Marta Cartabia papabile premier: ancora una donna contro le donne

Maria Concetta Tringali

Nel totopremier che è appena iniziato, circola anche il nome della giurista Marta Cartabia che tra i vari “meriti” ha quello di essere una donna. Ma è sufficiente a essere dalla parte delle donne? Basta dare uno sguardo alle sue posizioni sui diritti civili per capire che la risposta è un chiaro NO.

La crisi di governo innescata dal ministro Salvini a ridosso di ferragosto, e portata dal dimissionario presidente Conte al cospetto del Senato, ci ha catapultati in una dimensione che è quella della affannosa ricerca di una nuova maggioranza.

Con un esecutivo ormai confinato al disbrigo degli affari correnti, le strade percorribili sono due soltanto: la formazione di un nuovo governo in grado di ottenere la fiducia dal Parlamento oppure elezioni anticipate. I sondaggi e il buon senso dicono che l’ultima soluzione premierebbe certamente la Lega, e unicamente la Lega.

La decade finale del mese di agosto serve di fatto a trovare la quadratura del cerchio, attraverso il giro rituale delle consultazioni avviate da Mattarella. E mentre Pd e Movimento 5 Stelle si giocano da protagonisti la possibilità di un nuovo esecutivo, rimbalzano i nomi di un probabile premier. In molti auspicano che sia una donna.

Uno dei nomi femminili che circolano con maggiore insistenza è quello Marta Cartabia, vicepresidente della Corte costituzionale dal 2014.

Ma se fosse lei la prossima presidente del consiglio, le donne non avrebbero motivo di gioire.

Cerchiamo di capire il perché. Partendo da un un’intervista a LetteraDonna e da un inciso in cui la giudice dice molto di sé. Confessa, infatti, come non sia tra le sue prime preoccupazioni quella di sottolineare la differenza di età, di sesso o di condizioni sociali.

Lasciando poi da parte, per un momento, le indubbie competenze professionali della giurista, potrebbe essere opportuno dare un’occhiata alle posizioni assunte da quella, su questioni concrete che ci riguardano tutti.

La fonte migliore è certamente la Fondazione per la Sussidiarietà presieduta da Giorgio Vittadini a cui Marta Cartabia è legata da anni e il Sussidiario.net che di quell’organo è un’estensione, per definizione “il quotidiano approfondito”.

Sulla questione dei diritti umani, in particolare, si rivela assolutamente chiarificatore un articolo a firma della papabile premier che così recita: «I cd. “nuovi diritti” si alimentano di una concezione in cui l’uomo è ridotto a pura capacità di autodeterminazione, volontà e libera scelta».

Non ci sono grandi possibilità di errore nel ritenere quelle affermazioni di matrice, quanto meno, conservatrice se non reazionaria.

L’attuale vicepresidente della Consulta in verità, in perfetta coerenza di stile e di pensiero, negli anni non ha mancato di indirizzare bordate alle battaglie legali di Beppino Englaro che si è battuto per sospendere l’alimentazione artificiale della figlia Eluana, in stato di coma irreversibile, lesivo della dignità della persona, dal novembre del 1992.

Secondo la costituzionalista i termini della questione sono altri e arriva a pronunciare affermazioni forti: «Il diritto all’autodeterminazione del soggetto incapace: un ossimoro, se non fosse affermato dalla Suprema Corte di cassazione».

Anche contro l’aborto, come contro il matrimonio delle coppie omosessuali, la giudice non ha lesinato critiche, mostrando una visione molto vicina a quella degli ultracattolici: «È così che si arriva persino ad affermare il “diritto a non nascere” o il “diritto a darsi la morte”, il cui effetto è la negazione del soggetto stesso».

Un personaggio, in definitiva, che si colloca su posizioni del tutto analoghe a quelle professate dai membri del Congresso mondiale della Famiglia tenutosi a Verona in primavera, nella sua tredicesima edizione.

Ma davvero possiamo dirci rappresentate da chi sostiene assunti di questo tenore?

Leggerne gli scritti svela il pensiero della giurista, il convincimento di chi ritiene che «fuori da una concezione creaturale in cui l’uomo è diretto rapporto con l’infinito, non si dà dignità umana e i diritti, anziché costituire la massima valorizzazione della persona, aprono la strada al suo annientamento».

È allora inevitabile in conclusione chiedersi quale sarebbe, di grazia, la differenza nell’avere per premier una donna con queste convinzioni e non, invece, un Fontana o un Pillon qualunque.

(22 agosto 2019)


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