Maledetto celibato

don Aldo Antonelli

E’ una litania infernale che non finisce più: violenze e stupri, ricatti e terrorizzazioni, pedofilie e adescamenti.
Tutto nei luoghi più impensati, sacrestie e confessionali, chiese e canoniche, conventi e seminari.
Un dilagare senza confini: in Irlanda come in Germania, in America come in Italia, nel sud come nel nord del mondo.
Una vergonga trasversale che impiastra ogni categoria: preti, frati, suore, seminaristi, coristi e sacrestani. E chi più ne può più ne metta; tanto la realtà, temo, sorpassa ogni immaginazione.

Di fronte a questo sfacelo cosa fanno i nostri vescovi?
Dapprima cercano di coprire, serrare sotto il silenzio spesso omertoso e connivente il pus maleodorante dell’infezione. Poi, costretti dalle denunce delle vittime e, soprattutto, dal clamore della stampa, cominciano a chiedere perdono e a "saldare" in denaro contante i danni psichici e morali inferti e a punire e a reprimere.

Mai che mai cominciassero ad interrogarsi: incapaci di ogni ripensamento, vanno avanti come i muli, ciechi e testardi, insensibili al grido delle vittime e schiavi solo delle loro fissazioni e delle loro fobie. Questo sono i vescovi che ci ritroviamo.
A questo moloch della legge celibataria sono disposti ad immolare persone e istituzioni. Ad un numero sempre più ristretto di sacerdoti sempre più anziani e con doppio e triplo incarico pastorale corrispondono parrocchie sempre più vuote e senza una guida.

Di una legge transitoria ne hanno fatto un principio teologico.
"Queste sono cose transitorie, sono cose determinate nel medioevo, quando per un principio di potere mondano si imposero le leggi del monacato al clero diocesano" soleva dire la buon’anima del monaco Benedetto Calati.

Personalmente sono celibe, ma state sicuri che anche a ottant’anni se decidessi di sposarmi non ci penserei due volte. Sono celibe ma sul mio celibato sento che questa legge pesa più che una mannaia: quella che è una scelta volontaria, libera e personale diventa imposizione da caserma. La bellezza della scelta viene deturpata dalla maschera arcigna della costrizione. Così mi sento defraudato della mia libertà sì da apparire agli occhi del popolo come quello che, poverino, "non può sposarsi!".

Al diavolo questa legge e quanti continuano testardamente a difenderla!
Papa o cardinali, vescovi o monsignori: sono ladri di libertà e di dignità. Peggio: sono seviziatori di coscienze.
Dice bene il Vangelo di loro: "Guai anche a voi, dottori della legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili" (Luca 11,46).

Sì il celibato è un peso insopportabile se non si è animati da un più grande amore che non tutti possono avere. Farne una legge generale è come voler tenere il fuoco dentro un vaso di cera.

So che c’è molto altro ancora dietro questa deriva morale da una parte e questa cecità ottusa dall’altra; c’è per esempio tutta una tradizione sessuofobica nella chiesa che non fa onore.

Non molti anni fa Umberto Galimberti su Repubblica si poneva questa domanda: "Come mai proprio la ‘religione dell’incarnazione’, l’unica fra tutte le religioni del mondo, ad aver incarnato Dio, ha così paura del corpo e della carne?".

Se se lo chiedessero i nostri vescovi e si facessero un bell’esame di coscienza, non sarebbe male. A meno che la coscienza non l’abbiano ormai imbalsamata dentro le bende del fariseismo istituzionalizzato.

(8 marzo 2010)

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