interessanti e originali, come quelle ad esempio relative agli effetti della compresenza di fornitori pubblici e privati nello stesso settore.

Quando un servizio pubblico si deteriora – Hirschman fa qui riferimento al trasporto ferroviario in Nigeria e alla scuola dell’obbligo negli Stati Uniti (cfr. pp. 44-54) – la risposta organizzativa più efficace è secondo l’autore quella dell’esercizio di una voce vigorosa da parte degli utenti, che costringa il management a migliorare gli standard del servizio. La presenza dell’opzione di uscita, ovvero di fornitori privati dello stesso servizio anche se a prezzi più elevati, riduce però la probabilità che la voce si faccia sentire. Infatti, i primi a uscire sono proprio gli utenti che hanno più a cuore il servizio, e che sarebbero disposti a mobilitarsi per ottenere una qualità adeguata dello stesso, mentre coloro che rimangono sono meno interessati, ed esercitano dunque una pressione minore sulla dirigenza.

Paradossalmente, dunque, la possibilità di uscita genera un equilibrio perverso in cui un servizio pubblico di bassa qualità e bassi costi per l’utente e un servizio privato di alta qualità e alti costi convivono fianco a fianco senza disturbarsi più di tanto. In queste condizioni, sarebbe preferibile secondo Hirschman eliminare l’opzione di uscita, costringendo gli utenti con preferenze più intense a esprimere la propria insoddisfazione dall’interno. Più che una soluzione generale, quella di Hirschman sembra però la soluzione di un caso particolare. Milton Friedman obietterebbe che la soluzione ottimale al problema del deterioramento del servizio sarebbe quella di eliminare il fornitore pubblico e di mettere in concorrenza tra di loro i fornitori privati fornendo agli utenti dei buoni (vouchers) da spendere secondo le loro preferenze 3. Hirschman risponderebbe probabilmente che lo scenario della privatizzazione totale non è, per varie ragioni, praticabile o desiderabile.

Nel trattare dell’opzione di voce in organizzazioni economiche, Hirschman fa riferimento al caso di acquirenti di beni non fungibili che, piuttosto che rivolgersi ad altri fornitori, preferiscono, dati gli elevati costi di transazione, trasmettere verbalmente la propria insoddisfazione all’impresa, sperando così di suscitare una risposta appropriata. In questo caso uscita e voce, lungi dall’essere ortogonali, risultano correlate: l’efficacia della voce è tanto più elevata quanto più credibile è la minaccia di uscita, che dipende dalla presenza di alternative credibili.

Se nell’epoca fordista caratterizzata da prodotti standardizzati il feedback della clientela non era particolarmente importante, la sua rilevanza è destinata ad aumentare grandemente nei decenni successivi. Da questo punto di vista, la discussione hirschmaniana sull’importanza per le imprese, al fine di migliorare le performance commerciali, di avvalersi anche dei segnali offerti dalla voce, e non solo dall’uscita, appare senz’altro lungimirante. Si pensi alla «produzione snella», in cui i rapporti di subfornitura, per lo meno per i fornitori chiave, sono regolati non dal sistema dei prezzi, ma da meccanismi di coordinamento discorsivo in cui si trasmettono informazioni su anomalie e soluzioni 4. O, in epoca attuale, alla ricerca spasmodica da parte delle aziende di commenti, valutazioni e suggerimenti della clientela. A ben vedere, i segnali lanciati dal mercato non sono particolarmente nitidi: un’azienda che perde clienti sa che c’è qualcosa che non va, ma non esattamente cosa non va. Il meccanismo della voce consente invece di acquisire informazioni più precise.

