Meglio Conte esplicito o Conte implicito?

Federica Cominetti

, Edoardo Lombardi Vallauri

Tutti hanno assistito (e molti partecipato) al pandemonio mediatico scatenato dalla scelta di Giuseppe Conte, durante il messaggio alla nazione di venerdì 10 aprile, di “fare nomi e cognomi” degli avversari politici colpevoli di aver “falsamente e irresponsabilmente” diffuso notizie relative al Mes. A contrappeso dell’ampio fronte degli entusiasti, che si compiacciono di avere un premier così chiaro e deciso, si sono levati gli scudi non solo dei diretti interessati, ma anche di giornalisti tendenzialmente super partes, come Enrico Mentana, e persino di rappresentanti della sinistra più estrema.

Qual è il punto che ha spaccato l’opinione pubblica? La scelta, che lo stesso Conte ha volontariamente rimarcato, di dichiarare che stava parlando di Matteo Salvini e Giorgia Meloni. La scelta, cioè, di essere esplicito. Il bailamme che ne è seguito mostra nitidamente come il discorso politico a cui siamo abituati abbia fatto dell’abitudine all’implicito una delle sue chiavi di volta.

Studiando il mascheramento di contenuti nella comunicazione politica come Osservatorio Permanente sulla Pubblicità e la Propaganda (www.oppp.it), osserviamo quotidianamente che essere impliciti riserva notevoli vantaggi ai politici: per una serie di ragioni cognitive che affondano le radici nella nostra storia evolutiva, noi esseri umani siamo portati a ridurre il nostro senso critico davanti a contenuti impliciti, che tendiamo ad accettare come veri, finendo a volte anche per sentirli come conclusioni a cui siamo giunti da soli (vedi E. Lombardi Vallauri, La lingua disonesta, Il Mulino 2019). Insomma, l’implicitezza è una strategia un po’ truffaldina che riserva tanti vantaggi e pochi rischi, a cui i politici – più o meno consapevolmente – ricorrono spesso. Nel nostro gruppo di ricerca siamo sempre più convinti che una maggiore esplicitezza, che significa prendersi la responsabilità dei contenuti che si trasmettono, sia desiderabile nel discorso politico. Eppure questa volta è proprio l’esplicitezza che viene contestata.

Mentana, nel post Facebook con cui ha risposto alle polemiche scatenate dalle sue reazioni a caldo subito dopo la diretta, spiega: “Parlando al paese il premier Conte doveva conservare il profilo per il quale gli veniva consentito di usare quel canale privilegiato. Se voleva spiegare la situazione dopo l’Eurogruppo, come ha fatto, gli bastava ricordare che il governo italiano non ha chiesto di accedere al Mes e nel prossimo vertice europeo tornerà a chiedere gli Eurobond, con buona pace di chi sostiene il contrario (corsivo nostro)”.

Sostanzialmente, Mentana lascia intendere che la reprimenda del premier sarebbe stata legittima se avesse fatto ricorso a quella che tecnicamente si chiama una implicatura: invece di nominare i suoi avversari, Conte avrebbe potuto fare allusioni tali da far sì che, a identificare di chi stava parlando, ci arrivassero gli ascoltatori. Avrebbe cioè potuto dire qualcosa come: “Il Mes esiste dal 2012, non è stato istituito ieri, non è stato approvato o attivato la scorsa notte come falsamente e irresponsabilmente è stato dichiarato in queste ore da alcuni leader dei partiti di opposizione”. Tutti avrebbero capito lo stesso chi stava accusando. Ma chissà, forse gli ascoltatori – per lo meno gli indecisi – lo avrebbero trovato ancora più convincente.

La questione, in realtà, è tutt’altro che banale, e stiamo lavorando perché in un futuro prossimo diventi di attualità fra le attenzioni degli organismi di controllo sia sulla pubblicità commerciale che sulla propaganda politica: se essere espliciti viola – in un certo senso – la par condicio, veicolare gli stessi contenuti in modo implicito è invece legittimo? Soprattutto, è legittimo quando il contenuto veicolato è discutibile, e grazie all’essere implicito rischia più facilmente di essere creduto vero senza discuterlo?

Qual è dunque, in un caso come quello del discorso di Conte, la differenza fra essere espliciti ed essere impliciti? Essenzialmente quello che il grande antropologo Erwing Goffman (Giochi di faccia, in Il rituale dell’interazione, Il Mulino 1988) ha chiamato oltraggio alla faccia della controparte. Facendo capire che si trattava di Salvini e Meloni senza nominarli espressamente, il contenuto trasmesso sarebbe stato il medesimo, ma Conte avrebbe mostrato l’intenzione di attaccarli meno apertamente. La scelta di fare i nomi non è stata dunque la scelta di accusarli di avere mentito agli italiani: questo si poteva fare anche senza i nomi. Si è trattato invece della scelta di non usare a Salvini e Meloni neanche la cortesia minima di salvargli la faccia.

Certamente, una grave conseguenza dell’essere espliciti è che gli altri non possono far finta di niente: non ci si poteva certo attendere che, chiamati in causa, Salvini e Meloni se ne stessero zitti. A meno di contemplare l’alternativa, a priori decisamente improbabile, che ammettessero le proprie colpe e si scusassero pubblicamente con il governo, la polemica era assicurata. D’altra parte, possiamo anche pensare che un simile sbugiardamento pubblico servirà ai due come spunto di riflessione – dato che gli effetti in termini di gradimento non sembrano essere in loro favore – : magari tra le conseguenze a medio termine dell’esplicitezza potrebbe esserci da parte loro una condotta tale da evitare altre esplicite correzioni.

(15 aprile 2020)



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