L’illusione del nucleare
Ha senso parlare di nucleare nell’assenza totale di un piano energetico generale? Prima di prendere seriamente in considerazione l’ipotesi di costruire delle centrali nucleari in Italia, ci sarebbe bisogno di attuare una scrupolosa politica di risparmio energetico e di sostegno alle energie alternative. Esattamente il contrario di quello che si sta facendo.
di Giorgio Parisi, da
Non sarà facile trovare le risorse per soddisfare le esigenze energetiche di nove miliardi di umani nel 2050; la scelta nucleare a prima vista può avere un suo fascino e sembrare una soluzione attraente: si produce energia con scarse immissioni di CO2 nell’atmosfera (le immissioni sono scarse ma non sono nulle, se si tiene conto anche delle attività connesse alla costruzione delle centrali e all’estrazione dell’uranio).
Tuttavia l’impressione favorevole svanisce se consideriamo il problema analizzando le cifre complessive in una prospettiva globale. L’energia nucleare può essere utilizzata principalmente per produrre energia elettrica e l’energia elettrica è solo circa un terzo dell’energia primaria consumata. Nell’articolo di Guet e Ciccotti pubblicato in questo volume si valuta che per dare un contributo sostanziale al controllo delle immissione di CO2 nell’atmosfera e produrre la metà dell’energia elettrica stimata necessaria nel 2050 sarebbe necessario decuplicare la potenza istallata. In questo modo l’energia nucleare contribuirebbe a circa un quinto del totale del fabbisogno energetico.
Decuplicare le centrali nucleari è un obiettivo ragionevole? Cerchiamo di capirlo utilizzando per semplicità le stime dell’articolo di Guet e Ciccotti. Dato che il consumo attuale di uranio è circa 70 mila tonnellate e le riserve stimate d’uranio sono 15 milioni di tonnellate (di cui solo 5 milioni sono estraibili ai costi attuali), le riserve stimate sarebbero sufficienti solo per una ventina d’anni, e quindi per un periodo di tempo molto più breve della vita media di una centrale (circa 60 anni). Anche in questo scenario quasi fantascientifico l’energia nucleare darebbe un contributo che si aggirerebbe intorno al 15 per cento del totale. Ovviamente se ci si pone un obiettivo molto meno ambizioso, ovvero il mantenimento circa della stessa proporzione fra energia elettrica di origine nucleare e non nucleare, il consumo di uranio sarebbe circa un terzo e le riserve stimate basterebbero per circa una sessantina d’anni. Però in questo secondo scenario (decisamente più realistico) il contributo dell’energia nucleare sarebbe marginale, come lo è adesso, ovvero rappresenterebbe circa un 4 per cento della produzione totale di energia.
Lo scenario, tuttavia, cambia completamente se si sostituiscono progressivamente le filiere attuali a neutroni termici con reattori funzionanti senza rallentamento dei neutroni, cioè con i reattori veloci che dovrebbero essere i reattori di quarta generazione. Infatti i reattori veloci producono il plutonio che può essere utilizzato come combustibile e quindi hanno bisogno di una quantità molto più piccola d’uranio.
Anche sorvolando sulla problematica connessa alla gestione del plutonio e al suo possibile uso militare, rimane un fatto incontrovertibile: che i reattori di quarta generazione non saranno certamente disponibili prima del 2030 e la data non è affatto certa, in quanto bisogna ancora dimostrare che funzioneranno come previsto, senza incidenti. Il reattore francese Superphenix (di proprietà per un terzo dell’Enel) è stato chiuso nel 1996 «per costi eccessivi» dopo una decina d’anni di funzionamento a singhiozzo e, dopo aver prodotto energia elettrica del valore commerciale di circa tre miliardi di euro, cifra molto modesta visto che il costo del reattore è stato di nove miliardi di euro (l’Italia ha perso in questa avventura circa due miliardi di euro). Non è facile prevedere quando sarà disponibile una nuova tecnologia che non è stata ancora messa a punto e nel campo dei reattori veloci nel passato ci sono state delusioni cocenti.
