López Obrador presidente, il Messico a una svolta
Angela Giglia
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Va detto anzitutto che non è un fatto minore che le elezioni si siano svolte in una situazione di calma. Si trattava di muovere una enorme macchina burocratica che deve far arrivare le schede elettorali in un territorio sei volte più grande di quello italiano e nel quale ci sono ancora zone molto isolate e quasi irraggiungibili, zone che sono parzialmente in mano ai gruppi criminali, territori che sono in una situazione di autogoverno comunitario e che si rifiutano di votare, oppure zone dove è difficile distinguere gli aderenti ai gruppi criminali da coloro che fanno parte delle istituzioni locali. E difatti, durante la campagna elettorale ci sono stati oltre 100 omicidi di persone variamente legate al processo elettorale, delle quali 48 erano aspiranti ad una carica politica a livello locale o nazionale. Quindi dopo una campagna elettorale caratterizzata dalla violenza come mai prima, un risultato chiaro e accettato da tutti non poteva non essere motivo di sollievo.
Non è la prima volta che le elezioni sanciscono un cambiamento nel partito al governo, e allontanano dalla presidenza il PRI, Partito della Rivoluzione Istituzionale, che ha governato il paese ininterrottamente dagli anni trenta del secolo scorso fino al 2000. Nel 2000 il PRI fu sconfitto dal PAN, partito conservatore di destra con una impronta fortemente cattolica, che riuscì a vincere anche grazie al “voto utile” di una parte della sinistra. Dopo due presidenti del PAN, Vicente Fox e Felipe Calderon, il PRI riuscì tornare al governo nel 2012, con Enrique Peña Nieto, un presidente che sarà ricordato per aver realizzato importanti riforme strutturali, ma anche per un indice di approvazione bassissimo, dovuto a diversi grossi scandali di corruzione e al non aver saputo far fronte alla violenza generalizzata e alla inefficacia del sistema di giustizia, di cui il caso Ayotzinapa[1] è l’esempio più emblematico ma certamente non il solo. Il tutto, in un paese che rappresenta la sedicesima economia a livello mondiale secondo il FMI e che ha visto aumentare vertiginosamente le disuguaglianze e la povertà estrema negli ultimi anni, considerato dall’ OCDE come il secondo paese con più disuguaglianza economica al mondo e con un salario minimo legale di appena 4 dollari al giorno2. Nel quale si calcola che quasi la metà della popolazione vive in povertà, ma nello stesso tempo 40,000 persone possono permettersi di lasciare le loro occupazioni e viaggiare per un mese in Russia per seguire da vicino il mondiale di calcio.
È la prima volta che il cambio di governo favorisce un partito-movimento di recente creazione (MO.RE.NA, Moviento di Rigenerazione Nazionale, sorto nel 2014) collocato a sinistra e connotato come populista, incentrato sulla figura di Andrés Manuel López Obrador, detto per brevità AMLO. Nato nello stato di Tabasco, nipote di un esiliato spagnolo, AMLO è laureato in Science politiche con una tesi sulla formazione dello stato messicano nel secolo XIX, si considera un appassionato della storia del Messico e non parla inglese. Al suo terzo tentativo di essere eletto presidente, con un passato politico iniziato nel PRI, poi passato a sinistra con il PRD (Partido de la Revolución Democratica) e uscito successivamente dal PRD per fondare MO.RE.NA, dopo essersi ripreso da un infarto nel 2013 e dopo avere percorso il paese in lungo e in largo durante gli ultimi 12 anni, ha ottenuto domenica scorsa il 53 % dei voti – con una distanza di oltre 30 punti percentuali dal secondo contendente – e un totale netto di circa 32 milioni di voti. Alla vittoria personale si deve aggiungere la maggioranza assoluta di MORENA e i suoi alleati tanto alla camera come al senato a livello nazionale; e nei parlamenti locali di tutti gli stati meno uno[2].
Le dimensioni della vittoria sono tali che AMLO ha detto un paio di volte in questi giorni che non intende instaurare una dittatura, e che lavorerà invece per ascoltare tutte le voci. Ma evidentemente il solo uso della parola dittatura provoca un brivido, e serve per dare la misura della nuova situazione, nella quale non gli sarà difficile proporre e fare approvare modifiche alla Costituzione e riorientare la direzione di marcia del paese verso quella che definisce la “quarta trasformazione” del Messico, dopo l’indipendenza dalla Spagna e le riforme liberali del secolo XIX, e dopo la rivoluzione popolare e socialista del XX secolo.
