Mgf, matrimoni precoci, aborti selettivi: pratiche da eradicare per raggiungere l’uguaglianza di genere

Ingrid Colanicchia

Mutilazioni genitali femminili, matrimoni precoci, preferenza per i figli maschi: è a questi fenomeni che è dedicata l’edizione 2020 del Rapporto Unfpa sullo stato della popolazione nel mondo, lanciato oggi in Italia da Aidos e Dire. Pratiche da tempo stigmatizzate non solo negli accordi internazionali sui diritti umani ma in molte legislazioni e carte costituzionali, contro le quali – tuttavia – non si può abbassare la guardia. Di mezzo ci sono i diritti di donne e bambine. Spesso la loro stessa vita.



Rhobi Samwelly aveva 13 anni quando sua madre le disse che avrebbe subìto la mutilazione dei genitali. Samwelly non voleva, era terrorizzata: la sua amica Sabina non era sopravvissuta. Ma non ci fu verso di persuadere sua madre. Samwelly perse molto sangue e rimase priva di sensi per ore. Quando finalmente riprese conoscenza, il sollievo della madre fu tale che le promise che non avrebbe sottoposto le sei sorelle minori a quel supplizio. È stato in quel giorno che Samwelly è nata come attivista. Divenuta adulta ha fondato due case rifugio nei distretti di Butiama e Serengeti, nella regione del Mara, in Tanzania, per offrire riparo e sostegno alle ragazze che fuggono per evitare le mgf.

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«Nella famiglia di mio marito non nascevano femmine da tre generazioni. Mi dissero che non avrebbero permesso che in casa loro ne nascessero tre in una volta. Mi diedero un ultimatum: “O abortisci o te ne vai”». Jasbeer Kaur decise di andarsene. E non se n’è mai pentita. Delle sue tre figlie, Sandeep fa la truccatrice e sogna di approdare a Bollywood; Pardeep si è diplomata in hotel management e sta facendo il tirocinio in un albergo a cinque stelle; Mandeep, seguendo le orme della madre, sta per diventare infermiera.

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Sherry Johnson aveva solo 11 anni quando fu costretta dai genitori a sposare l’uomo che l’aveva stuprata e messa incinta, uno dei membri più stimati della sua comunità. Accadeva 50 anni fa, in Florida, ma negli Stati Uniti – come in molte altre parti del mondo – i matrimoni precoci sono all’ordine del giorno anche oggi.

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Tre storie che raccontano di altrettante pratiche di violazione dei diritti umani, che ogni giorno colpiscono bambine e ragazze. È a questi fenomeni – le mutilazioni genitali femminili, i matrimoni precoci e la preferenza per i figli maschi – che è dedicata l’edizione 2020 del Rapporto sullo stato della popolazione nel mondo (dal titolo «Contro la mia volontà. Affrontare le pratiche dannose per il raggiungimento dell’uguaglianza di genere») promosso dal Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione e lanciato oggi in Italia da Associazione italiana donne per lo sviluppo (Aidos) e agenzia di stampa nazionale Dire.

A 25 anni dalla Conferenza delle donne di Pechino, il Rapporto fa il punto sul diritto alla salute sessuale e riproduttiva femminile. E il quadro che fornisce è in chiaroscuro.

In materia di mgf, per esempio, se da un lato la percentuale di donne e bambine sottoposte a mutilazioni è complessivamente in calo (la tendenza, estrapolata dai dati relativi a 30 Stati, mostra come alla fine degli anni Ottanta circa una ragazza su due nella fascia di età 15-19 anni fosse sottoposta a mgf; oggi in quegli stessi paesi la proporzione è scesa, secondo le stime, a una su tre) dall’altro, a causa della crescita demografica, il numero di donne e bambine che ne sono colpite è in aumento e potrebbe passare dai 4,1 milioni del 2020 a 4,6 milioni all’anno entro il 2030.