Dato che la possibilità di utilizzare reattori di quarta generazione ci sarà solo fra una ventina d’anni, al momento l’unico progetto realistico di sviluppo del nucleare è continuare a istallare le centrali nucleari non di quarta generazione, mantenendo grosso modo il rapporto odierno tra energia elettrica nucleare e convenzionale; è anche possibile che la quantità di energia nucleare totale prodotta rimanga più o meno costante, come è accaduto in questi ultimi anni, e quindi il contributo in percentuale diminuisca lentamente dato l’aumento dell’energia prodotta con metodi diversi.
Al momento attuale non si vedono segni di una rinascita del nucleare in America e nella comunità europea (Stati Uniti: 104 reattori esistenti e 1 in costruzione; Unione Europea: 147 reattori esistenti e 2 in costruzione). Dei 30 reattori in costruzione nel mondo (su un totale di 439 esistenti), 17 sono localizzati in Asia, ma uno solo in un paese a economia avanzata come il Giappone (che possiede 55 reattori in funzione). Facciamo un paragone con l’energia idroelettrica, che contribuisce quasi al 20 per cento dell’energia elettrica totale: complessivamente sono in costruzione impianti idroelettrici per più di 100 gw, ovvero circa tre volte il totale delle centrali nucleari in costruzione. È quindi ragionevole prevedere che nei prossimi anni il rapporto tra energia idroelettrica e energia nucleare nel mondo continuerà ad aumentare a vantaggio dell’idroelettrica.
Se qualcuno pianificasse a livello mondiale la produzione dell’energia e, tralasciando i problemi connessi con le scorie e la sicurezza, decidesse di costruire nuove centrali nucleari dovrebbe porsi il problema di dove sia conveniente localizzare le centrali e dove invece convenga investire in risorse rinnovabili. È del tutto evidente che le centrali nucleari devono essere localizzate in zone a bassa densità abitativa (per ridurre al minimo il rischio di contaminazione radioattiva in caso di incidenti) e che il solare deve essere costruito prevalentemente in paesi assolati come il nostro. Quindi in una divisione del lavoro su scala mondiale, l’Italia, che è uno dei paesi più densamente popolati ed è anche abbastanza assolato, dovrebbe concentrarsi sul solare, sulle altre energie alternative e sul risparmio energetico.
Tuttavia, scrivendo quest’articolo mi sono reso conto che il dibattito sull’energia nucleare è molto spesso impostato male in quanto non esiste una pianificazione energetica mondiale. L’Europa (e l’Italia) hanno già scelto qual è l’obiettivo che vogliono raggiungere per contribuire alla riduzione del disastroso effetto serra: le nostre immissioni nell’atmosfera di CO2 devono essere ridotte del 20 per cento per 2020. La domanda giusta, sulla quale bisogna concentrarsi, è come arrivare a realizzare quest’obiettivo. Le centrali nucleari, che nella migliore delle ipotesi potrebbero contribuire solo a una riduzione del 2 per cento, in questo quadro rappresentano un dettaglio fondamentalmente irrilevante.
Quanto al fabbisogno di energia, ci sono provvedimenti evidenti, che devono essere presi urgentemente, per evitare che vengano costruite nuove case che sprechino energia come le attuali, per diffondere il più possibile il risparmio energetico e la produzione di energia elettrica diffusa nel territorio mediante la cogenerazione (essenzialmente impianti di produzione di energia elettrica in cui il calore prodotto, invece di esser
e disperso nell’ambiente come avviene adesso, viene utilizzato per riscaldare le case).
Sfortunatamente il governo attuale sembra essere muoversi nella direzione opposta. Con decreto legislativo 192/2005 si era stabilito l’obbligo di allegare agli atti di compravendita degli immobili la certificazione di efficienza energetica, azione già collaudata con grande successo in altri paesi europei. Con le leggi finanziarie del 2007 e del 2008 l’Italia si era poi dotata di un importante meccanismo per aumentare l’efficienza energetica: un incentivo fiscale corrispondente al 55 per cento dei costi di intervento. Questa attività di incentivazione, accompagnata dai «Certificati verdi» per i grandi distributori di energia elettrica e al «Conto energia» per il settore fotovoltaico, aveva avuto un effetto notevole, creando nuovi posti di lavoro e dando impulso alla ricerca tecnologica. L’attuale governo con il decreto legge 133/08 ha annullato l’obbligo di allegare agli atti di compravendita degli immobili la certificazione di efficienza energetica e più recentemente, con decreto 185/08, ha abolito l’incentivo fiscale del 55 per cento per le opere volte all’efficienza energetica.
