Meno “provvidenze”, più provvidenza. Preti e religiosi si interrogano sui privilegi ecclesiastici

Valerio Gigante

, da www.adistaonline.it

Otto per mille; cappellani ospedalieri, carcerari e militari pagati con soldi pubblici; contributi statali alle scuole cattoliche, insegnanti di religione scelti dalle Curie ma pagati dallo Stato, contributi all’editoria cattolica; finanziamenti pubblici a parrocchie, oratori e scuole materne; esenzioni per Ici, Ires, canone tv e acqua; benefits per lo Stato della Città del Vaticano ed i suoi cittadini: sono tantissime i le agevolazioni, i contributi, i finanziamenti di cui gode la Chiesa cattolica. Nelle ultime settimane, complice la grave crisi economica che ha colpito il Paese e le dure misure prese dal governo nel tentativo di risanare i conti pubblici, il tema dei privilegi ecclesiastici è tornato d’attualità. E nell’opinione pubblica monta lo sdegno e la rabbia per la sperequazione tra i ceti sociali più poveri, nuovamente gravati dagli oneri della attuale congiuntura economica e la Chiesa, che non intende rinunciare a nessuna delle “guarentigie” ottenute nel passato e moltiplicatisi negli ultimi anni.
I giornali hanno dato ampio spazio all’opinione di esperti ed osservatori di questioni ecclesiali; laici, giornalisti od opinionisti che si occupano, dall’esterno, di Chiesa cattolica. Adista aggiunge a questi contributi un punto di vista più “interno”: quello di alcuni preti e religiosi italiani cui la nostra agenzia ha chiesto come si dovrebbe affrontare il tema dei privilegi di cui gode la loro Chiesa e quali risposte si possono dare all’esigenza, da un lato, di una maggiore adesione all’ideale evangelico di uno stile di vita più sobrio e povero; dall’altro, ad una forma concreta di solidarietà, sempre più necessaria, nei confronti delle classi sociali meno abbienti. Di seguito, alcuni dei contributi raccolti.

Don Francesco Pasetto – parroco della chiesa dei Ss. Vito e Modesto a Lonnano, Pratovecchio (Ar):

«Qualche domenica fa la liturgia ha proposto ai fedeli il nucleo centrale di Matteo, 16: l’annuncio del Messia sofferente e impotente, la rivolta di Pietro appena scelto come fondamento della Chiesa, la sua sconfessione da parte di Gesù: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo…». Il brano culmina in una promessa: «Il Figlio dell’uomo sta per venire… Allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni». I cristiani sono stati così richiamati al valore decisivo del “fare”. Un valore oscurato nella potente Chiesa del “dire”. I suoi giudizi si susseguono, perentori, su tutti i temi. Peccato che la Parola stenti a farsi carne, a diventare “azione”.
Il caso più recente ha avuto come protagonista il card. Bagnasco, che si è detto sgomento per le cifre dell’evasione fiscale. Ben detto, eminenza reverendissima! Da più parti anzi è arrivato un invito: «Perché la Chiesa non dà l’esempio accollandosi qualche sacrificio sull’8 per mille, sull’Ici, sull’Ires per le attività commerciali, ecc. ecc.?». La risposta l’ha data Avvenire. Si è trattato sempre di parole. Come al solito, indignatissime. Non si riesce neppure a immaginare che cosa avrebbe scritto il giornale della Cei, se per ipotesi avesse dovuto commentare le frasi rivolte da Gesù a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo». O quelle sulla correzione fraterna, come espressione di un amore adulto.

Suor Leda – monaca:

«Credo che la mia esperienza sia comune a non poche realtà ecclesiali socialmente impegnate. Appartengo ad una comunità monastica che da anni gestisce una scuola non statale. Da circa un decennio, per calo di forze, abbiamo passato la gestione ad una Fondazione di laici cristiani che, per poter sostenere i costi, ha alzato le rette, così che ciò che noi non volevamo è divenuto realtà. Per collaborare al contenimento dei costi, abbiamo concesso l’uso degli edifici scolastici di nostra proprietà in comodato gratuito alla nuova gestione. L’Ici potrebbe aiutare il nostro Comune, ma certo peserebbe sulle famiglie, oltre che sulla mia comunità: un gatto che si morde la coda.
Per questo guardo con disincanto ad una richiesta indifferenziata alla Chiesa perché rinunci ai suoi privilegi che non coinvolgono tutti i suoi membri. In genere i poveri aiutano i poveri. Mi piacerebbe invece che dentro la Chiesa e da parte della Chiesa stessa si applicasse quella “tassa di solidarietà” di antiche radici evangeliche, ventilata solo per qualche ora dai nostri politici. Già Paolo scriveva: Non si tratta infatti di mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri, ma che vi sia uguaglianza. Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza (2Cor 8,13-14)».

