Meglio votare Amato, D’Alema o Marini?
Dopo la rinuncia di Ciampi, MicroMega riformula ai suoi collaboratori e lettori le questioni avanzate ieri.
Chiediamo il vostro parere sui seguenti interrogativi:
1) Il Presidente della Repubblica non deve essere figura “super partes” nel senso di equidistante tra le due coalizioni, o imparziale rispetto ai valori in conflitto. Il Presidente della Repubblica rappresenta l’unità della nazione nel segno della Costituzione. E’ il CUSTODE della Costituzione, il suo garante, dunque l’intransigente difensore dei valori da cui nasce la Costituzione repubblicana.
In questa senso preciso, quale candidatura (e perché) è più indicata per un Presidente di tutti gli italiani?
Giuliano Amato, Massimo D’Alema, Franco Marini?
2) Due accaniti e autorevolissimi sostenitori di Berlusconi come Giuliano Ferrara e Vittorio Feltri stanno svolgendo una martellante campagna mediatica a favore della candidatura di D’Alema. E favorevoli a D’Alema si sono nella sostanza dichiarati altri pasdaran berlusconiani come Paolo Guzzanti e don Gianni Baget Bozzo. Non c’è il rischio che una elezione di D’Alema avvenga nel modo più equivoco, con franchi tiratori del centro-sinistra compensati da franchi tiratori (a lui favorevoli) del mondo berlusconiano, mentre quello stesso mondo griderà alla “occupazione comunista” dello Stato?
3) Non è doveroso che tutto avvenga alla luce del sole, poiché è questo che distingue radicalmente la trattativa dall’inciucio? E poiché tocca alla maggioranza cominciare, non sarebbe giusto che il centro-sinistra formuli una rosa di nomi, che comprenda oltre a politici di partito (D’Alema e Marini) e a politici di confine con la società civile (Amato) anche personalità estranee ai partiti, come la costituzionalista Lorenza Carlassare o il giurista Franco Cordero?
Flores Paolo Flores d’Arcais
Massimo D’Alema è il candidato di Giuliano Ferrara. Massimo D’Alema è il candidato di Vittorio Feltri. Massimo D’Alema è il candidato di Marcello Dell’Utri. Massimo D’Alema è il candidato di Piero Ostellino. Il candidato Massimo D’Alema piace moltissimo a Fedele Confalonieri. Paolo Guzzanti e don Gianni Baget Bozzo hanno manifestato parecchio apprezzamento per la candidatura di Massimo D’Alema.
Non siamo forse di fronte a quegli indizi molteplici e convergenti, dai quali concludere che Massimo D’Alema è il candidato in pectore, il candidato occulto, il candidato VERO del cavalier Silvio Berlusconi?
Il presidente della Repubblica è per definizione il garante anzi il CUSTODE della Costituzione. Di quale Costituzione può essere garante e custode chi aveva deciso di stravolgerla attraverso l’indecente inciucio della bicamerale?
Possibile che non vi siano nei Ds, nei partiti minori, nella coalizione di Prodi, nelle coscienze dei singoli parlamentari (eletti senza vincolo di mandato) settori e persone con il necessario coraggio civile per sottrarsi ai diktat partitocratici e a logiche di equilibrio tra le diverse nomenclature di apparato? Possibile che nel centro-sinistra non ci sia nessuno capace di parlare ad alta voce per dire quello che molti ripetono in privato: che Giuliano Amato (o anche Mario Monti) risponderebbe assai meglio alle caratteristiche che deve avere il Capo dello Stato secondo la nostra Costituzione repubblicana?
E aggiungo perché non prendere in considerazione figure ineccepibili di giuristi quali Lorenza Carlassare, Franco Cordero o Gustavo Zagrebelsky?
