L’eredità della Secular Conference 2017: la libertà dalla religione come diritto umano
Monica Lanfranco
Mentre montavo le brevi interviste che ho realizzato alla Secular Conference di luglio a Londra cercavo di capire cosa mi disturbava, (al netto dell’ovvio disgusto per il tracimare di razzismo e sessismo della rovente estate italiana), nel dibattito intorno agli stupri e alla nazionalità di chi li commette, tralasciando (si fa per dire) l’hate speech diffuso nei social su Laura Boldrini, ormai un must come l’ombrello pieghevole in autunno.
L’ho capito quando ho rivolto lo sguardo alla borsa di tela distribuita all’incontro londinese contenente il programma dei lavori: il suo titolo, che ogni anno cambia e sintetizza l’angolazione scelta per ragionare di fondamentalismo, cultura femminista, critica al multiculturalismo era lì, stampato e chiaro.
#Iwant2Bfree recita il logo: voglio essere libera/libero.
Da cosa? Volendo semplificare si tratta di liberarsi dalla religione, il che non significa dal proprio anelito alla spiritualità, ma dal legame pesante del dogma e dell’osservanza di regole su base religiosa che diventano dettami sociali e politici.
Dall’automatismo che, a seconda del colore della pelle, dei tratti somatici e della provenienza geografica ingabbia e categorizza gli esseri umani in uno specifico ambito religioso, culturale, tradizionale. E, così facendo, antepone le (presunte) caratteristiche legate dall’appartenenza culturale all’universalità dei diritti e dei doveri.
Nel caso di Rimini, infatti, molti degli scambi, il più delle volte violenti e rancorosi, si sono appuntati non tanto sullo stupro, ma sul fatto che gli stupratori fossero africani, quindi tout court islamici. Un procedimento di spostamento dal problema della violenza contro le donne, (che è un problema universale) a quello della nazionalità/religione degli stupratori, che è relativo e sposta l’attenzione dal tema principale.
Si tratta di un modo di ragionare pericoloso, perché sposta continuamente il focus dal problema principale che, nel caso del fondamentalismo religioso, è il bisogno di rimettere al centro il diritto di critica e la libertà di espressione e di pensiero.
Come ha ben spiegato a Londra Pranga Patel, fondatrice delle Southall Black Sisters, “la libertà di espressione e di pensiero sono fondamentali, sono scritti nella Dichiarazione dei diritti umani universali e sono il cardine di ogni altro diritto, quindi sono connessi all’autodeterminazione, alla libertà di cultura e di professare, o non professare, la religione, senza essere minacciati da intimidazioni. Poter discutere e criticare è espressione di progresso, e viceversa il progresso si nutre della libertà di espressione. Tuttavia esiste un limite alla libertà di espressione, e per me questo limite scatta quando si diffondono odio e intimidazione contro le altre persone o quando la libertà di espressione viene usata per manipolare e creare un contesto che fomenta la violenza attraverso l’uso regressivo della religione e della fede, che alimenta la violenza e l’odio. L’esercizio della libertà di espressione e di coscienza è fondamentalmente connesso con la libertà di dissentire. Come femministe dobbiamo occuparci del dissenso in varie forme: dissenso verso il patriarcato, verso il neoliberismo, verso il razzismo, verso ogni forma di discriminazione”.
Ciò che alla Secular Conference è stata ribadito in ogni panel è che la libertà di pensiero e di espressione non sono pienamente attuati se nel mondo ci sono paesi dove esiste il reato di blasfemia e apostasia e si rischia il carcere, e la morte, per accuse relative all’offesa della religione.
Secondo il recente report pubblicato dall’Economist, citato anche alla Secular Conference, si tratta di 71 paesi del mondo, a maggioranza islamica, nei quali l’attivismo laico e ateo è perseguito con una repressione violentissima, che quasi sempre colpisce donne e persone omosessuali, due categorie in prima fila nella difesa dell’universalità dei diritti.
L’esistenza così diffusa e persistente nel mondo dei reati di blasfemia e apostasia è un preoccupante indicatore di resistenza del totalitarismo politico su base religiosa.
“Non si tratta di un dibattito filosofico, ha sottolineato Imad Iddine Habib, fondatore del Consiglio degli Ex Musulmani in Marocco; si tratta di questione di vita o di morte per molte persone che si trovano a dover abbandonare tutto ciò che hanno solo per la paura di esprimere quello che sentono. Penso che sia importante stare a fianco e sostenere le persone coraggiose che osano sfidare le regole e alzare la voce dicendo di non essere d’accordo con le imposizioni religiose e di non avere problemi con l’omosessualità o l’apostasia”.
