Lorenzin, dimissioni! Contro il “Fertility Day”
Angelo d’Orsi
Le reazioni davvero di massa contro la grottesca trovata governativa del “Fertility Day” hanno oscillato tra la deprecazione, variamente furiosa, e il sarcasmo, variamente appassionato. Era il minimo che ci si potesse attendere davanti a tanto scempio dell’intelligenza, della sensibilità, della correttezza politica minima, persino del buon gusto. Ma basta? Sì, sono state espresse a gran voce, da innumerevoli soggetti – forze politiche, associazioni, circoli culturali – critiche alla campagna (che lo stesso Renzi, furbescamente, ha ex post, giudicato “inguardabile”), della ineffabile ministra Lorenzin, ma basta? Il web si è scatenato come in poche altre occasioni; e, come in poche altre occasioni, ho apprezzato la fantasia al potere, espressa in una gamma di sfottò di grandissima efficacia; e mi sono personalmente reso conto che oggi è il web il vero, e pressoché unico luogo dell’opposizione, in questo Paese, ma non soltanto, d’altronde.
Eppure mi rimane un senso di insoddisfazione. Leggo i commenti della sociologa Chiara Saraceno (sul Manifesto del 23 settembre), e mi paiono condivisibili, certo, ineccepibili come sempre, ma insufficienti. Si è trattato solo di un difetto di comunicazione da parte del Ministero? Al di là della vergognosa reazione della titolare, che se l’è cavata con delle frasi banali quanto stolte (“mi interessa il messaggio, più della campagna”; ovvero, tradotto, chi se ne importa se abbiamo fatto una campagna che fa schifo, volevamo dire alle italiane che il tempo di fare figli non è infinito e che si devono sbrigare a riprodursi, per far risalire il tasso di natalità…), al di là del comodo quanto vigliacco gesto di silurare una funzionaria (e tralascio di soffermarmi sul salario annuo stratosferico della stessa), sottraendosi alla propria non solo oggettiva, ma soggettiva responsabilità; ebbene, credo che si debbano aggiungere altre osservazioni, in parte, ovvie, ma che è comunque necessario ribadire.
Ossia, nell’ordine: 1) la ministra, il suo presidente, e i loro comunicatori dovrebbero sapere che “il medium è il messaggio”, e che non si può distinguere il contenuto dal contenitore; 2) al di là dell’autentico ribrezzo per la forma in cui si è creduto di rendere efficace il messaggio, è (anche) il suo contenuto che repelle: una riduzione del corpo femminile a organo riproduttore, e che quindi una donna, ridotta a “femmina”, la quale scelga di non “figliare”, diventa una persona socialmente inutile, o peggio, dunque il messaggio la colpevolizza; 3) si attribuisce alla situazione demografica italiana un drammatico carattere di urgenza che non ha, specie considerando che la nostra società, e tutte quelle europee, stanno diventando multietniche, e che se la riproduttività delle donne “indigene”, cioè le italiane, come delle europee, si abbassa, è molto alta quella delle donne “straniere” che, per nostra fortuna, anche (ma non solo) da questo punto di vista, fanno figli; 4) è un disonesto rovesciamento dell’approccio quello di invitare, anzi, direi ordinare, di “fare più figli”, in un Paese in cui il welfare state viene rosicchiato giorno dopo giorno, a livello statale e regionale e, la possibilità per una madre di godere di servizi si va riducendo drasticamente, invece che prendere atto che molte donne (e ne conosco personalmente tante), rinunciano a procreare proprio per la difficoltà di accedere a tutele pubbliche, e, in primo luogo, per la situazione di disagio economico in cui versano anche quelle che erano un tempo le classi medie, oggi di fatto proletarizzate anche quando svolgono lavori “di concetto”. Molte altre osservazioni si potrebbero aggiungere, naturalmente, ma non posso farla troppo lunga (rinvio, per alcune delle possibili, al blog di Cinzia Sciuto).