La quarta trasformazione va intesa come una trasformazione profonda della vita pubblica, che aspira a stabilire attraverso il dialogo fra tutte le forze sociali una nuova costituzione morale, tagliare radicalmente i privilegi della casta politica e azzerare la corruzione che attualmente permea tutto il sistema di governo. Di fatto la lotta alla corruzione è stata il motivo dominante della campagna elettorale di AMLO. Secondo lui, eliminando la corruzione si otterranno i soldi necessari per i programmi sociali e per un modello di sviluppo diverso. Il problema è che la corruzione è molto difficile non solo da controllare, ma anche solo da misurare. Quindi la maniera per ottenere risorse immediate si baserà intanto su un piano di austerità, sulla razionalizzazione della spesa, la riduzione degli stipendi degli alti funzionari e la eliminazione dei privilegi della casta politica. Resta da vedere se quest’ultima si comporterà all’altezza del momento.
Per dare l’esempio, AMLO ha dichiarato più volte che non vivrà nella residenza ufficiale che hanno usato fino ad ora i presidenti della repubblica e che la trasformerà in un museo; che venderà il costosissimo aereo presidenziale e che continuerà a non usare nessun tipo di apparato di sicurezza o di scorta. Ha sempre sostenuto che non ne ha bisogno perché “lo protegge la gente”. Le implicazioni di questa situazione si sono cominciate a vedere due giorni fa quando, nella calca che si è creata mentre entrava al palazzo nazionale dove era atteso dal presidente in carica, tra le grida di approvazione delle persone che lo hanno riconosciuto e volevano salutarlo, si è preso un colpo alla testa, totalmente involontario, con la macchina fotografica di uno dei fotoreporter che lo seguivano. Dopo questo piccolo incidente, con un tono molto pacato, ha chiesto ai giornalisti e ai fotografi “fraternamente” di permettergli di muoversi. Oltre alla folla dei giornalisti sui motorini, all’autista e ad un paio di stretti collaboratori, solo una motocicletta della polizia lo accompagna nei suoi spostamenti quotidiani su un’auto bianca di media cilindrata, in una città di 8 milioni di abitanti, che ha governato dal 2000 al 2005.
Tra le cose più interessanti proposte da AMLO e dai suoi collaboratori nel futuro governo, c’è la lotta al narcotraffico e alla criminalità organizzata mediante un piano di “pacificazione nazionale” che prevede l’amnistia per i piccoli reati e il controllo da parte dello stato della coltivazione del papavero da oppio (oltre che della marijuana) per venderlo alle case farmaceutiche internazionali. Potrebbe essere un modo efficace per stroncare le reti dei narco nei territori dove si produce la materia prima; e allo stesso tempo favorire la riconciliazione come si è fatto in altri paesi – per esempio il Sudafrica – che hanno attraversato circostanze comparabili ad una guerra civile.
Per capire l’importanza e anche il successo di questo richiamo alla riconciliazione nazionale e alla instaurazione di una “repubblica amorosa”, bisogna ricordare che la “guerra al narcotraffico” intrapresa dal presidente Calderon e proseguita d
al presidente attuale, ha portato a una moltiplicazione e polverizzazione dei gruppi criminali ed alla diversificazione delle attività delinquenziali organizzate, che ora comprendono anche la tratta, il sequestro, le estorsioni, il mercenariato, il traffico di organi. La guerra al narco ha prodotto oltre 230,000 morti e circa 30,000 persone scomparse negli ultimi dodici anni, i cui resti – a volte – vedono la luce quando si scopre una fossa clandestina, ma che quasi sempre rimangono come casi senza soluzione, estremamente dolorosi per tutti coloro che non riescono a sapere nulla né a recuperare il corpo di un familiare scomparso a causa di un sequestro o in circostanze sconosciute. In altre parole, gli anni della guerra al narco, con l’accompagnamento di stragi, regolamenti conti, lotte per il controllo del territorio, migliaia di persone fuggite dalle loro case che ora vivono altrove come rifugiate ma senza una legge che le riconosca come tali, hanno coperto il paese con un velo fitto di paura, dolore, impotenza e rabbia. Di fronte a tutto ciò, la proposta di AMLO consiste in “pacificare il paese senza pallottole”.
Il programma prevede anche la difesa delle risorse naturali (petrolio, minerali e acqua) dallo sfruttamento delle multinazionali straniere, l’obbiettivo di recuperare l’autonomia alimentare mediante il sostegno all’agricoltura, una pensione minima universale per tutti gli anziani indipendentemente dal reddito, accesso all’educazione universitaria virtualmente per tutti i giovani mediante un piano progressivo di borse di studio, e fare marcia indietro rispetto alle riforme strutturali di stampo neoliberale, realizzate mediante un accordo tripartito dal presidente Enrique Peña Nieto.