Inoltre è del tutto irragionevole che solo la regione Puglia punti a sviluppare il solare ad alta temperatura in una situazione di latitanza dello Stato a cui spetterebbe di promuovere questa tecnologia a livello nazionale. Il solare ad alta temperatura è una tecnica molto semplice: alcuni specchi deviano la luce solare scaldando dei liquidi speciali che successivamente vengono utilizzati per produrre energia elettrica. In questo modo l’energia prodotta può essere accumulata per qualche giorno, superando così i problemi dovuti alla variabilità delle condizioni meteorologiche. Il solare dà il suo contributo massimo d’estate, quando si raggiunge il picco nel consumo di elettricità, ed è complementare alla cogenerazione di energia elettrica nel riscaldamento delle case, che ovviamente ha un picco d’inverno.
Tuttavia una riduzione del 20 per cento delle immissioni totali di CO2 non si ottiene mediante una serie di azioni scollegate e per di più concentrate sull’energia elettrica, la cui produzione contribuisce a meno del 30 per cento delle immissioni nell’atmosfera. Il grosso della riduzione deve venire da risparmi energetici sui consumi non elettrici. Per raggiungere questo ambizioso obiettivo nel 2020 bisogna studiare un piano energetico in cui si tenga conto di tutti i consumi energetici. Il piano deve essere realistico e devono essere esaminate le varie opzioni, i possibili interventi di sostegno da parte dello Stato e degli enti locali, con una stima precisa ed esaustiva dei costi per il paese.
Stimare i veri costi per il paese di un intervento non è facile; molto spesso i costi sono stimati male, trascurando gli effetti collaterali; per esempio se un’operazione di rimboschimento massiccio costa un miliardo di euro allo Stato come uscite immediate, ma produce entrate di 400 milioni tra irpef e iva, e un risparmio di 200 milioni sulla cassa integrazione, il costo vero è di soli 400 milioni, senza contare il risparmio delle enormi spese dovute al dissesto idrogeologico (inondazioni, frane) e al degrado del territorio e della salute degli abitanti.
Fare bene questo piano non è facile, servono competenze, fantasia e imparzialità; probabilmente avremo bisogno anche di contributi di esperti stranieri e un forte coinvolgimento della comunità scientifica nazionale e internazionale. Dovremo prendere esempio da quello che viene fatto in altri paesi più avanzati di noi. Tuttavia è assolutamente necessario procedere in questa direzione, altrimenti qualunque scelta impegnativa che verrà fatta risulterà frutto non di una decisione meditata, ma solo dell’ignoranza, o peggio, delle pressioni delle varie lobby. Le risorse del paese sono limitate e bisogna impegnarle nella direzione più fruttuosa. Un serio dibattito sul nucleare può essere fatto solo nel contesto di questo quadro di riferimento, altrimenti si rischia di fare affermazioni basate sul nulla: infatti come posso stimare dal lato economico la convenienza del nucleare a raggiungere l’obiettivo della riduzione del 20 per cento delle emissioni di CO2, se non ho una stima precisa e affidabile delle soluzioni alternative?
L’assenza di un piano energetico globale per il nostro paese rende impossibile prendere ora una decisione a favore della costruzione delle centrali nucleari: sarebbe una scelta fatta al buio. Bisognerebbe prima fare un piano energetico dettagliato, che preveda anche l’ipotesi di non fare centrali nucleari e solo successivamente incominciare a valutare come e dove trovare le risorse necessarie a seconda delle varie opzioni. Personalmente sono convinto che quando quest’analisi dettagliata sarà fatta, risulterà ancora più chiaro che il nucleare è una scelta non solo costosa ma del tutto inopportuna. Quel che si può dire fin da adesso è che la costruzione di alcune centrali nucleari in Italia è infatti un’impresa estremamente costosa, particolarmente rischiosa data la densità abitativa del nostro territorio, pone problemi estremamente seri anche per quanto riguarda la gestione dei rifiuti e per di più darebbe un contributo solo marginale alla riduzione delle emissioni di CO2. Non è assolutamente ragionevole avviare un progetto talmente costoso e problematico senza aver chiaro il quadro di riferimento e gli altri provvedimenti (molto più importanti ed efficaci) ai quali questo progetto dovrebbe comunque affiancarsi.
(2 marzo 2009)
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