Marco Travaglio
1) Il Presidente della Repubblica non deve essere figura “super partes” nel senso di equidistante tra le due coalizioni, o imparziale rispetto ai valori in conflitto. Il Presidente della Repubblica rappresenta l’unità della nazione nel segno della Costituzione. E’ il CUSTODE della Costituzione, il suo garante, dunque l’intransigente difensore dei valori da cui nasce la Costituzione repubblicana. In questa senso preciso, quale candidatura (e perché) è più indicata per un Presidente di tutti gli italiani?
Ha ragione Claudio Rinaldi: non s’è mai visto, in Italia, un presidente della Repubblica che sia il “dominus” di un grande partito. Saragat era segretario di un piccolo partito. Gronchi, Segni, Leone e Cossiga erano outsider nella Dc, e Pertini lo era nel Psi, mentre Einaudi e Ciampi erano tecnici prestati alla politica ma estranei ai giochi di partito. Massimo D’Alema è indiscutibilmente l’azionista di maggioranza dei Ds. Senza contare che gli eredi del vecchio Pci, usciti dalle elezioni con meno del 30 per cento della somma dei voti, hanno già avuto la terza carica dello Stato con Bertinotti: attribuire loro anche il Quirinale parrebbe francamente eccessivo rispetto agli orientamenti emersi nel Paese dalle ultime elezioni. C’è poi il problema del presidente della Repubblica come “custode e garante della Costituzione”: che custode e garante potrebbe essere un D’Alema, che come presidente della Bicamerale firmò una controriforma che faceva a pezzi l’intera seconda parte della Costituzione, violando anche alcuni principi contenuti nella prima e accettando indecenti compromessi al ribasso sulla giustizia e l’indipendenza della magistratura? Lo stesso dicasi per Giuliano Amato, grande architetto della cosiddetta “Grande Riforma” costituzionale in senso presidenzialista- cesarista ai tempi di Craxi.
2) Giuliano Amato, Massimo D’Alema, Franco Marini? Due accaniti e autorevolissimi sostenitori di Berlusconi come Giuliano Ferrara e Vittorio Feltri stanno svolgendo una martellante campagna mediatica a favore della candidatura di D’Alema. E favorevoli a D’Alema si sono nella sostanza dichiarati altri pasdaran berlusconiani come Paolo Guzzanti e don Gianni Baget Bozzo. Non c’è il rischio che una elezione di
D’Alema avvenga nel modo più equivoco, con franchi tiratori del centro-sinistra compensati da franchi tiratori (a lui favorevoli) del mondo 
; berlusconiano, mentre quello stesso mondo griderà alla “occupazione comunista” dello Stato?
Oltre agli sponsor di D’Alema già citati, vorrei ricordare che D’Alema è anche il candidato di altri autorevoli personalità come i pregiudicati Marcello Dell’Utri e Paolo Cirino Pomicino, il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri, il latitante Oreste Scalzone, Lanfranco Pace, Francesco Cossiga, Piero Ostellino, Pietrangelo Buttafiuoco, Marcello Veneziani, Carlo Rossella, Falco Accame. Bisognerebbe domandarsi perché mai D’Alema piaccia così tanto a personaggi simili. E che cosa si aspettino da lui simili personaggi. E se magari sappiano qualcosa che noi ancora non sappiamo.
A questo proposito, vorrei aggiungere qualche concreto elemento fattuale che dovrebbe caldamente sconsigliare l’ascesa al Colle più alto di Massimo D’Alema. Il presidente Ds si è salvato per prescrizione in un processo relativo a un finanziamento illecito di 20 milioni di lire ricevuto a metà degli anni 80 da un imprenditore barese colluso con la Sacra Corona Unita, il re delle cliniche pugliesi Francesco Cavallari, che poi ha patteggiato una condanna per concorso esterno in associazione mafiosa (perché, fra l’altro, ingaggiava esponenti delle cosche baresi nelle sue cliniche per far pestare a sangue i sindacalisti della Cgil che scioperavano contro le violazioni dello Statuto dei lavoratori e rifiutavano di iscriversi a un sindacato “giallo” allestito dallo stesso imprenditore). D’Alema confessò di aver ricevuto denaro in nero da quel soggetto al termine di una cena nella di lui casa, senza registrarlo fra i contributi elettorali come prevedeva (e prevede) la legge. Insomma, confessò di aver commesso un reato. Può il responsabile accertato di un reato penale aspirare a diventare capo dello Stato e, soprattutto, presidente del Consiglio superiore della magistratura?