Don Franco Corbo – parroco di Ss. Anna e Gioacchino a Potenza:

«Io penso che nella situazione economica normale la Chiesa dovrebbe dare una testimonianza forte di servizio nella carità fraterna in tutto il mondo. Spesso però, vediamo uomini di Chiesa preoccupati di conquistare potere, di garantirsi denaro pubblico, di coinvolgersi in affari poco chiari, come gli uomini di questo mondo. Spesso noi che lavoriamo nella strada, compagni di viaggio di chi è affidato alle nostre cure pastorali, sbattiamo il muso contro il muro delle apparenze, dello sfarzo, dei privilegi chiesti ed ottenuti, degli scandali legati al denaro.
Ora è tempo di crisi. Ma per me questo non significa niente. Anche nel tempo dell’abbondanza la Chiesa deve dare testimonianza di povertà, semplicità, obbedienza a Cristo senza delegarla agli religiosi. Tra l’altro anche per loro vale oggi lo stesso discorso.
Io penso che la Chiesa, dall’ultimo battezzato al papa, deve sempre sapere realizzare una vita segno dei valori eterni ed assoluti. Io penso, desidero e spero che si dia a tutti il buon esempio pagando le tasse dove c’è lucro, che si eviti il lusso nelle chiese e nelle celebrazioni, che si rinunci ai privilegi, che si chieda un passaggio dall’8 al 7 per mille».

Don Cristian Leonardelli – viceparroco di Castiglioncello (Livorno):
«“Bisogna attendere con pazienza che dalle circostanze nasca un’idea più profonda di solidarietà” (J. Saramago): ecco il problema! Il distacco dell’uomo da Dio viene concepito come rapporto verticale tra Dio, il pastore e gli uomini come suo gregge, che declina più lucidamente a rapporto di potere padrone-servitore. E l’uomo si ritrova estraneo a Dio e a se stesso, le Chiese diventano “enti” anonimi, propagatrici di un’idea e figura di Dio egoista, interessato all’onnipotenza e distante dagli uomini.
Nasce così la cecità: patologia di chi sottrae la sovranità democratica-fraterna al popolo per far amministrare i propri affari al proprio dio-idolo.
Nasce così una chiesa centro commerciale, epifania del potere con cui va a braccetto: una vera immagine dell’inferno, del Mondo dominato dal mercato in cui viviamo. È il mercato lo strumento per eccellenza dell’unico e indiscutibile potere economico e finanziario mondiale che sta divorando l’“umano”.
Non siamo più capaci di intendere la solidarietà come fatto collegato al “vivere” che non è atto di carità o altruismo, ma un sacrificio bello, inseparabile dal desiderio di lotta per la liberazione dell’uomo».

Don Gaetano Zaralli – parroco di San Michele Arcan
gelo a Velletri (Roma):

«Mi piace passeggiare su Facebook dove, tra una cretinata e l’altra, ho trovato un interessante contributo: “Occorre scoprire e raccogliere tutto quello che si possiede e poi condividerlo” (suor Maria Ko Ho Fong – da Se vuoi – Apostoline).
Ciò che si pone come progetto di santità, appare ai miei occhi come tentazione da evitare. Nello scambio delle risorse spirituali, tutti si è ricchi, tutti si è poveri allo stesso modo: questa è vera condivisione. Nel traffico, invece, dei beni materiali c’è il ricco che possiede e il povero che non ha nulla; c’è il ricco che dona e il povero che chiede l’elemosina. In questo caso non c’è condivisione. La Chiesa possiede dei beni materiali e ne fomenta la crescita per farne, poi, pane da spezzare ai poveri, almeno così si dice. La Chiesa come istituzione è l’eterna nobile matrona che fa la carità con i soldi degli altri… E poi ci sono gli interessi, e poi non mancano gli intrallazzi, e poi la matrona, finemente vestita, fa l’occhietto ai politici, perché ha capito che nella carità si incontrano e si scontrano i poteri. Chi possiede beni materiali non condivide, ma comanda…».

