Paolo Flores d’Arcais: “L’Unità” di Concita e il dovere dell’ingenuità critica
di Paolo Flores d’Arcais
In politica, perfino più che nella vita, credo sia giusto attenersi al principio di ingenuità: se mancano elementi in contrario, assumere come dato di partenza la sincerità e la serietà di ogni interlocutore e delle sue promesse. Credo sia giusto moralmente (non vorrebbe essere trattato così ciascuno di noi?), ma sia anche saggio, perché realistico (la diffidenza programmatica è tipica dell’insicuro che preferisce gli yes-men, da cui sarà puntualmente fregato). Si tratta, ovviamente, di una ingenuità metodologica e consapevole, dunque di un atteggiamento critico ancor più esigente, che prende terribilmente sul serio ogni affermazione di valore dell’interlocutore, e su di essa è in diritto (in dovere) di giudicare le sue azioni.
I propositi di giornalismo militante che Concita De Gregorio ha affermato nel suo da nuovo direttore di “l’Unità” sono perciò molto più che apprezzabili, molto più che “ottimi e abbondanti”: sono condivisibili al 101%. La difesa intransigente della Costituzione repubblicana e dei suoi valori, per cominciare, sottolineandone il carattere essenzialmente antifascista (chi lo fa più, in concreto, nel Pd, visti gli “hurrà!” veltroniani alle commissioni bipartisan di Alemanno, uno che ha un pedigree invidiabile in fatto di neo-fascismo, non di antifascismo?). E il berlusconismo bollato come “disastro collettivo”, come “la più grande tragedia”, la corruzione di quel “modello culturale ed etico” promesso dalla Costituzione e che solo in parte (grazie anche alla spinta del ’68 studentesco e operaio: una dimenticanza generazionale, speriamo) cominciava a realizzarsi (cosa altro è “mani pulite” se non il primo tentativo sistematico e riuscito di applicare il principio che “la legge è eguale per tutti”?). Una descrizione, quella che Concita fa del berlusconismo, che illustra perfettamente l’idea che MicroMega sostiene da molti anni, di un regime capace solo di ridurre l’Italia a macerie morali, culturali, politiche, sociali, istituzionali. Scrive infatti Concita: “ci hanno mostrato che se violi la legge basta avere soldi per pagare, se hai belle gambe puoi sposare un miliardario e fare shopping con la sua carta di credito. Spingi, salta la fila, corrompi, cambia opinione secondo la convenienza, mettiti al soldo di chi ti darà una paghetta magari nella forma di una bella presidenza di ente pubblico, di un ministero”. E’ detto benissimo. Sembrano (anzi sono) le voci di piazza san Giovanni 14 settembre 2002 o di Piazza Navona luglio 2008, appena ieri. “Berlusconi… ha forgiato e avvilito il comune sentire all’accettazione di questa ‘vergogna’ come fosse normale, anzi auspicabile: un modello vincente”, e questo grazie al suo “denaro e alle tv che piegano il consenso”. Cos’altro si può aggiungere, di più “giustizialista” a 24 carati? E fra i valori che deve ritrovare la sinistra Concita mette addirittura la laicità al primo posto. Davvero, cosa c’è di diverso da Piazza san Giovanni e Piazza Navona?
E come risposta giornalistica a queste macerie, l’impegno alla cronaca rigorosa, senza guardare in faccia a nessuno, insomma il rispetto e anzi il culto per quelle che Hannah Arendt chiamava “le modeste verità di fatto” e che indicava come antidoto primo alle derive totalitarie. E che oggi nel giornalismo latitano (“La scomparsa dei fatti” è non a caso il titolo di un libro di Marco Travaglio). E la striscia rossa con una frase di Antonio Gramsci, che suona anatema per il Pd “dialoghista” e in perenne sindrome del “bacio della pantofola”: “Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani”.
Insomma, a prendere alla lettera l’editoriale, come giusto e doveroso, sembra davvero che Concita De Gregorio abbia in mente proprio quel quotidiano che, oltretutto, è l’unico ad avere uno spazio di mercato: i valori dei democratici coerenti, che negli ultimi anni hai ritrovato nelle piazze dei movimenti e in qualche voce, rivista, editorialista isolati, e il giornalismo-giornalismo delle verità di fatto, sempre scomode per governo e establishment.
Nella lucidità e consapevolezza, che diamo per scontate in primo luogo presso Concita, che il percorso con cui si è arrivati alla sua nomina (e del resto quello con cui qualche anno fa fu estromesso Furio Colombo e sostituito con Antonio Padellaro) tutto è stato meno che trasparenza, e lascia aperti tutti gli interrogativi che proprio sull’Unità e – ai quali l’editoriale di Concita appassionatamente chiede di continuare nel loro impegno al giornale – hanno ricordato nei giorni scorsi.
Siamo dunque tra i tanti, tantissimi spero, che seguiremo con ingenuità critica partecipe i prossimi giorni dell’Unità. Perché se c’è qualcosa che distingue un democratico, e di cui il berlusconismo è invece la negazione assoluta, è la coerenza tra le parole e i fatti. Quella serietà morale che manca all’Italia di oggi, e a gran parte del suo giornalismo.
(27 agosto 2008)
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