C’è poi il problema delle amicizie non proprio raccomandabili che Massimo D’Alema ha intrecciato nel corso della sua carriera politica. Un capo dello Stato non solo non dev’essere ricattabile, ma non deve neppure sembrarlo. Nella sua Puglia, il nome di D’Alema è associato allo scandalo della Missione Arcobaleno, che ha visto coinvolti alcuni uomini a lui vicini indagati dal futuro sindaco di Bari Michele Emiliano; e alla Banca del Salento, poi Banca 121, gestita da suoi amici con risultati disastrosi soprattutto per i risparmiatori (centinaia di persone sul lastrico per i famosi investimenti nei fondi “My Way” e “Four You”). Quando è stato presidente del Consiglio, D’Alema ha diretto i giochi della più controversa delle privatizzazioni, quella della Telecom, affidata a una congrega di finanzieri senza blasone ma soprattutto senza soldi, che acquistarono il colosso a debito, cioè con i soldi delle banche, riempiendolo di buchi (che oggi ammontano ormai a 53 miliardi di debiti). L’operazione fece dire a Guido Rossi che Palazzo Chigi somigliava a ”una merchant bank dove non si parla l’inglese”. Anche perché la congrega dei “capitani coraggiosi” approdati a Telecom era formata dal ragionier Colaninno, dal dottor Gnutti e dell’ingegner Consorte. Il secondo e il terzo si sono poi ritrovati, insieme ad altri vecchi amici di D’Alema, nella scalata dell’Unipol alla Bnl, che i giudici di Milano definiscono “associazione per delinquere” finalizzata a una serie di gravi reati. Di quella scalata D’Alema s’interessò attivamente: sia in pubblico con dichiarazioni a sostegno di Consorte, in difesa di Gnutti e anche di Ricucci e degli altri “furbetti”; sia in privato, come risulta dalle sue telefonate intercettate con Consorte (diverse volte) e da un contatto telefonico (poi abortito) addirittura con Fiorani. Intanto il senatore suo sodale Nicola Latorre parlava sia con Consorte sia con Ricucci. Seguiva la pratica Unipol lo studio Zulli, da sempre associato con Giulio Tremonti. Quelle telefonate, diversamente da quelle di Piero Fassino subito pubblicate dal “Giornale” berlusconiano, restano al momento segrete. Ma, secondo le denunce degli stessi Ds, Berlusconi sarebbe in possesso del “dischetto” completo delle intercettazioni disposte dai magistrati milanesi. In questo caso, noi non sappiamo che cosa contengano quelle conversazioni, ma Berlusconi sì. Quale uso ne viene o ne può essere fatto, visto che il Giornale ha improvvisamente interrotto la pubblicazione dei testi appena finito con quelli di Fassino? Non sarebbe il caso di renderne noto il contenuto, per dissipare ogni sospetto di ricatti? Finchè ciò non avverrà, intorno a Massimo D’Alema permarrà un fumus oggettivamente ricattatorio. Che è totalmente incompatibile con le sue aspirazioni per la Presidenza della Repubblica.
3) Non è doveroso che tutto avvenga alla luce del sole, poiché è questo che distingue radicalmente la trattativa dall’inciucio? E poiché tocca alla maggioranza cominciare, non sarebbe giusto che il centro-sinistra formuli una rosa di nomi, che comprenda oltre a politici di partito (D’Alema e Marini) e a politici di confine con la società civile (Amato) anche personalità estranee ai partiti, come la costituzionalista Lorenza Carlassare o il giurista Franco Cordero?
Aggiungerei all’elenco personalità super partes come Giovanni Sartori, Gustavo Zagrebelski, Tullia Zevi e Mario Monti.