Tutto ciò rinvia a un indirizzo politico, che risulta a dir poco inquietante: sono soltanto i regimi totalitari che pretendono di dettare, in un modo o nell’altro, ai loro cittadini e alle loro cittadine, se debbano o meno procreare, come debbano farlo (e qui si dà ancora per scontato che la prole sia generata esclusivamente da una “normale” coppia eterosessuale), minacciando punizioni o sanzioni sociali o censure morali verso chi non si adegua: come se non esistesse la “non maternità” come scelta soggettiva, libera, personale, al di là delle limitazioni strutturali cui accennavo, che comunque rappresentano un formidabile disincentivo a procreare; e senza contare la domanda che rimane sottintesa: “faccio un figlio perché viva in quale mondo?” e, per le italiane: “faccio un figlio perché viva in questa Italia?”.
E ancora: nella post-democrazia alla Renzi, alla sottrazione diritti politici (la legge elettorale e la “riforma” costituzionale sono esempi macroscopici in tal senso), e alla vanificazione progressiva dei diritti sociali (pensioni, jobs act, articolo 18, politica dei “voucher”, ecc.), sembrava dovesse/potesse corrispondere la concessione di diritti civili, ma in effetti stiamo toccando con mano che così non è. Le deludenti leggi sulla “procreazione assistita”, sulle “droghe leggere”, e via seguitando, e ora la nuova “politica delle nascite”, di cui si è resa impavida protagonista la signora Lorenzin, dall’alto della sua assoluta incompetenza, sono altrettanti segnali che questo Paese “non ce la fa”, come dice Renzi, quando se la prende con le autorità europee. Questo Paese non ce la fa, perché non ce la vuol fare, a liberarsi da un’antica, persistente cappa di oscurantismo, in cui il peso della Chiesa cattolica è determinante, confermando che è questa l’irrisolta, forse irrisolvibile, “anomalia italiana”.
Infine, vorrei ritornare sull’estetica e sull’etica dei manifesti che ingiungono di procreare. Ebbene, a mia memoria, soltanto il regime mussoliniano aveva raggiunto simili livelli, tra l’altro con una grafica migliore. Oltre a tutti quelli che lo hanno preceduto e accompagnato, va detto, senza mezzi termini, che l’ultimo manifesto è semplicemente fascista, e uso la parola non a caso: studio il fascismo, come movimento storico e come ideologia politica metastorica, da alcuni decenni, e parlo, credo, con qualche cognizione di causa. Per coloro che avessero dei dubbi, non mi rimarrebbe che invitare a sfogliare le copertine, bastano le copertine, della famigerata rivista diretta da Telesio Interlandi, e redatta dal giovane Giorgio Almirante, La difesa della razza (1938-1943). Ebbene solo nella iconografia di questo periodico – autentico serbatoio dei più schifosi luoghi comuni del razzismo, e in specie dell’antisemitismo – possiamo rintracciare degli antecedenti dell’osceno manifesto del Fertility Day, che abbiamo visto riprodotto, e per fortuna sbeffeggiato in mille modi, in cui due sorridenti “sane” coppie di biondissimi eterosessuali, sovrastano una sorta di ammucchiata di “gentaglia”, “negro” compreso, di individui dediti al fumo (tabacco? hashish?..), a Bacco e, ovviamente, a una Venere sicuramente portatrice di terribili malattie.
Non ci sono parole per commentare. Una manifestazione di fascismo, oltre tutto aggressiva e violenta, come questa di cui tutta la campagna per il &
ldquo;Fertility Day”, e questa sua ultima esplicitazione, non si era mai vista nell’Italia repubblicana. E il PD, il “Partito democratico”, erede del PCI (e in parte della DC), che ne pensa? E la sua pretesa “opposizione interna”, riesce ad accettare una schifezza del genere? E noi tutti, possiamo cavarcela con l’ironia? Credo che non si debba mollare e anzi insistere su una sola parola d’ordine, cercando sostegno in chiunque sia disponibile: “Lorenzin vattene!”. Si tratta di una questione di principio, sulla quale non dovremmo mollare.
(26 settembre 2016)
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