Manifesto di una teologa queer
Emanuela Provera
Nessuno è stato battezzato prete né vescovo. Siamo stati tutti battezzati come laici”, con queste parole, pronunciate in un video risalente all’8 ottobre e pubblicato dalla Rete Mondiale di Preghiera del Papa, Francesco ha inteso promuovere l’integrazione della donna nei cosiddetti luoghi di “potere” della chiesa. Le decisioni importanti, infatti, le hanno sempre prese e le prendono tuttora solo uomini; nella maggioranza dei casi uomini ordinati.
Ma se il potere si è saldato con il sacerdozio, è quindi recuperando la rilevanza dei battezzati che la donna potrà occupare una posizione di primo piano nella chiesa oppure accedendo al sacerdozio? La spinta più forte proviene della Conferenza episcopale tedesca che durante l’assise del marzo 2019 a Lingen, nella diocesi di Osnabrück, ha voluto avviare una serie di riforme di carattere e in via sperimentale; ovviamente tra i temi più caldi non manca quello del sacerdozio femminile che forse spinge Francesco ad andare oltre una rinnovata – quantunque generica – proclamazione del Vangelo.
In Italia si è espressa più volte, in modo concreto e condivisibile, Lucetta Scaraffia suggerendo la partecipazione delle presidenti Uisg (Unione internazionale delle superiori generali) alla commissione consultiva creata dal papa dopo un mese dalla sua elezione; detto consiglio è formato infatti solo da cardinali. Ambigua resta la posizione della Scaraffia nei confronti delle donne sacerdote, ritenendole un tentativo di clericalizzare la presenza femminile nella chiesa; propone infatti di farle cardinale[1] esprimendosi a favore di Chiara Lubich (fondatrice del Movimento dei Focolari e in via di canonizzazione) nella scommessa sul nome di quel cardinale in pectore, donna, creato da Giovanni Paolo II e mai reso noto.
È nell’alveo di questo dibattito, divenuto oramai incalzante, che auspichiamo un confronto coraggioso con le teologhe femministe; noi lo abbiamo avviato con Teresa Forcades.
“Non sono a favore dell’aborto ma sono a favore alla sua depenalizzazione”[2] è una delle dichiarazioni per cui la teologa femminista Teresa Forcades è stata chiamata “la monaca abortista” da alcuni esponenti di gruppi cattolici integralisti; altri l’hanno definita una “devastazione degli Ordini Religiosi, scaturita dal Vaticano II”. «Penso che il matrimonio omosessuale debba essere riconosciuto come un sacramento», dichiarava nel 2018[3]. Questa una breve sintesi del pensiero di Teresa Forcades, donna e medico, monaca di clausura e teologa.
IL CORPO DELLA DONNA E LA DEMOCRAZIA
Ripercorrendo le fasi storiche che hanno ridefinito criticamente, fino a mettere in discussione, la concezione dualistica tra corpo e anima propria di una certa filosofia e interpretazione dei testi sacri, nel libro Il corpo gioia di Dio Teresa Forcades, analizza gli stereotipi sulla donna, assunti sia dalla Chiesa sia dalla cultura prevalente, prospettandone il superamento a favore di una lettura del “corpo” che renda giustizia al desiderio femminile, nelle stanze dell’eros.
Se il recupero della dimensione corporea della donna, lontano dalle spiritualizzazioni senz’anima di certo ascetismo, giova sia all’uomo che alla donna, la fisicità femminile continua ad avere un impatto simbolico superiore a quella dell’uomo perché per entrambi il corpo femminile evoca la relazione con la propria madre.
Il progresso e la modernità non hanno significato soltanto un corpo oggetto del desiderio o della violenza, discriminato e controllato, ma, come lo racconta la Forcades, anche un corpo liberato: “Molte donne del passato non conoscevano l’orgasmo benché avessero avuto relazioni sessuali e fossero diventate madri molteplici volte. La maggior parte delle donne oggi conosce i diversi tipi di orgasmo e sa come raggiungerli in solitudine o in compagnia” [4].
Riconoscere la propria soggettività significa per la donna compiere un atto politico, per esempio di emancipazione dalla famiglia patriarcale, contribuendo così a una società più democratica.
Il corpo si fa linguaggio dalle implicazioni psicoanalitiche e scientifiche, antropologiche e persino economiche fino ad attraversare il sistema capitalistico e mercantilistico delle multinazionali farmaceutiche. Una prospettiva universale la sua che, lungi dal porsi in modo generalista, restituisce al lettore un pensiero rigoroso oltre che femminista. Forcades si avvicinò agli studi di genere grazie all’incontro con la teologa americana Elisabeth Schüssler Fiorenza della quale tradusse in castigliano il libro But She Said.
