Magistratofobia: un caso clinico
Scartabellando tra i documenti del vecchio Istituto Psichiatrico di Besana Brianza, che ero stato incaricato di portare nella nuova sede di Abbiatemagro, mi ha colpito un caso clinico che ricorda vagamente una vicenda attuale.
Si trattava di un caso di magistratofobia, forma di psicosi simile alla rupofobia (paura dello sporco). Essa consiste nel terrore dei magistrati e di ogni oggetto e espressione che può riferirsi ad essi. Questa fobia comparve in forma endemica, molti anni fa, nella zona di Arcore, vicino a Monza, ma nessuno ne avrebbe scritto se non ne fosse stato colpito il Sire di Arcore, il famoso Burlesconi, grande capo dei Ganassa, del quale abbiamo già parlato un’altra volta.
Uomo dalla volontà ferrea, molto rispettato per la sua ricchezza e per i numerosi tamburi di cui disponeva, che faceva battere a raccolta in tutto il paese, Burlesconi era anche un personaggio, gioviale, sempre pronto alla barzelletta e alla burla, senza riguardo per nessuno, salvo che per la mamma e il Santo Padre. Era difficile capire quando scherzava e quando parlava sul serio, il che gli dava un’immagine di grande profondità e furbizia, facendolo amare, oltre che dai ganassa anche da tantissimi italioti.
Probabilmente il poveretto venne colpito dalla fobia dei magistrati in seguito a un trauma subito in gioventù, quando fu accusato di aver bevuto una fiaschetta di vino di ghiande fermentate, che suo padre teneva al fresco sotto una quercia. Sottrarre il vino di ghiande al padre era un crimine gravissimo nella Brianza dell’epoca e il giovane Burlesconi era stato prima frustato dal genitore e poi giudicato in pubblico dagli anziani dei ganassa, che secondo le loro antiche tradizioni, trovandolo colpevole, gli avevano orinato sulle scarpe. Un’umiliazione che, probabilmente non dimenticò mai.
Quando apparvero le prime manifestazioni della sua fobia, i suoi sostenitori lo amavano così tanto da sostenere che non era una fobia ma che aveva ragione lui: i magistrati lo odiavano da anni; il suo Addetto al Pallottoliere ne fece addirittura la conta: tra magistrati d’indagine, d’accusa e di giudizio ne contò quasi ottocento che, almeno una volta, avevano cercato di nuocergli.
Purtroppo, con l’avanzare dell’età, come tutte le fobie, quella di Burlesconi peggiorò fino ad apparire indiscutibile: non solo era ossessionato dal pensiero dei giudici, ma da tutto quanto poteva ricordarglieli, comprese le parole.
Per esempio, se qualcuno voleva chiedergli un "giudizio" su qualcosa doveva stare attento a non usare quel termine perché gli ricordava la sua ossessione e lo faceva infuriare.
Una volta dovette farsi visitare dal cavadenti per un forte dolore a un molare. Il cerusico lo frugacchiò in bocca con un ferretto appuntito e, mentre Burlesconi sopportava stoicamente il dolore, gli disse che doveva trattarsi del dente del "giudizio". All’udire quella parola il capo dei ganassa ne rimase così sconvolto che saltò alla gola del povero cavadenti cercando di strangolarlo.
Qualche tempo dopo, presenziando ad una vendita all’asta di bovini, di cui era appassionato, cadde in convulsioni appena sentì il banditore che pronunciava la parola "aggiudicato", e i ganassa di scorta dovettero portarlo via mentre tentava di trafiggere il banditore con un forcone.
In breve il povero Burlesconi perse tutto il carisma e la capacità di comportarsi da Grande Capo. Bastava che qualcuno, per distrazione o per malizia, gli ricordasse giudici e tribunali, perché uscisse di senno, incapace di controllarsi, quale che fosse la situazione.
Nei documenti dai quali ho tratto questo caso clinico non c’è nessuna notizia sulla fine che abbia fatto . Se non è guarito, probabilmente è stato messo in disparte dai suoi stessi seguaci.
(1 luglio 2008)
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