Alcuni fra coloro che non sono d’accordo lo considerano un leader autoritario, messianico, intollerante, che riporterà il Messico agli anni settanta del secolo scorso, quando il paese era governato da un solo partito mediante strutture corporative simili a quelle che c’erano in Italia durante il fascismo, e a cui lo stato postrivoluzionario messicano di fatto si ispirò durante gli anni trenta[3], per costruire il controllo delle classi popolari che è riuscito a mantenere, con il PRI al potere, fino al 2000. Ma bisogna anche dire che negli anni settanta il potere d’acquisto del salario minimo era di molto superiore a quello che è oggi e il narcotraffico non esisteva.
Tra i settori sociali non allineati bisogna annoverare, oltre alle classi medie urbane che lo hanno votato ma che lo vedono con un occhio critico, la sinistra delle autogestioni e l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) che ha appena dichiarato che AMLO non rappresenta un cambiamento di fondo del sistema, né di quello economico né di quello politico. A sostegno di questa idea si può ricordare che in effetti, durante gli anni in cui ha governato Città del Messico è stata chiara l’alleanza con una parte del settore dell’industria immobiliare interessata a fare affari con il rinnovo urbano. E va ricordato anche il pragmatismo con cui negli ultimi tempi ha promosso e accettato l’ingresso nel suo partito di diverse figure politiche e sindacali (sia di destra che di sinistra) con un passato evidente di malaffare, che gli hanno portato fette di elettorato importanti per vincere. Tra le alleanze che non sono piaciute alla sinistra intellettuale laica c’è quella con il partito Encuentro Social (Incontro Sociale). Si tratta di un partito che si definisce ufficialmente non religioso, ma il cui fondatore è anche pastore di una chiesa neo-pentecostale, La casa en la roca. Un partito conservatore in materia di libertà civili, che è contrario all’aborto legale e al matrimonio tra persone dello stesso sesso. Ma l’alleanza non è casuale, perché AMLO si è definito più volte come cristiano, si considera come un ammiratore della figura di Gesù Cristo e ha evitato accuratamente di pronunciarsi con chiarezza su temi relativi alle libertà civili, come il matrimonio omosessuale o la legalizzazione dell’aborto.
Nei suoi incontri di massa con il popolo, AMLO dialoga direttamente con la gente a cui chiede di rispondergli alzando la mano quando vuole consultare il da farsi su un certo tema. E evidente il fatto che è molto benvoluto, specialmente dai più poveri, che si identificano con la sua carnagione morena[4] con i suoi modi semplici e il suo stile di vita austero. Suole ripetere che i tre principi che guidano la sua condotta sono “non mentire, non rubare e non tradire il popolo”. AMLO concepisce la sua relazione con il popolo come una sorta di matrimonio, e questo si riflette nel linguaggio che usa. Per esempio, la sera della vittoria, nella piazza principale di Città del Messico gremita da migliaia di persone, ha detto fra le altre cose che tra settembre e ottobre percorrerà di nuovo tutto il paese come presidente eletto[5]. Per spiegarsi meglio ha aggiunto subito che “non ci sarà nessun divorzio”, intendendo tra lui e il popolo: “non è che adesso noi qui ci mettiamo a governare e voi tornate alle vostre cose, non sarà così”. Insomma, un modo per dire che continuerà a chiedere la partecipazione e la mobilitazione di tutti e continuerà a stare in contatto con la gente. Ma c’è già – fra i suoi stessi collaboratori – chi sostiene pubblicamente che è impossibile che vada avanti senza un minimo di scorta.
[1] Nel settembre del 2014, 43 studenti appartenenti alla scuola rurale Isidro Burgos del villaggio di Ayotzinapa, nello Stato di Guerrero, provenienti tutti da famiglie di origini contadine o indigene, furono sequestrati in circostanze che fanno pensare a una possibile collusione fra la polizia locale, il narcotraffico e l’esercito, e da allora non si è potuto fare chiarezza sul loro destino, salvo nel caso di uno di loro, Alexander Mora Venancio, del quale é stato possibile ritrovare alcuni resti ossei, attribuibili a lui a seguito di un esame genetico.
2 https://thp.org.mx/mas–informacion/datos–de–hambre–y–pobreza/
[2] Il Messico è una repubblica federale composta da 32 stati. Si è votato per la presidenza, per il senato e la camera nazionali, e per i governatori e parlamenti locali nei 32 stati del paese.
[3] Vedi Jorge Robles, Contacto en Italia sulle origini fasciste della legge del lavoro e dei sindacati in Messico, consultabile in questo link: http://www.antorcha.net/biblioteca_virtual/derecho/robles/contacto.html
[4] Il partito che ALMO ha creato si chiama “morena” anche per alludere alle persone con la pelle più scura, che in Messico sono di origine indigena o africana, e che sono oggetto di un razzismo così sistematico da risultare invisibile.
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