È con lo scopo di fare chiarezza che, nel 2020, Francesco ha istituito la seconda Commissione di studio sul diaconato femminile. La prima (del 2016) sembra abbia raggiunto un risultato solo parziale, tra l’altro non ancora reso noto. La partecipazione della donna nella chiesa passa attraverso l’accesso all’Ordine sacro?
La partecipazione delle donne alla vita della Chiesa non passa necessariamente dall’ordinazione sacerdotale. La donna da sempre svolge un ruolo attivo in molti altri modi. Ma non vedo ostacoli di natura teologica alla ordinazione delle donne.
Nella chiesa cattolica sono gli uomini che confessano le donne. Non le sembra che le confessioni più sacre e più libere avvengano tra donne e con le donne?
Prima del Terzo Concilio Lateranense (XII° secolo) le badesse confessavano le ‘loro monache’ ma non per questo la confessione era migliore. Non ci sono valide ragioni per impedire che le donne esercitino il sacramento della confessione, ma non credo che il genere influenzi la qualità della relazione; e questo vale sia per la confessione sia in qualunque altra situazione. Questo è il motivo per cui difendo l’idea queer.
QUEER – LA QUALITÀ DELL’AMORE
Teresa Forcades è conosciuta anche per essere teologa queer; credendo nell’esistenza di un Dio che non è né femmina né maschio, sviluppa una concezione della persona che trascende ogni tipo di categoria per rivendicare un carattere unico e originale dell’essere umano. Senza prescindere dalle categorie di spazio, tempo e sesso, anzi assumendole come fattori costitutivi della persona umana, Forcades elabora una concezione dell’uomo creato a immagine di un Dio che non ha né tempo, né spazio né sesso.
L’essere umano è sempre singolare e non può rientrare in un’unica categoria (sia essa di genere, di classe o di razza). Da qui lei ha coniato il termine “teologia queer”. Quali sono i dati di realtà cui si è ispirata per sviluppare la sua riflessione?
L’ispirazione proviene dai miei studi di teologia trinitaria che ho posto in relazione alla nozione di persona. Mi ha affascinato il modo con cui Tommaso d’Aquino ha sviluppato il carattere unico della persona; quindi, l’ho applicato al pensiero queer.
L’ipotesi della complementarietà di genere non esaurisce cioè l’esegesi antropologica di quei corpi che pure esistono ma non fecondano o non possono essere fecondati; la concezione cattolica di una sessual
ità binaria, centrata cioè su un corpo femminile che riceve e uno maschile che dà, seppure sia ancora maggioritaria, resta una categoria incapace di esprimere la pienezza dell’esperienza umana. Dio parla a ciascuno di noi con un linguaggio differente perché guarda ciascuno nella sua unicità e fa dire a Forcades: “Il problema del matrimonio non è se sia etero o omosessuale ma la qualità dell’amore che lo anima”[5].
Dio è donna? E Gesù?
Dio non è donna, Gesù non è donna. Dio non ha genere; Gesù ebbe un genere ed era maschile. L’importante però è comprendere che il genere è solo un punto di partenza che fa della persona qualcosa di necessariamente originale e inedito. Questo punto di partenza è come un trampolino più o meno adeguato a compiere il salto e in questo senso è importante – sia chiaro! – come educhiamo i bambini, le bambine. Non credo sia positivo incasellarli in una categoria di genere rigida anche se non va nemmeno bene credere che non esiste un genere e che possiamo prescindere da esso. Siccome sono fatta a immagine di Dio, sono portata a vivere la mia sessualità secondo la sua dimensione essenziale (la reciprocità libera e amorosa con un’altra persona) non secondo quello che non è essenziale (le categorie di genere). Solo quello che esiste in Dio è essenziale.
VERGINITA’ – LIBERTA’ DI AUTODETERMINAZIONE
Il pensiero di Forcades conduce al superamento dello stereotipo femminile della madre e sposa, senza però togliere valore, per chi la sceglie, alla verginità che lungi dal rappresentare una gabbia di repressione sessuale è la rivendicazione di una indipendenza dal modello obbligato della donazione di sé in famiglia o con un partner.
Che significato ha la verginità della Madonna? Era proprio necessario proclamarla?
Se è concepito come un evento biologico miracoloso e isolato, la verginità di Maria mi sembra molto irrilevante. Non lo è invece se concepita come l’affermazione che la madre non esaurisce la sua personale irriducibilità nella maternità, che rimane ‘vergine’ nel senso di ‘libera’, possedendosi esistenzialmente e non completamente esternalizzata nella relazione con un marito (nel ruolo di moglie) o con un figlio (nel ruolo di madre). Maria di Nazaret fu sposa e madre, ma non solo. Era e rimase vergine, cioè libera, non era di proprietà di nessuno, né del marito né del figlio. E partendo da questa libertà ha detto ‘Fiat’, ‘Si faccia’, rinnovandolo per tutta la vita, poiché non ha mai perso la sua coscienza libera, la sua “verginità”. A partire da essa si è donata e ha vissuto il suo rapporto sponsale con Giuseppe e la sua maternità con Gesù. La verginità è la non strumentalizzazione della donna.