Oggi sono circa 200 milioni (in 31 paesi) le donne e ragazze che sono state sottoposte a una qualche forma di mutilazione genitale. La pratica si concentra nel continente africano, dalla costa atlantica fino al Corno d’Africa. I dati più recenti mostrano che la percentuale di donne nella fascia di età 15-49 sottoposte a mgf va dall’1% di Camerun (dati 2004) e Uganda (2011) fino al 90% e oltre di Gibuti (2006), Egitto (2015), Guinea (2018) e Mali (2018). Ma le mgf sono diffuse anche in Iraq e Yemen o in Indonesia dove, secondo una stima, il 49% delle bambine entro gli 11 anni è stato sottoposto a mutilazioni genitali. E la pratica, a causa delle migrazioni, ha da tempo varcato i confini dei paesi del sud del mondo.

I Centri Usa per il controllo e la prevenzione delle malattie hanno calcolato che nel 2012 erano presenti sul territorio statunitense 513.000 donne e bambine che avevano subìto o rischiavano di subire mutilazioni genitali. Uno studio condotto nel 2015 dall’Istituto Europeo per la parità di genere ha calcolato che ben 1.600 ragazze in Irlanda, 1.300 in Portogallo e 11.000 in Svezia sono state probabilmente sottoposte a mgf nel solo 2011. Stime successive ipotizzano lo stesso anche in Belgio, Germania, Italia e Paesi Bassi.

L’obiettivo è quello di eradicare completamente questa pratica entro il 2030, ma la strada non sembra in discesa. Anche perché, a complicare le cose, c’è un altro fenomeno: quello della «medicalizzazione» delle mgf. Si calcola che in 52 milioni di casi la pratica sia stata eseguita da medici, infermieri o levatrici. In paesi come Egitto e Sudan, sarebbero otto su 10 le ragazze sottoposte a mgf in ambulatori o studi di operatori sanitari qualificati (dati 2014). Ma – rileva il Rapporto Unfpa – anche se un professionista può provare a limitare i danni, non esistono garanzie che l’esito sarà diverso rispetto alla procedura effettuata da una praticante tradizionale. «È importante sottolineare che nessuna forma di mgf è “sicura” e che non esiste alcuna giustificazione terapeutica per esse. Anche se eseguite in ambiente sterile da un operatore sanitario qualificato, il rischio di conseguenze immediate e a lungo termine per la salute permane. In qualsiasi circostanza, si tratta di una violazione dei diritti umani, nonché dell’etica medica. Eseguire le mgf in uno studio medico serve solo a normalizzare questa pratica e a indebolire gli sforzi per eliminarla».


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E i problemi non sono circoscritti alle mutilazioni genitali.

Di tutte le pratiche dannose contro le quali è impegnata l’Unfpa quella più diffusa sono i matrimoni precoci. Sono vietati quasi ovunque, eppure se ne verificano 33.000 al giorno, tutti i giorni, in ogni parte del mondo. Si calcola che oggi vi siano 650 milioni di donne e ragazze che si sono sposate da bambine; entro il 2030 si aggiungeranno altri 150 milioni di ragazze andate spose prima di compiere 18 anni.

Ci sono poi le conseguenze della preferenza per i figli maschi: la selezione in favore di questi ultimi può avvenire prima della nascita o tradursi, in seguito, per le bambine in ridotti tempi di allattamento, alimentazione carente, istruzione inadeguata, vaccinazioni non somministrate. Si ritiene che oggi «manchino all’appello» più di 140 milioni di donne e bambine in conseguenza della selezione sessuale prima e dopo la nascita.

«La buona notizia – rincuorano dall’Unfpa – è che la marea sta cambiando. Sempre più persone sfidano la morsa persistente di queste pratiche dannose. I parlamenti approvano leggi sempre più efficaci. I praticanti tradizionali iniziano a deporre il bisturi. Madri e padri scelgono di continuare a mandare le figlie a scuola». Sempre più consapevoli che «i diritti, le scelte e il corpo delle ragazze sono esclusivamente loro, inalienabili».
(30 giugno 2020)





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