Lucano: “Ecco perché vogliono distruggere l’esperienza di Riace”
Giacomo Russo Spena
Quando la rivista Fortune l’ha inserito tra i 50 uomini più influenti del pianeta, insieme a personaggi come Obama e il Papa, ha provato “disagio” perché, in realtà, pensa non stia facendo niente di straordinario. “Riace rappresenta la storia di una piccola comunità che per uno sbarco, quindi per una casualità, si è trovata in mezzo a temi diventati fondamentali per l’agenda politica nazionale ed europea” spiega Domenico Lucano, il sindaco di questo comune della Locride – famoso per i Bronzi ritrovati nel 1972 – votato all’emigrazione e allo spopolamento e che ha cambiato rotta aprendo le porte ai profughi sbarcati sulle coste del mar Jonio fino a rianimare una cittadina destinata all’oblio. “Rappresentiamo una storia di utopica normalità”, aggiunge Lucano.
Nel Paese si parla molto di immigrazione e si ragiona su come arginarla, invece Riace va controcorrente perché non vede l’arrivo dei rifugiati come un pericolo e ha messo in piedi un modello di accoglienza che sembra dare risultati. Si sente un’anomalia?
Partiamo da una premessa: l’immigrazione è il prodotto di un’ingiustizia globale che obbliga migliaia di esseri umani a intraprendere viaggi della speranza. E l’Europa non è esente da colpe per questa situazione: allucinante che in alcuni Paesi si viva con meno di un dollaro al giorno procapite. Finché non riduremmo i danni compiuti da questa globalizzazione sarà inevitabile che ci siano costanti flussi migrantori. Nessuno potrà fermare questi esodi: chi giunge dal mare non è altro che lo scarto dell’umanità, arrivano persone che scappano da guerre, carestie, i più poveri del mondo. La stessa differenza tra migranti economici o richiedenti asilo politico è un’invenzione che mortifica la dignità umana. Le domande che pongo sono: si possono far affogare in mare persone che fuggono da fame e miseria? Una persona può essere colpevole del reato di esistere?
In un comune di poche migliaia di anime ha creato un’esperienza virtuosa che, a livello di notorietà, sta facendo il giro del mondo. Come nasce il “modello Riace”?
Ho sempre creduto nell’idea di una cittadinanza attiva che deve avere consapevolezza di ciò che accade nella società e nel mondo. Da sindaco, oltre ad occuparmi delle buche e delle questioni ordinarie ed amministrative, ho compiuto dei percorsi più ampi costruendo una nuova comunità. Ho pensato globale, per agire localmente. Ora viviamo l’epoca dei muri, dei campi di internamento, dei lager libici, degli odi superficiali, di una regressione delle coscienze. Allora, il messaggio che viene da una piccola comunità dove c’è una storia di emigrazione, perché noi in passato stiamo stati emigranti (e troppo spesso ce lo dimentichiamo), è di non rimanere indifferenti a ciò che ci circonda.
Salvini l’ha definita “uno zero” e il governo pentaleghista non vede di buon occhio il suo modello. Come replica?
A me che una persona così importante mi definisca uno zero non mi fa rabbia. Paradossalmente mi ha suscitato più rabbia quando la rivista americana ha inserito il mio nome tra le 50 persone più influenti del pianeta… mi sono sentito a disagio perché – e non lo dico né per retorica né per minimizzare – non credo di fare niente di eccezionale. Sono semplicemente vicino alle persone di Riace e ho fatto mie le parole dell’amico Vittorio Arrigoni: “Restiamo umani”. Tutto qui.
Intanto sono stati sospesi i trasferimenti per lo SPRAR e da due anni non ricevete soldi per i progetti di integrazione dei rifugiati. Si vuole uccidere l’esperienza di Riace?
Riace dà fastidio perché è la dimostrazione esistente che esiste un modello di accoglienza che funziona, un sistema lontano dalla propaganda razzista ma anche dal business dell’accoglienza sulla pelle dei migranti. Noi portiamo un messaggio al mondo di umanità: se ce la fa Riace, ce la possono fare tutti. Il nostro modello è riproducibile, ci vuole la volontà politica.