Alla domanda sul perché la libertà di espressione e di pensiero, le due parole chiave della Secular Conference 2017, siano così importanti l’attivista curdo-irachena Houzan Mahmoud non ha esitazione: “La libertà di espressione è sotto attacco nel mondo quando si cerca di criticare la religione, ogni religione: se lo fai nel caso dell’islam, però, il rischio in Occidente è quello di essere accusata di essere razzista o islamofobica. Questo è il motivo per il quale è importante enfatizzare la centralità della libertà di espressione e difendere il diritto alla laicità”.
È il nodo più evidente che a Londra ha percorso tutti gli interventi, come emerso in modo potente nei due momenti di apertura e chiusura dell’assise londinese, affidati rispettivamente a , leader del gruppo Femen, e a Zineb El Razoui, giornalista di Charlie Hebdo.
Mentre la prima ha sostenuto che diritti delle donne e religioni sono incompatibili, El Razoui si è rivolta direttamente alle seconde generazioni in Europa e alla sinistra, che crede di rendere un buon servizio alla causa migrante e antirazzista sottovalutando il fondamentalismo islamico e abbracciando il relativismo abbandonando l’universalismo dei diritti.
“Non ho dubbi sul fatto che l’estrema destra da fermare in Occidente sia l’islamismo – ha scandito El Razoui. Voglio dire agli europei e specialmente alla sinistra: ‘Non cadete in questa trappola. Ricordate cosa hanno fatto gli islamisti alle persone comuniste e di sinistra in Iran o in Afganistan; ricordate che gli islamisti sono finanziati dai peggiori sistemi capitalistici come l’Arabia Saudita o il Qatar. Queste persone non sono rappresentative della cultura del mondo musulmano. Voglio dire in particolare ai giovani musulmani che vivono in Europa: è una cosa buona se volete far conoscere la vostra cultura, ma allora imparate la lingua, scoprite la bellissima letteratura del mondo musulmano, scoprite la musica del mondo arabo invece di vestire un burka o un costume afgano pensando che questo rifletta la cultura del nord Africa”.
Per Zehra Pala, presidente dell’Atheism Association of Tur
key “la laicità è importante per me come donna e come attivista in Turchia, perché è molto più difficile vivere nel mio paese, oggi diventato più islamista: il governo ha ristretto le libertà di espressione soprattutto nei confronti delle donne. Se giri per la strada con i pantaloncini rischi le botte perché i fondamentalisti ti attaccano; se vai alla polizia a denunciare le violenze ti viene detto che sei contro l’islam, visto come ti comporti, e quindi non ti difendono. Nel mio paese c’è una forte pressione sia in famiglia che a scuola affinché tu stia dentro una gabbia ideologica. Oggi a scuola, sin dalle elementari, viene insegnata la jihad e si è deciso eliminare dai programmi la teoria darwiniana dell’evoluzione perché si tratta di una visione laica. Come motivo il governo sostiene che il cervello infantile non può capire Darwin, ma mi chiedo: e invece nell’infanzia si possono capire le regole della jihad islamica? È una abile tecnica manipolatoria, perché è più facile avere consenso se sin dall’infanzia si indottrinano le menti. La violenza non è solo quella fatta al tuo corpo con lo stupro, ma anche quella che si fa manipolando le menti più fragili e malleabili. Il meccanismo adottato è anche quello della paura, perché a scuola si minacciano i piccoli dicendo che se non segui queste regole vai all’inferno. È così che sono stata educata anche io: la mia famiglia ha provato a fare pressione su di me, così come la scuola, ma non ha funzionato perché ero lì continuamente a fare domande. Per questo è così importante pensare in modo libero e, anche se ci sono pressioni, dobbiamo fare in modo che le persone possano pensare liberamente con la loro testa”.
Tutte le interviste realizzate alla Secular Conference 2017 sono disponibili qui.
Zineb El Razoui giornalista e scrittrice
Zehra Pala, attivista e presidente Atheism Association Turkey
Dave Silverman scrittore e fondatore di American Atheist
Gita Sahgal, attivista giornalista e fondatrice del Center of Secular Space
Pragna Patel attivista fondatrice di SBS e Siawi
Houzan Hahmoud attivista curdo irakena
Nadia El Fani regista Tunisina
Imad Iddine Habib fondatore del Concilio degli ex Muslim in Marocco
Quelle realizzate nel 2014 sono a questo link.
(9 settembre 2017)
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