Lo smorfioso dell’arte
Mariasole Garacci
Nella mostra che si conclude in questi giorni al Louvre le famose charakterköpfe di Franz Xaver Messerschmidt sono state messe a confronto con la produzione ufficiale dello scultore: il vero stile di un artista settecentesco tra tardo Barocco e neoclassicismo, tra superstizione e Illuminismo.
Le cosiddette “teste di carattere” di Franz Xaver Messerschmidt sono probabilmente le opere in scultura più sorprendenti e più note del XVIII secolo: la serialità e la tenuta formale pressoché omogenea del lavoro, l’ispirazione prettamente privata e personale dell’opera intrapresa dall’autore, insieme al loro carattere inquietante, hanno fatto di questo episodio della storia dell’arte non soltanto un’immagine accattivante e misteriosa entrata nella fantasia collettiva attraverso usi e riproduzioni di vario tipo e livello, ma un caso emblematico della questionabile validità scientifica, nella ricerca storico-artistica, di considerazioni imprestate dalla psicoanalisi. La personalità impenetrabile che concepì una simile espressione è entrata così, con la sua opera e la sua vicenda biografica, nella leggenda dell’artista saturnino, stravagante, fatalmente assorbito in una individuale e non condivisibile rappresentazione della realtà, di sé e della propria arte. E nel caso dello scultore tedesco, con la sua lotta tormentosa contro il demone della Proporzione geloso dei propri segreti, è egli stesso a calarsi con un toccante grado di immedesimazione in uno dei tanti topoi sul potere taumaturgico dell’artista che plasma la materia in forma umana, suscitando, come Epimeteo e Prometeo, l’invidia degli dei.
Tra gli studi su Messerschmidt è rimasto giustamente famoso il saggio sulle “teste di carattere” pubblicato da Ernst Kris la prima volta nel 1932: sulla base, principalmente, della testimonianza diretta dell’erudito Friederich Nicolai, che conobbe lo scultore nel 1781, Kris concluse che Messerschmidt soffrisse di una grave forma di paranoia nel quadro di una generale schizofrenia e che la sua produzione psicotica fosse legata ad un tracollo professionale ed esistenziale vissuto intorno al 1770-71. E’ in quegli anni, infatti, che questo scultore coerente con la tradizione accademica e con alle spalle una solida carriera sembra entrare in conflitto con il proprio mondo. Nato in una modesta famiglia di artigiani bavaresi, il giovanissimo Messerschmidt aveva compiuto a Monaco un primo apprendistato dallo lo zio materno Johann Baptist Straub; a Vienna, aveva frequentato l’Accademia e con il suo talento aveva conquistato il favore di Martin van Meytens, direttore della prestigiosa istituzione e pittore presso la corte imperiale. Quando la cattedra di scultura dell’Accademia divenne vacante nel 1774, la sua speranza di una nomina andò delusa a causa di una “certa confusione di mente” di cui, secondo chi lo conosceva, soffriva già da circa tre anni. Il conte Wenzel Anton von Kaunitz-Rietberg, cancelliere e ministro austriaco, scriveva a Giuseppe II: “Io compatisco le circostanze di quest’uomo altrimenti capace, e auguro che esse abbiano miglioramento; ma non potrei mai consigliare a Vostra Maestà di nominare come insegnante dei giovani accademici un uomo che essi potrebbero irridere a ogni occasione per avere avuto in passato la testa in disordine, e per non averla ancora del tutto ordinata; un uomo a cui tutti gli altri Professori e Direttori sono ostili, che ha tuttora strane idee per il capo, e che pertanto non potrà mai essere perfettamente composto”.
Ernst Kris era un brillante allievo di Julius von Schlosser – l’autore di una miliare Letteratura artistica tutt’oggi insuperata – e negli anni ’30, quando scriveva il suo saggio, era entrato nella cerchia di Sigmund Freud ed esercitava la professione di psicoanalista; insieme con Otto Kurz lavorava in quel periodo ad un altro studio divenuto un classico, La leggenda dell’artista, un saggio sociologico e storico-artistico corroborato da considerazioni mutuate dalla metodologia psicoanalitica che indagava il significato di topoi letterari ricorrenti nelle testimonianze su artisti anche molto lontani nel tempo e nello spazio, cogliendo la stabilità della reazione del pubblico di fronte al fenomeno artistico e alle manifestazioni del tipo umano dell’artista. Come è stato osservato, si trattava di un’opera insolita che, data la formazione di Kris e Kurz, nasceva evidentemente sotto il segno dei due importanti pianeti della cultura mitteleuropea che erano Schlosser e Freud. La stessa considerazione, credo, può essere fatta per il lavoro condotto dal solo Kris su Franz Xaver Messerschmidt a partire principalmente da un documento letterario – il resoconto della visita di Nicolai – ricavandone, con conclusioni oggi discutibili, una diagnosi psicologica stringente.