E’ il ministro Salvini che vuole uccidere questa che lei definisce “prova di umanità”?
Non solo lui, le oppressioni (a vario livello) le ho subite anche dai precedenti governi. Negli ultimi anni è passato il teorema secondo cui l’immigrazione è un problema da tutti i punti di vista: ordine pubblico, sicurezza, malattie, scontro tra religioni, terrorismo. Noi siamo la dimostrazione vivente che l’immigrazione è altro. Riace dimostra il contrario della propaganda nazionale, è la narrazione di un popolo che diventa comunità e che dimostra come sia possibile convinvere senza discriminazioni e razzismo, ansie ed odio per il prossimo, sviluppando l’economia locale.
Nel Paese, sondaggi alla mano, il consenso della Lega aumenta soprattutto tra le fasce sociali più deboli mentre la sinistra è vista sempre più come establishment e responsabile dell’attuale sfacelo. Come se ne esce?
Assistiamo ad una fase di dispersione delle coscienze ma è un fenomeno europeo non solo italiano. La gente è arrabbiata, si sente abbandonata dalla politica e non protetta socialmente, così si rifugia in chi (con slogan propagandistici) entra in sintonia con questa rabbia individuando nel migrante il capro espiatorio con cui sfogarsi. Questo avviene perché manca una dimensione collettiva. Negli ultimi 20 anni la sinistra ha smarrito la sua mission, non è stata più la sinistra del popolo. Si è trasformata nella sinistra delle banche, degli affari economici, delle privatizzazioni selvagge.
Conosce antidoti per far rinascere la sinistra?
Qualcuno diceva che dobbiamo sentire sulla nostra pelle qualsiasi ingiustizia di qualsiasi essere umano. Se esiste questo che ti morde dentro, allora è sinistra. Dall’altra parte vedo tanto egoismo e nessuna volontà né di cambiare realmente i rapporti di forza né di tutelare le classi sociali meno abbienti. Detto questo, in politica esistono vittorie e sconfitte. Sono stato eletto sindaco tre volte ma nel mio percorso politico, negli anni, ho conosciuto anche il sapore acre delle sconfitte. L’importante è sempre sperare, senza arrendersi mai.
A parte la manifestazione di Milano contro l’incontro tra Salvini e Orban, pare che l’alternativa politica e culturale a questo goveno provenga soprattutto dal Meridione. E’ dal Sud che può ripartire un qualsiasi progetto di cambiamento?
E’ una valutazione che condivido. Le resistenze attive possono sorgere soltanto dove ci sono forti condizioni di disagio. Penso a ciò che accade a Rosarno, nella piana di Gioia Tauro, ai tanti sfruttati dal caporalato… da lì deve scattare il riscatto e quest’idea di società più giusta ed equa. Mi sento partigiano di questa nuova resistenza.
Recentemente, a Riace, ha incontrato i sindaci Ada Colau e De Magistris, c’è la possibilità che il cambiamento auspicato in Italia e in Europa possa partire dalle città e dal neomunicipalismo?
Quel che stiamo vivendo in Italia negli ultimi anni non ha paragoni, dobbiamo sperare che anche le realtà locali, grandi e piccole, e i municipi contribuiscano a far nascere questo riscatto. Non se ne esce con qualche nome, o singolo leader, è necessario un processo di cambiamento social
e che deve coinvolgere le tante persone che stanno pagando la crisi e sono impegnate attivamente in forme di resistenza. Il senso della nostra azione è quello di interpretare le ance di disagio di chi vive una condizione di sfruttamento.
Un libro della giornalista Tiziana Barillà (Fandango) ripercorre la storia di Riace e del suo sindaco che, tra il mito di Che Guevara e Peppino Impastato, è riuscito a costruire una comunità che sembra dare fastidio ai governi centrali: prima del Pd e, ora, dei pentaleghisti. Un testo, “Mimì Capatosta”, che in qualche modo ha anticipato la notorietà attuale che sta avendo tale esperienza.
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