Lezioni sulla Costituzione / 7 – La persona
La persona
Il tema della libertà, e delle libertà, non si articola esclusivamente nella forma della contrapposizione tra diritti civili e diritti sociali. Quella è certamente la questione cruciale, maggiormente sentita dai nuovi partiti di massa concentrati intorno alla fucina costituzionale. Tuttavia il concetto moderno di individuo, che Lelio Basso aveva inteso superare nel suo intervento, proponendo una concezione organicista dello Stato, non può e non deve essere del tutto abbandonato. Solidarietà sociale e statalismo, in alcuni interventi in Assemblea, sono percepiti come elementi di rischio per le libertà individuali.
Per comprendere meglio la dimensione preliminare di questo tema, possiamo rileggere criticamente l’articolo 2:
“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.
Nessuna parola cade a caso nel testo costituzionale. Il lavoro di rifinitura è stato lungo, tormentato e importante. Allora notiamo subito che in questo secondo articolo non si ricorre mai alla parola “individuo”, invece ci si riferisce al “singolo”, termine che rinvia immediatamente e intuitivamente al suo complementare: il molteplice, gli altri. Il riconoscimento dei diritti non si riferisce, infatti, ai diritti individuali tout court, bensì ai diritti di un essere umano come singolarità e come sistema di relazioni, attraverso le quali, entro alcune “formazioni sociali”, può sviluppare la propria personalità. Non si concepisce dunque alcuna persona, se non nella collocazione del singolo in differenti forme di vita associata, dalla famiglia ad altre strutture organizzative o di riconoscimento reciproco. Non a caso, quei diritti sono indissolubilmente agganciati, entro l’articolo, al dovere di solidarietà, cioè alla riduzione del singolo, nella sua unica legittimità ed esistenza, in un sistema di comunità: il che non si riferisce allo Stato come entità astratta, ma alla relazione di ciascuno con il proprio prossimo, per mezzo e nelle formazioni sociali in cui vive, agisce e comunica.
Il concetto di persona è dunque ripreso e replicato nell’articolo 3:
“E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
La persona corrisponde dunque a un soggetto ontologicamente predisposto alla crescita, al miglioramento, allo sviluppo, che però ha che fare inevitabilmente con la partecipazione alla vita collettiva, entro i diversi contesti sociali e i differenti rapporti umani, che ne rendono possibile la relazione.
Il contributo filosoficamente più interessante, in questo quadro, è fornito da alcuni intellettuali democristiani, i quali innestano, nella definizione dell’impalcatura concettuale della Costituzione, una declinazione articolata del concetto di persona.
Il movimento politico cattolico fonda la propria elaborazione teorica entro un orizzonte filosofico ben delineato, riconducibile a una rilettura della concezione politica di Tommaso D’Aquino – anche alla luce della filosofia di Maritain e il suo “umanesimo integrale” – e del personalismo di Mounier.
L’idea è quella di un rifiuto simmetrico di individualismo e totalitarismo. La teoria di riferimento è l’organicismo reale: non si tratta di un monismo immanentistico, che tutto schiaccia sulla totalità, ma va letto nel senso della concorrenzialità di tutte le parti che restano finalizzate al tutto. Il teleologismo è fondamentale e lo Stato vive come fine interno dell’uomo. Il tutto spiega le parti in quanto loro fine, e le parti da sole non spiegano il tutto.
Lo Stato stesso ha un fine, che nella filosofia di Tommaso D’Aquino si definisce come bonum commune (diverso dal bonum privatum). L’uomo è aristotelicamente concepito come animale politico, e lo Stato costituisce quella energia che impedisce alle comunità di disgregarsi. Secondo Tommaso il bene privato è sempre subordinato al bene comune, come la parte è sempre subordinata al tutto. In ultima istanza, dunque, il bene comune può implicare il sacrificio del bene individuale. Ma siccome l’uomo è comunque una creatura di Dio, che costituisce il bene sommo, cui anche il bene comune è subordinato, il sacrificio del bene individuale in favore del bene comune non può e non deve mai spingersi sino ai limiti della messa in discussione del rapporto tra il singolo e la divinità. In questo senso, è l’autorità religiosa ad assumere una prevalenza inevitabile in quel che inerisce la dimensione spirituale o morale del singolo, e non l’autorità statuale. Tale passaggio è stato diversamente interpretato nella storia della filosofia, e non è questo il luogo per riaprirlo, ma va ribadito che Tommaso non immagina un’autorità religiosa capace di limitare quella politica, bensì un’autorità politica che non travalichi i confini della dimensione personale dell’essere, nella misura in cui ciò possa comportare un’invadenza nei doveri che l’uomo ha verso Dio. In questo senso la filosofia di Tommaso poteva costituire per i democristiani un importante punto di riferimento nella ricerca di una terza via tra l’individualismo capitalistico e le diverse forme assunte dal totalitarismo novecentesco.