Un aspetto non considerato da Hirschman, ma sviluppato successivamente da altri, è l’importanza della voce (ovvero del feedback) dei dipendenti dell’impresa, piuttosto che dei clienti. Infatti, uno strumento potente di miglioramento della performance è l’incorporazione delle conoscenze, spesso tacite, di coloro che sono direttamente coinvolti nei processi di produzione e possono dunque contribuire al miglioramento degli stessi. Su questo tema mettono l’accento Freeman e Medoff in un famoso libro in cui spiegano come sia possibile che le aziende sindacalizzate americane, in cui i costi del lavoro sono più alti a causa del «premio sindacale» (union premium), possano competere ad armi pari con le aziende non sindacalizzate 5. La risposta dei due autori è che la presenza sindacale attiva meccanismi di voce meno frequenti nelle aziende non sindacalizzate, e che tali meccanismi permettono al management di aumentare la produttività, compensando in questo modo i costi salariali più elevati.

em>Uscita e voce nelle organizzazioni politiche

 

La distinzione tra soggetti esterni e interni all’organizzazione diviene ancor più rilevante nel momento in cui si analizzano partiti politici e associazioni volontarie. I votanti, esterni all’organizzazione, si limitano a comprare sul mercato dei voti pacchetti programmatici offerti dalle organizzazioni politiche. I militanti partecipano invece direttamente all’elaborazione dell’offerta politica delle organizzazioni.

Uno degli obiettivi di Hirschman è contrastare una tendenza che era ai suoi inizi negli anni in cui il libro apparve, ma che è diventata ben più rilevante successivamente: la colonizzazione della scienza politica da parte della scienza economica, attraverso l’applicazione degli strumenti di analisi della seconda all’oggetto di indagine – il governo e i processi politici – della prima. Hirschman intende mostrare, al contrario, che ci sono meccanismi prettamente politici (ad esempio la voce) che contribuiscono a spiegare anche fenomeni economici.

Una delle previsioni che si possono ricavare da An Economic Theory of Democracy di Anthony Downs, un libro che apre la strada alla suddetta colonizzazione, è che partiti che mirano alla massimizzazione del consenso elettorale tendono a convergere verso il centro dello schieramento politico 6. Più precisamente, se le preferenze degli elettori sono rappresentabili con una distribuzione unimodale su una sola dimensione (per esempio lungo una linea continua sinistra-destra), se la decisione di voto è finalizzata a minimizzare la distanza tra la propria posizione e la posizione del partito prescelto, e se ci sono, come nel caso statunitense, solo due partiti, allora entrambi i partiti hanno interesse a muoversi verso il centro, offrendo ricette simili agli elettori. Questa previsione è tuttavia spesso smentita dai dati, e contrasta in particolare con la scelta del Partito repubblicano di candidare Barry Goldwater alle elezioni presidenziali del 1964. Goldwater era notoriamente un candidato di destra, lontano dall’elettore mediano, ed era facile prevedere all’atto della designazione che avrebbe perso il voto popolare, come effettivamente accadde (con ampi margini). In breve, la scelta di Goldwater appare una scelta irrazionale.

Per spiegare l’anomalia Hirschman esamina le reazioni dei militanti (pp. 69-71). Questi hanno preferenze più intense dei semplici votanti e tendono a collocarsi in posizione più estrema. Non si limitano solo a votare per il partito, ma profondono le loro energie nelle campagne elettorali. Quando il partito prende a spostarsi verso il centro, la loro insoddisfazione aumenta, ma l’opzione di uscita è per loro poco praticabile: per ipotesi non ci sono che due partiti (per esempio a causa di elevate barriere all’entrata associate a una legge elettorale fortemente maggioritaria), e l’offerta politica alternativa è comunque più lontana dalle loro preferenze del partito di cui fanno parte.

I militanti hanno dunque forti incentivi a esercitare l’opzione di voce, ovvero a operare all’interno del partito per modificarne la linea politica. I nuovi elettori di centro tendono invece ad avere preferenze meno intense e più mobili: sono disposti a votare per il partito, ma non a battersi per esso. Risulta loro più facile esercitare l’opzione di uscita che quella di voce. Se, come è il caso delle primarie americane, la scelta del candidato tende a conformarsi alle preferenze degli attivisti piuttosto che degli elettori, ecco che una scelta apparentemente irrazionale come la designazione di Barry Goldwater diviene comprensibile. In questo caso è l’opzione di voce, distribuita asimmetricamente tra votanti potenziali e attivisti, a fare la differenza. Questo implica che se le procedure di selezione del candidato dovessero divenire più simili a quelle utilizzate nell’elezione generale – per esempio attraverso primarie «aperte» cui possono partecipare anche quanti hanno legami molto fragili con l’organizzazione – la probabilità di designare un candidato «centrista» aumenterebbe.

