Lo strano vizio di censurare cartelli e striscioni

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Ultimamente, in Italia sembra essere invalso l’uso, da parte di tutori dell’ordine e affini, di entrare in casa delle persone per rimuovere striscioni e cartelli. È successo a Brescia, alla vigilia della manifestazione del 12 marzo in difesa della Costituzione, quando agenti della Digos hanno bussato alla porta di un socio di Libertà e Giustizia per operare la rimozione di uno striscione, con cui si invocavano le dimissioni di Silvio Berlusconi. È successo a Roma, durante le celebrazioni per i 150 anni dell’unità d’Italia, quando un uomo della sicurezza ha preteso la rimozione di un cartello su cui era scritto: "Io non festeggio genocidi/La vita è bella". Il proprietario dell’appartamento di Brescia, stando a quanto riferisce Libertà e Giustizia sulle pagine del suo sito, ha presentato un esposto alla Procura della Repubblica per far luce sulla vicenda, poiché non pare che esporre uno striscione configuri un’ipotesi di reato (salvo che il messaggio veicolato dallo striscione non sia contrario al buon costume, ma, ovviamente, non è questo il caso). Mi auguro che anche i proprietari dell’abitazione romana decidano di denunciare l’accaduto.

Per inciso, non è chiaro a quali genocidi si riferisse il cartello rimosso a Roma. Da meridionale informata su alcuni fatti del Risorgimento che ancora oggi vengono taciuti nei libri di storia, ho pensato, data la presenza degli eredi Savoia ai festeggiamenti, che si alludesse alle sanguinosissime stragi di Pontelandolfo e Casalduni, con il loro abominevole corollario di stupri e rapine, perpetrate dalle forze sabaude per rappresaglia contro un’azione di cosiddetti "briganti" (ho appreso di queste vicende leggendo Terroni, di Pino Aprile, che nel suo libro cita le fonti da cui ha tratto tali notizie). Oppure ci si potrebbe riferire ai massacri in Libia, ai quali il nostro governo si è opposto solo con frasi di circostanza, peraltro tardive.

Sta di fatto che a questi cittadini romani e bresciani qualcuno ha deciso di togliere la parola, con modi perentori e addirittura, a Brescia, presentandosi nella veste di pubblici ufficiali. Modi e veste potrebbero indurre l’uomo della strada a ritenere che simili interventi siano del tutto normali e leciti. Personalmente, nutro qualche dubbio. L’articolo 21, primo comma, della Costituzione non stabilisce forse che tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione? E il terzo comma dello stesso articolo non è forse così formulato: "si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili"? Forse il testo dell’articolo 21 è stato modificato nottetempo e non me ne sono accorta? Ai giorni nostri, tutto è possibile! Eppure, finché sussistono i motivi per interrogarsi sulla base giuridica di atti che a taluni (inclusa la sottoscritta) possono sembrare misfatti, spero che i giornalisti, almeno quei pochi che aderiscono ai principi dell’etica professionale e non ai dettami di regime, trovino il tempo di approfondire la questione.

Monica Ruggiero

(18 marzo 2011)

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