Giorgio La Pira, assai sensibile alla questione antifascista e antitotalitaria, insisteva molto sull’idea di un’impronta organicista che non ponesse mai gli individui come funzionali allo Stato. In questo senso la filosofia democratica di Jacques Maritain svolge un ruolo fondamentale, così come quella di Emmanuel Mounier. Se l’umanesimo di Maritain rigettava con forza ogni forma di totalitarismo e riproponeva un esplicito richiamo alla legge naturale, cui legava l’indiscutibilità del diritto dell’uomo all’esistenza, alla libertà personale e alla sua realizzazione morale, più radicale fu il lavoro sul concetto di “persona” portato avanti da filosofi cattolici come Mounier. Si tratta di pensare la persona nella sua inoggettivabilità, inviolabilità, libertà, creatività, responsabilità, in quanto persona incarnata in un corpo, situata in un momento specifico della storia, ma costitutivamente comunitaria. Mounier considera l’individualismo come il peggior nemico del personalismo che, diversamente dal classico atomismo borghese, cerca di valorizzare la dimensione relazionale dell’essere umano: le altre persone non limitano la persona, ma anzi le permettono di essere e svilupparsi; “essa non esiste se non in quanto diretta verso gli altri, non si conosce che attraverso gli altri, si ritrova soltanto negli altri” (questo in qualche modo il motto di Mounier). Dal punto di vista politico, l’idea di una società pluralista e comunitaria si traduce in un superamento delle aggregazioni della società di massa o aggregazioni totalitarie fondate sul carisma del capo. Lo stesso giusnaturalismo illuministico è derubricato da Mounier a contratto fondato sul conflitto tra egoismi. La società personalista si fonda sull’amore cristiano, e ha come risultato finale la comunione, e cioè nella capacità di ciascuna persona di farsi carico del destino e del dolore degli altri.
Su questa base Mounier prende non solo le distanze dall’egoismo capitalistico, ma anche dal marxismo, a suo parere responsabile di una riduzione dell’uomo a una dimensione meramente materiale.
Nel suo intervento dell’11 marzo, Giorgio La Pira avvia l’analisi filosofica della questione, precisando che ogni Costituzione ha non solo un corpo sociale e una volta giuridica, ma anche e soprattutto una base teoretica. Se la Costituzione francese dell’ottantanove si edificava sulle fondamenta del contrattualismo rousseauiano, la
Costituzione sovietica presenta un riferimento filosofico più organicistico. Conoscere le basi teoretiche, per La Pira, è fondamentale per sviluppare un corretto lavoro sul nuovo testo costituzionale che si intende costruire:
“Cominciamo dalla Costituzione di tipo, chiamiamolo così, hegeliano, statalista. Ora alla base di questa Costituzione, trovo una certa concezione dell’uomo e dei suoi rapporti con la società e con lo Stato. Io trovo quella famosa proposizione hegeliana che ha una immensa importanza costituzionale e che dice così: «La persona umana non ha una anteriorità rispetto alla società e allo Stato, ma è elemento sostanzialmente unito al corpo sociale e più esattamente allo Stato». Lo Stato è una unità sostanziale e non una unità di relazione, distinzione d’importanza giuridica immensa. Se è vera questa tesi, è vero il famoso adagio: tutto nello Stato, nulla fuori dello Stato. […] Una concezione così fatta della persona, della società e dello Stato ha come sue ineluttabili conseguenze l’eliminazione in radice della libertà umana e della personalità umana e quindi la cancellazione dei diritti naturali dell’uomo. […] Ed allora voi dite: ritorniamo alla Costituzione del 1789; ed io vi rispondo: no, anch’essa è in crisi per ragioni inverse, ma che intaccano la base teoretica e i muri maestri e che intaccano l’assetto giuridico. […] Nella mente di Rousseau ed in quella dei costituenti del 1789 esistevano 20 milioni di francesi atomisticamente considerati, i quali formavano la comunità statuale.
[…] La conseguenza è questa: l’assetto giuridico non può essere né individualista, né statalista; è un assetto giuridico conforme a questa visione, un assetto giuridico pluralista, che ha come conseguenza che la Carta integrale dei diritti dell’uomo non è quella del 1789. Lì vi sono alcuni diritti dell’uomo, ma sono ignorati altri e fondamentali: i diritti sociali, cioè i diritti che sono collegati alla persona umana, non in quanto singolo, ma in quanto membro di queste collettività crescenti che vanno dalla famiglia allo Stato. Una Carta integrale dei diritti dell’uomo non può essere una carta dei diritti individuali, ma accanto ad essi deve porre questi diritti sociali, e quindi i diritti delle comunità e delle collettività di cui gli uomini fanno parte necessariamente per lo sviluppo della loro persona. Ecco, quindi, questa Carta costituzionale che vi appare come nuova, integrale, pluralista dei diritti”
La persona appare dunque come il concetto metafisico e poi giuridico su cui edificare la possibilità di trovare una “terza via” tra individualismo e statalismo, tra capitalismo e socialismo. Inoltre, nell’intervento di La Pira l’evocazione del pluralismo come fattore da difendere in una visione politica personalistica, significa sostanzialmente scrivere una sorta di apologia del lavoro di mediazione politica. Da questo punto di vista, sicuramente possiamo dire che il contributo democristiano alla stesura della Carta Costituzionale ha dimostrato una eccezionale maturità politica dei suoi leader.
La ridefinizione stessa dello Stato su una base personalistica è messa al centro della riflessione politica di un altro importante protagonista della vita repubblicana: Giuseppe Dossetti, giurista e teologo democristiano. Lo Stato non ha come scopo la propria conservazione, il bonum humanum simpliciter, egli afferma. Non riconoscendo alcuno scopo trascendente la propria dimensione di esistenza e conservazione lo Stato moderno borghese ha consegnato la politica e il diritto nelle mani del potere economico; e lo Stato moderno borghese è in sé il cuore del totalitarismo, e pur nascendo dalla premessa libertaria della garanzia dei diritti fondamentali, si ribalta nel suo opposto. Non a caso, aggiunge Dossetti, gli Stati totalitari borghesi hanno compresso tutti i diritti eccetto quello alla proprietà privata.
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