Lo Stato laico a metà del card. Scola

Vittorio Bellavite

, Coordinatore nazionale di “Noi Siamo Chiesa”

Dal consueto “Discorso alla città” nella festa di S.Ambrogio ci si attendeva dall’arcivescovo Scola, secondo logica e seconda la tradizione degli episcopati di Martini e Tettamanzi, una riflessione sulle sempre più diffuse situazioni di sofferenza presenti in diocesi a causa della crisi economica. Inoltre ci si poteva aspettare qualche punto di vista, di ispirazione democratica, sulla galoppante insofferenza nei confronti della politica e sui problemi posti dalla diffusa carente legalità e sulla criminalità mafiosa in aumento nel nostro territorio.

Benché i problemi sociali emergenti fossero stati ricordati dal messaggio di saluto dell’Abate di S.Ambrogio Mons. Erminio De Scalzi, l’arcivescovo ha invece preferito sviluppare una riflessione generale sull’anniversario dell’editto di Milano del 313, di cui cade l’anno prossimo il 1700mo anniversario. Scola ha parlato di un “inizio mancato” in materia di libertà religiosa ma senza approfondire l’esito completo dell’editto che portò nello stesso secolo, insieme alla libertà per i cristiani, la persecuzione degli ebrei, poi dei pagani e, infine, con Teodosio alla religione di Stato.

Voglio sperare che il prossimo anno celebrativo dell’editto non si risolva in enfasi celebrative abbinate a comode superficialità storiografiche che trascurino la storia oscura, nei secoli, di fornicazione della Chiesa con il potere secolare e di rapporto con la società e con gli “infedeli” fatto spesso di repressioni e di crociate.

Nonostante il richiamo iniziale alla “Dignitatis humanae” , dichiarazione conciliare molto esplicita nella sua efficace e rivoluzionaria semplicità, l’arcivescovo ha fatto poi una disquisizione dottrinale sulla libertà religiosa e lo Stato che mi sembra avere contenuti più ideologici che evangelicamente ispirati, con troppo facili generalizzazioni e con un linguaggio faticoso, semmai più adatto per una lezione in una facoltà teologica che per un discorso rivolto a tutto il popolo cristiano e a tutta la società.

La linea esposta da Scola è quella che è stata elaborata e praticata, dall’inizio ad oggi, nell’ambito di Comunione e Liberazione. Mi sembra anche quella che, nei fatti, è condivisa dalla maggioranza dei vertici della Conferenza episcopale, anche se mai portata alla luce in modo così completo e tassativo.

Lo Stato democratico aconfessionale “sotto l’idea di neutralità, di fatto, è maldisposto verso il fenomeno religioso”, “dissimula il sostegno dello Stato a una visione del mondo che poggia sull’idea secolare e senza Dio”, “tende ad emarginare se non ad espellere altre identità, soprattutto quelle religiose”. E via di questo passo. Per esemplificare, Scola si rifà alla francese laicité e alla riforma sanitaria di Obama avversata dai vescovi USA. In questa situazione verrebbe mortificata la società civile e il suo contributo all’edificazione del bene comune e ci si troverebbe davanti a una specie di nuovo Stato etico materialisticamente ispirato (anche se un linguaggio così esplicito non viene usato). E’ la cultura del preteso assedio nei confronti del messaggio della Chiesa sulla religione nell’ambito pubblico e sulla “vera” natura umana, di cui solo i vertici della Chiesa conoscerebbero le intime caratteristiche. Ciò premesso, una “vera” nuova libertà religiosa dovrebbe essere il fondamento per la “elaborazione e la pratica, a livello locale ed universale, di nuove basi antropologiche, sociali e cosmologiche della convivenza propria delle società civili in questo terzo millennio”. Si tratta insomma di una contestazione dello stato di cose presenti per praticare una “nuova laicità” secondo l’espressione cara a Benedetto XVI. Mi sembra questo essere il modello di una Stato laico a metà.

Avevamo imparato analisi diverse sulla democrazia, sul “mondo” e sulla nostra presenza in esso dalla riflessione del cattolicesimo democratico, in particolare da Giuseppe Lazzati. Sapevamo che la neutralità dello Stato è un valore anche “cristiano” e permette ad ogni uomo, singolarmente o in modo comunitario, di aprirsi al trascendente, a maggior ragione perché in una cultura della libertà di coscienza e di religione. Sappiamo dalla storia quanto la Chiesa debba riconoscersi debitrice nei confronti dell’Illuminismo sul riconoscimento dei diritti dell’uomo (tanto a lungo avversato) e nei confronti di chi aprì la breccia di Porta Pia . Avevamo letto la Gaudium et Spes con le parole di fiducia e di apertura al “mondo” del suo famoso incipit e con il suo capitolo IV sulla “Vita della comunità politica”.

Ma soprattutto ci stupisce il confronto tra l’argomentare dell’arcivescovo e la realtà quotidiana in cui noi, cattolici e cittadini di base, ci troviamo immersi. Se confrontiamo i ragionamenti fatti con il “vissuto” della nostra realtà sociale, delle nostre istituzioni, oggi qui in Italia, ci chiediamo di che cosa parla Scola, ci chiediamo a quale popolo cristiano si rivolga e in quale Repubblica. La Chiesa gode di una condizione di privilegio sia dal punto di vista giuridico che materiale, sancita nella Costituzione e nel nuovo Concordato, vi è il rispetto e l’ossequio di tutti i partiti, della grande stampa e delle grandi strutture associative, vi è una presenza costante sui media. E’ una situazione unica in Europa.

Quanto vi è, nonostante tutto, di scontro nel nostro paese è la conseguenza di un irragionevole rifiuto (è questa la “sana” laicità?) ad accettare leggi come quella sulle coppie di fatto o a proporne altre come quella sul testamento biologico o a cercare di sfilarsi da imposizioni fiscali . Nel merito di queste questioni abbiamo scritto a lungo. Semmai dovessimo approfondire le caratteristiche della presenza concreta della Chiesa nella sua dimensione istituzionale nella società italiana bisognerebbe parlare delle compromissioni, sia recenti che antiche e a senso unico, col potere politico nel nostro paese e ancora di più nella nostra regione e della sua permanente azione di lobby nello stoppare, nel chiedere, nell’organizzare troppo su troppe questioni, sia in modo pubblico sia in modo non trasparente. Basta coi discorsi astratti, bisogna passare alla confessione aperta del peccato di aver troppo intrigato, di aver troppo taciuto, di aver troppo tollerato. E’ tutto ciò che determina diffidenza nei confronti della Chiesa, rendendo difficile il suo vero compito, quello dell’evangelizzazione.

(10 dicembre 2012)



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