Francesco Pardi
1) Il Presidente della Repubblica non deve essere figura “super partes” nel senso di equidistante tra le due coalizioni, o imparzi ale rispetto ai valori in conflitto. Il Presidente della Repubblica rappresenta l’unità della nazione nel segno della Costituzione. E’ il CUSTODE della Costituzione, il suo garante, dunque l’intransigente difensore dei valori da cui nasce la Costituzione repubblicana.
In questa senso preciso, quale candidatura (e perché) è più indicata per un Presidente di tutti gli italiani?
Giuliano Amato, Massimo D’Alema, Franco Marini?
E’ vero: il Presidente della Repubblica è, insieme alla Corte Costituzionale, il custode della Costituzione. Da questo punto di vista le credenziali di D’Alema non sono all’altezza del compito. La Commissione bicamerale da lui presieduta durante tra il ’96 e il ’98 ha rappresentato un tentativo di modificare in peggio, molto in peggio, la Costituzione. Si cominciò introducendovi, per una precisa richiesta di Berlusconi, la questione giustizia, che non era prevista e non aveva niente a che vedere con i compiti della commissione. Così l’intera commissione si trovò condizionata dalla necessità di sgravare il capo dell’opposizione dai numerosi processi che incombevano su di lui. Le bozze Boato sono ancora agli atti a testimoniare una prassi bipartisan volta a ridimensionare le potestà della magistratura, prassi che ha poi trovato sfogo attuativo in varie pessime leggi prima sotto il centrosinistra e poi sotto il centrodestra; la soluzione finale sta nella legge incostituzionale sull’ordinamento giudiziario, che dovrà essere abrogata.
Ma, al di là della questione giustizia, la Bicamerale sarà ricordata come la sede in cui, come ha scritto Rodotà, le modifiche costituzionali venivano trattate come mezzo di contrattazione per nuovi equilibri tra le due coalizioni: la Costituzione ridotta a merce di scambio. Insomma: essere stato presidente della Bicamerale è un fondato motivo per non diventare Presidente della Repubblica.
Nessuno dei tre proposti nella domanda mi sembra adatto al ruol
o di custode della Costituzione. Amato ha contribuito di persona alla costruzione del monopolio berlusconiano sulla televisione commerciale (un monopolio incostituzionale). Marini sembra portatore di tutto eccetto che dell’interesse generale. Ed è già motivo di sofferenza vedere che alla presidenza delle due camere stanno persone che ebbero, insieme a D’Alema, precise responsabilità nella caduta del primo governo Prodi. (E non si può dimenticare che se siamo stati costretti a gioire sinceramente per la riuscita di Marini al Senato, ciò dipende dall’ottusità (soltanto?) dell’Unione che ha rinunciato al contributo delle liste di cittadinanza: questo avrebbe permesso di raggiungere il premio di maggioranza in altre due o tre regioni e quindi ci avrebbe dato anche una notevole tranquillità nel voto in aula).
Quanto al reale fondamento della vocazione riformista di D’Alema si potrebbero nutrire dubbi. Ad esempio, il significato riformista dei suoi provvedimenti “salvabanche” è assai controverso anche in Europa: erano contro la concorrenza e favorivano le banche contro i diritti dei clienti; molti esperti li considerano provvedimenti di estrema destra.
2)Due accaniti e autorevolissimi sostenitori di Berlusconi come Giuliano Ferrara e Vittorio Feltri stanno svolgendo una martellante campagna mediatica a favore della candidatura di D’Alema. E favorevoli a D’Alema si sono nella sostanza dichiarati altri pasdaran berlusconiani come Paolo Guzzanti e don Gianni Baget Bozzo. Non c’è il rischio che una elezione di D’Alema avvenga nel modo più equivoco, con franchi tiratori del centro-sinistra compensati da franchi tiratori (a lui favorevoli) del mondo berlusconiano, mentre quello stesso mondo griderà alla “occupazione comunista” dello Stato?