L’analisi di Hirschmann identifica anche un’interessante asimmetria tra l’uscita dei militanti e il loro eventuale rientro nell’organizzazione (pp. 86 ss.). I militanti tendono a essere leali, il che significa che per loro i costi dell’uscita sono più elevati che per altri. A bassi livelli di divario tra preferenze e programma dell’organizzazione, non solo sono meno propensi a uscire, ma anche a formulare apertamente critiche alla linea del partito. All’aumentare del divario, tuttavia, l’utilizzo della voce aumenta. È possibile che il divario divenga a un certo punto talmente ampio da costringere anche i membri più leali ad abbandonare l’organizzazione, ad esempio per fondarne una nuova. Supponiamo ora che il partito voglia recuperarli modificando la linea. Secondo Hirschman, non è sufficiente che ritorni allo status quo ante, ovvero allo scarto tra linea del partito e preferenze dei militanti vigente al momento dell’uscita. È necessaria una correzione molto più ampia del divario. Insomma, nei fenomeni di secessione organizzativa ci sono effetti importanti di dipendenza dal percorso (path-dependency) che rendono difficile correggere le decisioni prese.

Considerazioni conclusive

 

Una delle caratteristiche più rilevanti del libro di Hirschman è la capacità che l’autore ha di prendere un numero limitato di concetti semplici, di per sé riassumibili in poche pagine, e di esaminarli in profondità utilizzando prospettive disciplinari diverse (economia, scienza politica, storia, psicologia), esplorandone ramificazioni e interrelazioni, e così facendo di mostrarne la rilevanza per la comprensione di fenomeni disparati, di natura tanto economica quanto politica.

L’analisi dell’importanza della voce, sia interna (degli stakeholders) che esterna (dei clienti), come complemento ai segnali offerti dal mercato e dal sistema dei prezzi, anticipa, come argomentato sopra, letterature che sarebbero apparse 20-25 anni dopo la pubblicazione del libro. L’esame del ruolo dell’interazione tra voce e lealtà per spiegare il cambiamento programmatico dei partiti e le sue difficoltà rimane, a mio parere, di grande attualità anche a molti anni di distanza.

In ultima analisi Exit, Voice and Loyalty fa quello che ci si attende da un classico: benché alcuni giudizi appaiano oggi datati, fornisce una serie di spunti analitici che sopravvivono al momento della loro formulazione e possono essere ricombinati in maniera originale per spiegare fenomeni nuovi.

1 I riferimenti sono all’edizione originale: A.O. Hirschman, Exit, Voice and Loyalty: Responses to Decline in Firms, Organizations, and States, Harvard University Press, Cambridge 1970. Nel testo si si tradurranno «exit» e «voice» – che nel titolo dell’edizione italiana (il Mulino, 2017) sono resi con «defezione» e «protesta» – rispettivamente con «uscita» e «voce».

2 Si veda in particolare F.A. von Hayek, «Competition as a Discovery Procedure», Quarterly Journal of Austrian Economics, 5, 3, 2002, pp. 9-23.

3 Cfr. M. Friedman, Capitalism and Freedom, University of Chicago Press, Chicago 1962, pp. 85 ss.

4 Cfr. J.P Womack, D.T. Jones, D. Roos, The Machine that Changed the World, Free Press, New York 1990.

5 Cfr. R.B. Freeman, J.L. Medoff, What Do Unions Do?, Basic Books, New York 1984.

6 Cfr. A. Downs, An Economic Theory of Democracy, Harper, New York 1957.

(14 maggio 2020)



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