Nicolai visitò Messerschmidt nella sua solitaria casa ai bordi della città di Pressburg (odierna Bratislava). L’intero arredo del ritrattista della corte imperiale e docente accademico si componeva di un letto e pochi poveri oggetti, tra cui un trattato italiano sulle proporzioni del corpo umano e un foglio appeso vicino la finestra con il disegno di una statua egizia: “questo disegno era legato a certe sue idee stravaganti, che giungevano in lui ad eccessi da far meraviglia”.
“Messerschmidt era uomo di fervide passioni, ma aveva un gran desiderio di solitudine. Era incapace di far torto a chicchessia, ma i torti inflitti a lui lo ferivano profondamente; ne era amareggiato, senza perdere però il buon umore e il coraggio. Viveva interamente per la sua arte; in tutte le cose che non avevano rapporto con essa era molto ignorante, sebbene capace e desiderosissimo di apprendere. A Vienna s’era imbattuto in persone che vantavano cognizioni segrete, contatti con spiriti invisibili e poteri al di sopra delle forze della natura. Questa sorta di gente è molto comune in tutta Europa, e specialmente in Germania”. Messerschmidt rivelò di essere tormentato da spiriti spaventosi, tra cui il demone della Proporzione, e che scopo delle sue misteriose sculture era di tramandare alla posterità, segreto per allontanare gli spiriti, le smorfie di dolore corrispondenti ai forti pizzichi inflitti allo scultore in varie parti del corpo. Il racconto di queste lotte notturne è probabilmente figura dell’autolesionismo solitario di Messerschmidt, e la ripetizione morbosa di un’esperienza il tentativo di esorcizzare un malessere. Ma, scoperta l’ispirazione strettamente intima e privata e insieme la vocazione per così dire programmatica dell’opera, come leggere, da un punto di vista formale, le quarantanove teste maschili oggi note? Riproducono i tratti dello scultore o un generico tipo maschile? L’apparente paradosso stilistico di questa serie è infatti la compresenza di un esasperato iperrealismo e di una inquietante de-soggettivazione, il contrasto tra un’attenta mimesi dei tratti somatici e la mancanza di quella espressività che caratterizza l’unicità di una fisionomia; ciò ha fatto supporre a Kris che la serie fosse un disperato tentativo, da parte di Messerschmidt, di riguadagnare un senso della realtà e della propria identità che sentiva sfuggirgli nell’incontrollabile peggioramento del proprio stato di dissociazione mentale.
Il “paradosso” di Messerschmidt è in realtà un carattere che possiamo leggere anche più agevolmente nei suoi lavori ufficiali, nel momento, preso bene in analisi dai curatori della mostra parigina, di una svolta stilistica verso il n
eoclassicismo; né alcune bizzarrie dello scultore, compresa la ripetitività dei suoi studi di teste, sembrano più tali se prese nel contesto culturale della sua epoca. Le “teste di carattere” appartengono anzi al loro tempo, e se anche non furono – come sostenuto da chi ha ritenuto Messerschmidt lo ”Hogarth della scultura” – innocui e spiritosi ritratti caricati, appartengono a quella vena irrazionale dell’Illuminismo che animò di bagliori misteriosi e ironici personaggi come Goya, Füssli, Blake, Sergel. Certo le testimonianze dei suoi contemporanei lasciano credere che egli fosse piuttosto strambo, ma l’applicazione di uno schema psicanalitico si dimostra del tutto inefficace nella considerazione di un’artista il cui stile sottile e ponderato viene ingenuamente confuso con il passivo risultato di stimoli inconsci.
Franz Xaver Messerschmidt 1736-1783. From neoclassicism to expressionism
www.louvre.fr
(25 aprile 2011)
Condividi | |
MicroMega rimane a disposizione dei titolari di copyright che non fosse riuscita a raggiungere.