Purtroppo sì. L’intesa su una figura super partes non può essere confusa con il compromesso su una figura che, proprio perché è un dirigente politico di primo piano, potrebbe svolgere in modo ingombrante un ruolo che richiederebbe invece la massima discrezione. Il D’Alema che disse “Ai magistrati ci pensiamo noi” che farà al vertice del Csm? E il D’Alema che voleva il rafforzamento dell’esecutivo che farà fuori dall’esecutivo?
Preoccupa più di tutto l’intento dichiarato, non solo da D’Alema ma da robuste componenti della coalizione, di dover a tutti i costi concordare con l’opposizione nuove riforme costituzionali. Si ricade così nel vizio della Bicamerale: la modifica costituzionale come terreno di scambio e compromesso tra le parti. Si dovrà stare molto attenti.
(Come correttivo retorico si potrebbe nutrire la speranza ironica che il ruolo di custode obblighi l’eventuale presidente D’Alema alla massima difesa della Costituzione (dell’unica Costituzione, salvata da un grande NO nel referendum di giugno); e la speranza cinica che il nuovo rapporto di forza lo induca non a compromessi ma a restituire pan per focaccia a Berlusconi per il fallimento della Bicamerale; ma non succederà…)
3)Non è doveroso che tutto avvenga alla luce del sole, poiché è questo che distingue radicalmente la trattativa dall’inciucio? E poiché tocca alla maggioranza cominciare, non sarebbe giusto che il centro-sinistra formuli una rosa di nomi, che comprenda oltre a politici di partito (D’Alema e Marini) e a politici di confine con la società civile (Amato) anche personalità estranee ai partiti, come la costituzionalista Lorenza Carlassare o il giurista Franco Cordero?
Un argomento abituale usato da tutti gli esperti è che in questa situazione difficile ci deve stare un politico. Come si dice calcando le sillabe: un po-li-ti-co. Potrebbe essere argomento valido se esistesse un po-li-ti-co capace di indipendenza e autonomia, capace di dialogare con l’opinione pubblica al di fuori della politica formale. Ma oggi, al contrario, la presa dell’oligarchia è divenuta totale e ossessiva. E la candidatura D’Alema ne è la perfetta espressione. Questo pone problemi d’iniziativa a tutto il mondo della cittadinanza attiva. Registrata la durezza del fatto non possiamo continuare a lamentarci. Non è col vittimismo che si cambiano le cose. Dobbiamo costruire un nuovo ambito di azione pubblica: proporre leggi d’iniziativa popolare, pretendere, imporre le primarie in tutte le prossime scadenze…C’è moltissimo da fare, ad averne la voglia e l’energia. Avanzare candidature alternative senza la forza di sostenerle di fronte all’intera platea sociale rischia di essere non solo un atto minoritario ma una involontaria denuncia della nostra impotenza. Ma è anche giusto indicare persone degne col preciso scopo di far capire che altre possibilità esistono. In questo senso, Tina Anselmi, Gustavo Zagrebelsky, Lorenza Carlassare, Franco Cordero sono nomi che evocano il valore dell’autonomia e dell’indipendenza.
Pierfranco Pellizzetti
Al momento in cui rispondo, il Centro-Sinistra ha da poco preannunciato la candidatura secca di Massimo D’Alema a presidente della Repubblica. Intanto – seppure smentite – aleggiano ipotesi di riserva rispondenti ai nomi di Franco Marini e Giuliano Amato. Fallita la mossa strumentale del nome di Carlo Azeglio Ciampi per sparigliare i giochi, Berlusconi risponde indicando Gianni Letta.
Che dire? Semplicemente che la nostra politica continua a imitare l’ultimo vero vanto nazionale: la Commedia dell’Arte, con il suo impareggiabile codazzo di maschere.
Sicché D’Alema, invecchiando, somiglia sempre di più al Peppino De Filippo capufficio di Policarpo De’ Tappetti. Stessa petulanza piccolo-borghese, identica ricerca dei simboli di status (per l’uno il blasone araldico, per l’altra i natanti). Comune il cinismo nell’arrampicata.
