L’ultimo bagno nella vasca di Hitler
Marilù Oliva
Serena Dandini parte da uno scatto rimasto sepolto per molto tempo e rinvenuto per una fortuita coincidenza, dopo la morte della donna ritratta nella foto. E che donna. Si tratta di Elizabeth Miller, diminutivo Lee, conosciuta anche come Lady Penrose (1907-77), modella poi fotografa e fotoreporter statunitense. Una di quelle guerriere che, con tenacia, coraggio e talvolta sfrontatezza, osò sfidare i pregiudizi e il buoncostume di diverse epoche, dai favolosi Anni ruggenti alla Seconda guerra mondiale, qui restituite al lettore con intense pennellate.
“La vasca del Führer” inizia da un’immagine che ha quasi ipnotizzato Serena Dandini. La foto – cui l’editore Einaudi si è ispirato per la copertina – fu scattata nell’appartamento del dittatore tedesco, a Monaco di Baviera, e venne realizzata negli stessi istanti in cui, nel bunker della Cancelleria del Terzo Reich, Hitler ed Eva Braun, unitisi in nozze la sera precedente, si stavano suicidando. La Dandini, colpita dalla professionalità dell’allestimento e dalla precisione dei dettagli – Lee nella vasca si insapona una spalla, Hitler sembra osservarla dentro a una cornice appoggiata sulle mattonelle, sopra al tappettino sporco aspettano due anfibi che proprio su quello stesso sono stati appena ripuliti, quasi come uno sfregio. Un quadro straniante e occasione di riflessioni che cercano un senso dietro l’illogicità dell’evidenza, dietro una casa ordinaria e dietro quella che la scrittrice chiama, con grande effetto di echi arendtiani, “la rispettabilità del male”.
La carriera di modella di Elizabeth durò poco, perché lei preferì essere una fotografa piuttosto che una fotografia. Soggetto anziché oggetto. Incrociò grandi personalità quali Picasso, Colette, Chevalier, Dietrich e se la sua eterea bellezza le dispiegò diverse opportunità si rivelò però anche un’arma a doppio taglio che incluse, nel talento di saper fascinare gli altri all’istante, anche la lacerazione di un dolore insanabile. Dispose in autonomia del suo meraviglioso fisico e conquistò credibilità professionale in un mondo che pareva un “club per soli uomini”, con una determinazione che oggi, in tempi ancora languenti quanto a parità di diritti – basti dare un’occhiata alle statistiche sui femminicidi o sull’occupazione femminile – pare sconvolgente.
Ebbe molti uomini, ma il sodalizio più importante fu con Roland Penrose, pittore, poeta, collezionista e divulgatore artistico (Penrose fu colui che convinse Picasso a esporre Guernica in varie citta del Regno Unito, per dire), cui la legava la passione per l’arte e un rapporto paritario. Inoltre fu tra le poche a cui venne concesso di entrare in un campo di concentramento, dopo la Liberazione, e immortalare lo scempio. Qui la sua anima subì un durissimo colpo:
«Non è facile per una ragazza nata ai primi del Novecento credere nel proprio talento galoppando contro le regole del tempo in cui vive. Lee ha già infranto barriere in apparenza insormontabili per una donna; e quando pensava di aver finalmente scoperto la propria vocazione, il cimitero di Dachau le ha inghiottito tutte le forze».
Non è sola. Nel libro spiccano anche altre figure similari emblemi dell’anelito alla libertà dell’altra metà del cielo, rose nel deserto delle discriminazioni e dei pregiudizi, come l’avvenente aviatrice Amelia Earhart, ma evidentemente questo non bastò:
«Le pioniere dell’aviazione e le dive del cinema sono pero delle eccezioni privilegiate: nella realtà le donne sono state le principali vittime della crisi, e a causa della crescente disoccupazione hanno dovuto fare un passo indietro, spesso rinunciando al lavoro che avevano a fatica conquistato per tornare a occuparsi dei doveri familiari, lasciando agli uomini i pochi impieghi disponibili».
Narrato in prima persona con uno sguardo che si dispiega sull’esistenza altrui e con la padronanza di chi sa rendere piacevole la durezza di una narrazione che insegue un percorso biografico irto di abissi, il libro procede per 250 pagine che raccontano storie incrociate a questa personalità poliedrica: spirito sarcastico, inclinazione al surrealismo (e non come scuola artistica ma come stile di vita), chef fantasiosa che scelse la cucina come ancora di salvezza al Post-traumatic stress disorder (lo scombussolamento psicologico provocato dall’esposizione a eventi traumatici). Lee era tutto questo e molto altro e Dandini, sorvolando le tentazioni agiografiche, la consegna al lettore in tutta la sua complessità, con uno stile magistralmente calibrato su un equilibrio brillante tra verità e congettura, ma che non rinuncia a cercare ciò che sta nel mezzo: l’essere umano nella sua essenza più pura, l’artista, la ribelle.
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