Mimmo Lucano a Catania. Cosa lega il sindaco di Riace a Pippo Fava
Maria Concetta Tringali
Ma il legame tra questa città e Riace dov’è? A chiederselo è lo stesso Mimmo Lucano in apertura del suo lungo intervento che parte come una riflessione e prende quota, quasi subito. Sembra un fiume in piena. Parla dell’ingiustizia che per lui è negare pari diritti e pari dignità a tutti gli esseri umani; rivendica i fatti che gli sono costati l’ultimo avviso di garanzia, quello che lo ha raggiunto a fine dicembre. Il reato contestato è di avere emesso due carte di identità a una donna eritrea e a suo figlio che erano, secondo l’accusa, senza permesso di soggiorno. “Il bimbo di quattro mesi aveva una estrema necessità di ottenere quel documento, senza il quale non gli avrebbero rilasciato la tessera sanitaria. Era un bimbo malato”. E Mimmo Lucano contestualizza. Si dice convinto di essere nel giusto. “Non c’è reato – continua – quelle persone erano residenti a Riace, regolarmente iscritte all’anagrafe della città. E comunque non mi pento di nulla. Io lo rifarei anche domani”. Sorride, perché pensa ai consigli e alle raccomandazioni dei suoi amici avvocati.
Non c’è ombra di ripensamento, dunque. C’è piuttosto nelle parole di Lucano la rabbia di chi non comprende come si possa piegare la Costituzione e come possano finire per recedere diritti primari come quello alla vita o alla salute.
Un’umanità prepotente è quella che traspare dalle sue parole, vibranti.
Il modello Riace raccontato da chi ne è stato protagonista assoluto è un’immagine che suscita suggestioni, richiama alla mente cos’è o cosa dovrebbe essere la convivenza civile e pacifica tra i popoli. Lucano rivendica un’esperienza che aveva ripopolato quell’angolo di Calabria e reso l’emigrazione di tanti uomini e tante donne meno dolorosa. A Lampedusa i migranti trovavano terra; a Riace una casa e una vita degna. Accadeva di vedere giocare per strada tutti i bambini del mondo e nelle botteghe dell’artigianato locale si mischiavano manufatti di altri continenti, le trattorie arricchivano di contaminazioni i loro piatti. “Riace era il luogo dell’utopia fatta realtà”, interviene Anna Di Salvo di Città felice che in Calabria c’è stata tante volte; la sua come molte altre associazioni, a sostegno di quel sindaco.
Malgrado le vicissitudini e gli attacchi, malgrado la macchina del fango, Lucano è uomo che non si arrende. E con lui un pezzo della sua terra che ad esempio con la Fondazione è stato il vento, cerca il riscatto, vuole una rinascita e riparte dai progetti di accoglienza. C’è dolore nelle sue parole per la sconfitta e la distruzione di un modello di condivisione profonda; un’idea che funzionava e che è stata smantellata. “Fermare Riace era forse inevitabile, perché rendeva agli occhi di tutti evidente l’ingiustizia prodotta dal mondo occidentale. E mi chiedo, può essere l’unica soluzione quella giudiziaria? O, piuttosto, la nostra terra non aveva forse bisogno di una risposta che passasse per il riscatto sociale, per il lavoro vero e non per lo sfruttamento?”
L’impegno sull’immigrazione comincia per Mimmo Lucano, già tre volte sindaco di Riace, nel 1998 con il primo sbarco. “250 migranti curdi. Quel veliero lo aveva portato il vento – racconta – Sulle nostre coste arrivavano uomini e donne che consegnavano a questo angolo remoto dell’Italia una questione universale. E l’impegno si faceva subito politico”. Coerente oltre che diretto l’attacco a Salvini, ai decreti sicurezza ma anche alla linea voluta da Minniti.
Dunque, delusione, dolore, rabbia, consapevolezza; ma c’è anche in Mimmo Lucano un’appartenenza alla sinistra radicale profonda che rivendica a chiare lettere, con orgoglio e con forza, riportando l’agenda sul tavolo dell’assemblea catanese e richiamando l’appuntamento elettorale imminente, il 26 gennaio: “Non siamo stati in grado di costruire un fronte unito per queste elezioni regionali. Non siamo stati in grado di contrastare il modello disumano delle destre. Per me fascismo, razzismo e mafia sono facce della stessa medaglia. Nella vicenda di Riace c’entra molto lo Stato – aggiunge – c’entra nelle sue articolazioni. E io oggi voglio giustizia, per me e per chi subisce, per chi viene considerato uno scarto dell’umanità”.
L’assemblea si avvia alla conclusione. Il movimento delle , che ha annunciato di essere in piazza a Riace nel giorno della befana, ha anche a Catania la sua portavoce. Nelle parole di Francesca Di Giorgio la solidarietà e la vicinanza al sindaco Lucano.
Sul finire I Siciliani giovani consegnano la targa “a chi con la sua tenacia ha dato dignità agli ultimi”. L’incisione si chiude con le parole di Pippo Fava: “A che serve essere vivi, se non si ha il coraggio di lottare?” Ed è quel coraggio e quell’umanità che certamente i carusi di Fava riconoscono a Lucano. Per questo motivo l’hanno voluto in Sicilia nel giorno del ricordo. E lui rilancia sulla necessità di una stampa libera: “Come la voce di Pippo Fava doveva essere soppressa, come quella di Peppino Impastato, così Riace doveva essere azzerata. Oggi non si uccide, è cambiata la strategia, si delegittima, si denigra – aggiunge, suggerendo che si sceglie di non lasciare martiri per non creare eroi – Il messaggio allora bisogna che passi. E con urgenza. Serve perciò una stampa che sia libera e non asservita”.
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