Don Franco De Donno – direttore della Caritas di Ostia:

«La mia esperienza di Direttore della Caritas mi ha posto di fronte a due grandi valori, che ritengo fondamentali per mantenere lo spirito di una relazione evangelica nei confronti delle persone in situazione di disagio: il valore della libertà e quello della provvidenza.
Il valore della libertà mi ha permesso di non entrare mai in compromesso con persone e istituzioni che per averti elargito qualcosa poi pretendono altri ‘favori’: la giustizia e la difesa a oltranza dei diritti dei più deboli vengono prima della ‘carità’! Così la relazione diretta di fiducia in Dio e anche nella generosità delle persone che partecipano alle opere di sostegno dei più deboli e sono testimoni della ‘gratuità’ che le accompagna, non ha fatto mai mancare il necessario. Così ho sempre desiderato che la Chiesa nella sua espressione istituzionale, che è quella più visibile, desse testimonianza vera di libertà e di fede evangelica (cfr. Mt 6, 19-34)».

Un prete della diocesi di Livorno:

«Credo che qualche ragione ce l’abbiano quanti denunciano, pur da una posizione pregiudizialmente contro, le simpatie elettive tra il potere economico-politico più o meno legittimo e il clero. È anche vero però che le attività che svolge la Chiesa in questa nazione molto spesso fanno opera di supplenza alle tante carenze dello Stato. Penso anch’io che ci siano delle situazioni in cui il privilegio andrebbe ridimensionato o anche eliminato, ma non sono in grado di esprimere valutazioni o indicazioni motivate al riguardo. La cosa più preoccupante non è tanto il piccolo o grande privilegio di cui gode la Chiesa (eliminarli totalmente per legge è illusorio pensarlo sia con al governo la destra che la sinistra, come altrettanto illusorio è pensare che la Chiesa rinunzi al Concordato e a quell’equilibrio ambiguo, ma comunque equilibrio, che le consente di continuare una presenza impegnata in questa nazione), quanto l’uso strumentale, al limite del ricatto, che una parte politica fa della Chiesa per ingannare l’elettorato e orientarlo a suo favore. La speranza è che la Chiesa non si presti al gioco e pur difendendo legittimi diritti, che hanno anche radici storiche, non rinunzi alla sua libertà profetica nei confronti di tutti».

Don Pierluigi Di Piazza – parroco di Zugliano (Ud), Responsabile del Centro di accoglienza “Ernesto Balducci”:

«La questione dell’economia, i rapporti con il denaro e i beni sono decisivi per la vita delle persone, delle comunità e dei popoli. Il loro accumulo, la concentrazione in mani di pochi evidenzia l’impoverimento, le difficoltà di più. Gesù di Nazaret, rispetto a questa questione, è chiaro: la sua provocazione alla liberazione dall’egoismo e dall’accumulo per essere disponibili alla giustizia e alla condivisione è costante. Seguirlo su questa strada non è opzionale; è costitutivo della ricerca di essere cristiani e di testimoniarlo.
La Chiesa che annuncia il Vangelo non può tradirlo godendo dei privilegi economici e immobiliari. Quello che possiede in denaro e in strutture deve essere visibilmente al servizio del bene comune, dell’accoglienza a partire dalle persone che fanno più fatica a vivere. Credo in una Chiesa umile e forte della forza dello Spirito, povera, cioè che condivide la condizione dei poveri; che testimonia con lo stile di vita la sobrietà delle abitazioni, delle auto etc. etc.
Quando la Chiesa tace, non denuncia, non propone, non testimonia per non disturbare il potere economico, politico, militare che le offre sostegni economici e vantaggi, tradisce il Vangelo e diventa un’istituzione di potere fra le altre, non più comunità dei credenti, nell’incarnazione della storia. Tutto ciò dovrebbe essere sempre trasparente, chiaro, leggibile.
Quando il potere economico, politico e militare non tocca i privilegi della Chiesa ne compra la complicità, sa di ridurne la forza profetica. Anche nella situazione italiana questo è leggibile».

(12 settembre 2011)

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