Mimmo Rotella Manifesto
Maria Sole Garacci
Alla Galleria Nazionale di Roma, una retrospettiva di Mimmo Rotella: in 160 opere, il racconto di una società italiana intrappolata nell’estetica del consumismo analizzata negli stessi anni da Barthes ed Eco.
L‘allestimento è molto efficace e d’impatto: le opere, come dei billboards di diverse dimensioni, sono disposte sulle pareti del salone centrale come se queste fossero i muri della città, di una piazza, di un incrocio, ad imitazione di quello scenario urbano che dall’immediato secondo dopoguerra è diventato tipico, e che, nonostante l’evolversi delle pratiche pubblicitarie è rimasto, a tutt’oggi, abbastanza invariato. Si pensi ai manifesti elettorali sovrapposti, stratificati, strappati a brani triangolari che lasciano emergere le immagini precedenti. Il tutto confuso in un unico, indistinto brusio visivo.
Ma la satira di Mimmo Rotella, perché esattamente di questo si tratta, è più sagace, più ironica. Rotella non tratta direttamente di politica: usa manifesti cinematografici e pubblicitari, cioè quelle espressioni dell’immaginario collettivo in cui sono andati prendendo forma i nuovi appetiti e i nuovi parametri dell’Italia contemporanea: un’Italia che dagli anni ’60 agli anni ’80 –il clou della carriera di Rotella- ha un’impennata, e in cui il consumismo diventa tale (un ismo), perché il consumo di beni e stili di vita viene offerto alla portata di tutti, assumendo nella società quel carattere unificante e identitario che prende il nome di cultura.
Alla fine degli anni ‘50 Rotella inizia ad usare la pratica del décollage, in anticipo anche su altri artisti, e nella querelle tra astrattismo e figurativismo si situa in una posizione terza che, per il lavoro sul materiale, ricorda Burri. Ma non si tratta precisamente di questo. Viene chiamato da Pierre Restany a far parte del Nouveau Réalisme, un movimento che ha tangenze con il New Dada: è presente, dunque, un elemento comune a questo tipo di ricerca, lo slittamento semantico degli oggetti e delle immagini dal campo della quotidianità a quello dell’arte (si pensi anche, ad esempio, a Rauschenberg), da cui scaturisce un assurdo che innesca critica del reale.
A proposito di questa poetica, Restany stesso scrisse che il Nouveau Réalisme è “un modo piuttosto diretto di mettere i piedi per terra, ma a quaranta gradi sopra lo zero dada e a quel livello in cui l’uomo, se giunge a reintegrarsi nel reale, lo identifica con la sua trascendenza che è emozione, sentimento e infine poesia”. Insomma, quel che in parole più semplici dichiarò anche Rotella sulla sua arte: “strappare manifesti dai muri è la sola compensazione, l’unico modo di protestare contro una società che ha perduto il gusto del cambiamento e delle trasformazioni favolose”. Strappare manifesti fa deflagrare, libera le immagini prodotte per essere seriali, e con esse il loro significato, destrutturando con l’ironia un linguaggio già oggetto di quella semiotica del consumo indagata da Roland Barthes o da Umberto Eco con la sua celebre analisi della pubblicità del sapone Camay in La struttura assente (1968).
A corredo del nucleo centrale della mostra, due piccole sezioni laterali offrono alcuni esempi della scultura e delle pratiche performative di Mimmo Rotella. Da non trascurare il materiale documentario allestito nella sala centrale, proveniente dalla Fondazione Rotella e che illustra la carriera e la biografia dell’artista parallelamente alla storia politica, culturale e artistica dei decenni della sua lunga attività.
Mimmo Rotella Manifesto
Fino al 10 febbraio 2019
Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea
Roma, Viale delle Belle Arti n. 131
Orario: da martedì a domenica dalle 8.30 alle 19.30
Tel. 06 322 98 225 – 06 322 98 221
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