Marco Cappato: una vita per i diritti civili

Carlo Troilo



Ho conosciuto Marco Cappato 11 o 12 anni fa. Mio fratello Michele, malato terminale di leucemia, non avendo trovato un medico che lo aiutasse a morire, si era suicidato gettandosi dal quarto piano. Decisi allora di impegnarmi politicamente in favore della eutanasia. Dopo un periodo di battaglia solitaria, Mirella Parachini mi suggerì di collaborare con l’Associazione Luca Coscioni e mi accompagnò da Marco Cappato, che all’epoca ne era il segretario.

Avevo conosciuto moltissimi uomini politici. Di alcuni, fra cui Pannella, ero stato amico, di altri (Manca, De Michelis e Giolitti) stretto collaboratore.
Marco mi diede subito l’impressione di un fuori classe. Con lui stabilii un rapporto di collaborazione molto positivo, senza gerarchie e con reciproco rispetto. Di Marco mi hanno sempre colpito la lucidità politica assieme alla perseveranza nel perseguimento degli obiettivi. La mia cocciutaggine abruzzese ci ha portato qualche volta ad amichevoli diverbi ed ha indotto Marco a soprannominarmi “Carlo Martello”.

Sono contento che Cappato abbia trovato la voglia e il tempo per scrivere un libro (“Credere, disobbedire, combattere”, editore Rizzoli, pagine 253, euro 19) per due ragioni: perché io stesso ero curioso di sapere le mille cose che Marco ha fatto nella vita; perché in questo suo lavoro ho trovato una sintesi impressionante dei principali temi di azione che hanno fatto di un piccolo partito, quello Radicale, un grande promotore di idee e di battaglie civili, non solo in Italia ma con una incredibile capacità di agire a livello internazionale, dall’ONU al Parlamento Europeo, dalla Russia all’Oriente e al Sud America.

In un mondo in cui la democrazia è sempre più in crisi (con una riduzione drastica degli iscritti ai partiti e ai sindacati) ed in cui gli USA di Trump rimettono in discussione il sistema internazionale dei diritti umani, Cappato ci spiega perché l’impegno politico dei singoli acquista maggior valore. E per i singoli (o i piccoli gruppi) lo strumento di azione più efficace resta (o torna ad essere) l’arma principale dei Radicali: la disobbedienza civile e la non violenza (con una avvertenza: “L’obiettivo non è violare le regole, ma cambiare le regole”). Su questo tema Cappato ripercorre molte delle battaglie del suo Partito e sue personali:

– l’eutanasia, con la storia dei suoi viaggi in Svizzera, ed in particolare quello commovente con il Dj Fabo
– la liberalizzazione anziché il proibizionismo per le droghe
– il rispetto per la sessualità “diversa”, in un mondo in cui 72 Stati criminalizzano l’orientamento sessuale dei cittadini, 13 prevedono la pena di morte e 8 la applicano con regolarità. Cappato tocca anche il tema della assistenza sessuale per i locked-in, prevista in molti Stati;
– la battaglia vittoriosa (protagonista, Filomena Gallo) per demolire pezzo a pezzo la legge 40 e dare anche agli italiani la possibilità di ricorrere alla procreazione assistita senza inumani divieti
– la libertà della ricerca scientifica ed il contrasto ai fautori della “antiscienza” (dalla vicenda “Stamina” alle polemiche sui vaccini)
– la “lobby” di Coldiretti per vietare in Italia il ricorso agli OGM, marginalizzando così il nostro Paese sul mercato mondiale. Cappato ironizza amaramente sulla “follia oscurantista” che portò ad incendiare le sperimentazioni della Tuscia su kiwi, ciliegio e ulivo (“La memoria dei roghi della Inquisizione non è più tanto una forzatura”)
– il rischio di una sorveglianza elettronica su larga scala, tornato a farsi forte dopo l’11 settembre
– la richiesta di un nuovo servizio pubblico radiotelevisivo cui dare il compito di una seria alfabetizzazione digitale (come avvenne nel secolo scorso per l’alfabetizzazione degli italiani).

A tutti questi temi serissimi si affianca, nel libro di Cappato, una serie di vicende personali e di missioni in giro per il mondo durante i suoi otto anni al Parlamento Europeo. Divertente il momento in cui, dopo un intervento particolarmente vivace di Marco a Strasburgo, Berlusconi lo apostrofa così: “Esibizionista”: “Silvio Berlusconi – commenta Marco – mi aveva dato dell’esibizionista. Lui a me!”.

Raccontate con molta ironia, per non dare l’idea di un nuovo Indiana Jones, le provocazioni “non violente” alle polizie di molti stati totalitari, dalla Russia a Cuba (dove Marco agisce “in modalità agente segreto”), alcuni momenti di pericolo per la sua personale incolumità ed anche una esperienza di una settimana in carcere in Gran Bretagna per aver distribuito hashish (poi ridotta a tre giorni per buona condotta). Il suo compagna di cella (4 metri per 2) è un ex pugile di colore, condannato a due anni e mezzo per rapina a mano armata e non ha un’aria molto rassicurante. Lascia la lettura del romanzo “The perfect murderer” solo per chiedere a bruciapelo e con una punta di ribrezzo a Marco: “Are you gay?”.

Speriamo che anche parecchi giovani leggano questo libro e che dall’esempio di Marco traggano un insegnamento, che solo alcuni di noi hanno avuto la fortuna di ricevere dai propri padri: “Chi non è rivoluzionario a 16 anni, da vecchio sarà un reazionario”.  E che siano invogliati ad uscire dal privato per cimentarsi con quella che è – se vissuta con onestà di intenti – la più bella delle esperienze: la lotta politica.

(1 novembre 2017)



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