Bruno Trentin aveva soprannominato Marini “il tappetaro”: altra maschera di quest’Italia da ridere. Letta, capigliatura con cachet celestino in tinta con l’abito lavanda, esibisce l’aplomb e il garrulo bisbiglio di un barbiere (ma per il Cavaliere brianzolo tutto ciò è il massimo di chic e standing).
A bocce in movimento la mia previsione è che lo schieramento di maggioranza – more solito – si farà male da solo. Sicché, alla fine, potrebbe prevalere Micky Mouse Amato; se Berlusconi concede il via libera per non dimenticati meriti “tecnici” al tempo del decreto ad personam che sbloccò ripetitori televisivi oscurati dai magistrati.
Richiesto di un auspico, dichiaro che, tra tanti comici involontari, la mia preferenza andrebbe a un comico vero: Beppe Grillo. Non per campanilismo genovese ma seguendo ragioni squisitamente politiche e ideali. Giovanni Ferrara diceva “date un matto ai liberali”. Visto che ora siamo tutti (sedicenti) liberali, mi piace dire: “date un matto all’Italia”. Certamente più savio e affidabile di presunti savi, furboni di trecotte e aspiranti prelati; le cui anime, piallate dalle pratiche di questa politica, si riflettono in volti ridotti a null’altro che maschere vuote.
Claudio Rinaldi
La proposta della Casa delle libertà avrebbe meritato un rilancio immediato e convincente, cioè un forte, inequivocabile appello a Ciampi perché accettasse un secondo mandato. Tanto più che nel verboso programma dell’Unione ci si impegnava, di fatto, a eleggere il capo dello Stato d’intesa con il centro-destra: «Eleveremo la maggioranza necessaria per l’elezione del presidente della Repubblica&raq
uo;, c’era scritto. E allora? Se la Cdl ha prospettato un nome più che accettabile, perché si è furbescamente evitato di pronunciare subito un chiaro sì? Perché la prima reazione non è stata quella di «elevare la maggioranza», e invece si è pensato di fregarsene del programma? Evidentemente Ciampi piaceva meno di altri, per esempio di D’Alema.
Dire subito di sì a Ciampi avrebbe vanificato le ambizioni di D’Alema, e questo non potevano farlo né i Ds (per ovvi motivi) né la Margherita (che ha avuto la presidenza del Senato) né Rifondazione (che da un passo indietro di D’Alema ha ottenuto la presidenza della Camera). Eppure D’Alema al Quirinale sarebbe una pessima soluzione per varie ragioni: a) l’uomo è il leader di un partito importante, quindi è votato agli intrighi di Palazzo, ma i capi dello Stato sono sempre stati dei battitori liberi e non dei capi cordata; b) anche nei comportamenti quotidiani D’Alema risente di un eccesso di politicismo, è troppo scettico verso la società civile per potersi trasformare in una figura che dovrebbe essere quasi paterna; c) di D’Alema si è detto che dirigeva la merchant bank di Palazzo Chigi, inoltre è nota la sua amicizia con Giovanni Consorte: non sarebbe, ahinoi, un presidente a rischio di dossier? d) D’Alema negli anni della Bicamerale non ha dimostrato un grande attaccamento alla Costituzione, anzi dava la sensazione di volerne essere il picconatore; ma il capo dello Stato deve esserne il garante.
Quanto al sostegno di Giuliano Ferrara e di Vittorio Feltri può trattarsi a) di una semplice trovata goliardica, b) di un ossequio alla teoria di Berlusconi per cui D’Alema è il vero padrone del centro-sinistra, c) di una riscoperta entusiastica dell’inciucio di dieci anni fa. In tutti e tre i casi non c’è da esultare, né tanto meno vale la pena di aprire trattative. Un D’Alema al Quirinale sarebbe inopportuno, un D’Alema al Quirinale con i voti di Berlusconi sarebbe molto molto preoccupante.
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