Teresa Forcades libera la maternità di Maria dalla narrazione dogmatica della “Madre di Dio” e con parole della teologa barocca María di Gesù di Ágreda la rende il “luogo teologico della nostra libertà”. Il Cantico dei Cantici è sacra scrittura che racconta l’amore nella sua dimensione erotico-affettiva, non meramente procreativa; libro canonico per tutti i cristiani è considerato nella lettura ebraica il canto per eccellenza (il suo nome, infatti, Shir ha-Shirim è morfologicamente un superlativo) e viene letto nella liturgia dell’ottavo giorno di Pasqua. La sessualità umana, secondo Forcades, non è quindi destinata alla procreazione; nel Genesi l’attrazione tra Adamo ed Eva è finalizzata al superamento della solitudine; Adamo è una creatura in e di relazione, la natura animale o vegetale non gli basta, avverte la solitudine. La sessualità diventa quindi una opportunità di realizzazione umana (esattamente come in Dio non c’è alcuna procreazione) e non prevede necessariamente la complementarietà fra maschile e femminile come caratteristica esperienziale; nel XV sec. Giuliana di Norwich raccontava di un Dio madre e nutrice e san Giovanni della Croce, un secolo più tardi, avrebbe parlato di se stesso al femminile.
Forcades dà voce ad una Chiesa (minoritaria?) che, in controtendenza all’incedere dei fondamentalismi religiosi e politici, apre ad una lettura libera e femminista della condizione umana, della sua autonomia dai meccanismi del potere (patriarcale) che attraverso il controllo ne strumentalizzano l’immagine in uno spazio di subordinazione (quello della Chiesa) o di mercato (nella società civile). Forcades dissolve l’immagine della donna madre e sposa per ricomporla in un processo di autodeterminazione che la porta a scrivere: "Tutte le donne dovrebbero tenere in borsa la pillola del giorno dopo"[6].
L’autrice non ha paura del piacere e non si preoccupa di distinguerlo dal bisogno o di indicare una strada per viverlo responsabilmente. Il suo pensiero non lega la sessualità alla paura di peccare, tanto tipica di un pensiero teologico che ancora oggi crede nella verginità (astinenza sessuale) come cammino privilegiato di fecondità spirituale; è grazie all’energia sessuale che l’essere umano trasgredisce l’ordine prestabilito e concepisce la possibilità di compiere qualcosa di inimmaginabile, spinto da una vitalità che si trasforma in estasi o pazzia; ma, secondo Forcades, questa energia non è qualcosa di così diverso dall’amore di Dio.
LA CRISTIFICAZIONE QUEER
Nel mio dialogo con Teresa non ho mai avuto l’impressione di una donna che nega la tradizione o che cerca di ribaltarla con intento sovversivo, non le importa cioè fornire soluzioni originali. Sembra non le interessi nemmeno mettere in discussione l’origine o trovare luoghi alternativi alla contemplazione e alla realizzazione di sé; piuttosto a me è sembrato il suo un contributo interessante di avanzamento del pensiero umano che nasce da una esperienza individuale di profonda pienezza.
Queste ultime parole di Teresa Forcades, a conclusione del nostro dialogo, fanno luce sulla sua concezione queer dell’esistenza umana:
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Nella vita adulta siamo invece chiamati a “rinascere” (Giovanni 3), e non dalla madre ma dall’acqua e dallo spirito. Interpreto questa dichiarazione di Gesù come un invito a trascendere l’identità dell’infanzia per avventurarsi a vivere al di là di ogni etichetta, inclusa quella sessuale o di genere. In questo senso, posso chiamare la cristificazione “queer”.
Nel libro Il corpo gioia di Dio, che parla a tutti, credenti e non credenti, ordinati e semplici fedeli, nella dimensione di una libertà senza paure e confini, inclusiva, corporea, Forcades scrive:
[2] Teresa Forcades, Siamo tutti diversi! Per una teologia queer, Castelvecchi, 2016.
[3] Paolo Rodari, «L’ultima battaglia della suora attivista: “Torno in clausura”», La Repubblica, 16 luglio 2018.
[4] Teresa Forcades, Il corpo gioia di Dio, Il Segno dei Gabrielli editori, 2020.
[5] Teresa Forcades, Siamo tutti diversi! Per una teologia queer, Castelvecchi editore, 2016.
[6] Per contestualizzare l’espressione rinvio al capitolo “La pillola del giorno dopo” in Teresa Forcades, Siamo tutti diversi! Per una teologia queer, Castelvecchi, 2016.
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