L’Opus Dei e la dittatura spagnola
di Pierfranco Pellizzetti
Nella mia opinione pubblicata lunedì scorso dal Secolo XIX definivo “filofranchista” José Escrivà del Balaguer, il fondatore dell’Opus Dei recentemente santificato.
Mi è subito pervenuta la mail di un autorevolissimo esponente di tale organizzazione, intenzionato a smentire definitivamente questa (ricorrente) insinuazione trascrivendo una lettera di padre Escrivà al capo della Falange José Solis, tratta dal recente saggio “Una vita soprannaturale. La mia vita nell’Opus Dei” (Mondadori 2008) di Giuseppe Corigliano, direttore dell’Ufficio Informazioni dell’Opus Dei in Italia.
Purtroppo, per il mio amabile interlocutore, da tale lettera traspaiono soltanto beghe e gelosie interne al movimento franchista; in particolare il risentimento di chi vedeva l’ascesa di uomini della cosiddetta “Obra” ai vertici del Regime di Madrid. Obra che già nel 1957 forniva al governo del dittatore spagnolo tre ministri (Ullastres Calvo, López Rodó e Navarro Rubio), poi Bravo Castro nel 1962.
Scelte di tipo personale, come viene detto nel saggio di Corigliano? Un po’ difficile crederlo, visto che l’art. 9 dell’Organizzazione così detta: «i membri dell’Opus Dei agiscono individualmente o tramite associazioni… nelle loro attività saranno egualmente sotto l’obbedienza dell’autorità gerarchica dell’istituzione».
Del resto il Santo fondatore dell’Obra, in una lettera a Paolo VI del 1964 (pubblicata su Famiglia Cristiana del 1992), affermava che «Franco è un buon cristiano». Francisco Franco, il garrotatore!
Quello stesso Caudillo a cui padre Escrivà aveva tenuto un sermone già nel 1946, nel corso dell’annuale ritiro spirituale.
Dunque, quale era il suo rapporto “effettivo” con la dittatura spagnola? A me pare evidente che non di identificazione trattasi, quanto di alleanza tattica per combattere le comuni bestie nere. Sempre secondo la lettera del 1964 a papa Paolo: «la minaccia di anarchia e comunismo, che nuocerebbe alla Chiesa». Una minaccia nei cui confronti il concilio Vaticano II avrebbe aperto pericolose falle (ora in via di essere turate da Ratzinger) e contro cui l’armata tradizionalista si opponeva da tempo alleandosi con chiunque. Senza farsi troppi problemi. D’altronde è noto come il “Santo fondatore” interpretasse il secondo conflitto mondiale alla stregua di una crociata contro il comunismo.
Padre Escrivà filohitleriano? Di certo riteneva che Hitler fosse stato «trattato male» e non era possibile avesse fatto uccidere sei milioni di ebrei. Tanto che il Jerusalem Post del 20 ottobre 2003 è arrivato a parlare di «santi antisemiti». Quell’antisemitismo che scorre nelle viscere della Chiesa, ma sempre con flussi “coperti”. E che solo la maldestra ingenuità (si apprezzi l’understatement!) dei lefebvriani riammessi a corte ha recentemente portato alla luce.
In ogni caso la creatura di Escrivà non sembra particolarmente sensibile alla questione dei “diritti umani”, se è vero che un suo importante esponente – il cardinale di Lima Juan Luis Cipriani – è arrivato a chiamarla «cojudez» (traduciamola eufemisticamente «una stupidaggine»).
Ultima questione: la difficoltà di definire una identità nitida dell’Opus Dei, che sembra giocare a rimpiattino con i non adepti. L’impenetrabile velo di segretezza che l’avvolge, tradotto in permanenti pratiche camaleontiche.
Una strategia tipica di chi sta nel mondo come se agisse “in partibus infidelium”; per tenere celati i propri obiettivi “veri”, vista l’ostilità e la ripulsa che susciterebbero in larga parte della pubblica opinione.
Atteggiamento che tradisce quanto prende nome di “settarismo”. Come ha determinato nel 1997 la Commissione del Parlamento belga, che giudicò l’Opus Dei una setta pericolosa; stigmatizzandone l’aggressiva azione di reclutamento degli adolescenti e gli episodi di manipolazione psicologica segnalati da molte famiglie.
(3 marzo 2009)
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