Miracoli e storia
Una storiografia cattolica revisionista ormai molto di moda – e molto accreditata dai grandi giornali italiani – tenta di spacciare l’agiografia e l’apologetica per ricerca. La Rivoluzione francese è la sua vera bestia nera. I miracoli diventano fatti storici indiscutibili (e ‘documentati’!), l’Inquisizione un momento utile al progresso della civiltà. Con buona pace dei metodi
scientifici e della verità storica.
di Marina Caffiero
Si assiste da tempo, ma con un’intensificazione notevole negli ultimi anni, alla fioritura di una storiografia cattolica revisionista che, in modo militante e aggressivo, asserisce di voler reagire a quella che definisce la storiografia «laica» e anzi, spregiativamente, «laicista». Quest’ultima, in quanto affonda le sue radici nell’illuminismo e nel razionalismo, avrebbe preteso per almeno due secoli di monopolizzare e manipolare ideologicamente la storia e sostanzialmente di falsificarla ai danni del cattolicesimo. Seguendo tale impostazione integralista, da un lato il soprannaturale, il mistero e l’irrazionale sono fatti rientrare a pieno titolo nella spiegazione storica degli eventi, contrapponendoli a ragione, razionalità e scienza, e dall’altro si procede per riabilitazioni e revisioni di intere fasi storiche e di cosiddette leggende nere.
Campione di questa impostazione è Vittorio Messori, brillante penna di numerose e prestigiose testate giornalistiche, non soltanto cattoliche. Ma, accanto e intorno a lui, come vedremo, molti altri hanno scritto e scrivono, con grande successo di pubblico, battendosi per sostenere una prospettiva in cui l’apologetica sostituisce la ricerca storica e, soprattutto, si pone al servizio di una precisa politica culturale. Ma la storia non è e non dovrebbe essere né laica né cattolica, né tanto meno un giudice che accusa o assolve. Il suo compito è quello di indagare il passato con metodi scientifici, ricostruendolo sulla base delle fonti, della loro interpretazione critica e di una metodologia consolidata. Come ha scritto recentemente uno storico dell’Inquisizione, «la storia non è una religione, non ha una Verità data una volta per tutte, un’ortodossia da sostenere» (1). Per capire allora meglio il senso di tali operazioni sarà bene analizzarne i temi, i metodi, gli obiettivi. Non senza dimenticare di chiederci perché sia opportuno, anzi doveroso, occuparsene.
I nipotini dell’abate Barruel
I temi su cui si esercita la storiografia apologetica sono quelli relativi a miracoli, profezie, apparizioni e coincidenze cronologiche misteriose ma non casuali; i periodi sono quelli più cruciali ed essenziali della storia italiana ed europea: le crociate antiereticali, l’Inquisizione, la Rivoluzione francese, la Vandea e le insorgenze controrivoluzionarie, il Risorgimento, fino a giungere alla storia del Novecento centrata sulla difesa del papato dalle accuse di antisemitismo e di debolezza nei confronti del regime fascista e di quello nazista.
Per quanto riguarda i miracoli, pietra miliare di questo filone di successo, secondo il quale la fede rappresenta il principio assoluto di verità a cui anche la ricerca scientifica deve essere subordinata, è il volume di Vittorio Messori Il Miracolo. Spagna, 1640: indagine sul più sconvolgente prodigio mariano (2). Il libro è centrato sul racconto dello «straordinario e misconosciuto prodigio di Calanda», quando un contadino a cui era stata amputata una gamba due anni prima, svegliandosi nella notte dopo un’apparizione in sogno della Madonna del Pilar, si ritrovò l’arto riattaccato. La tesi è che i miracoli sono fatti, e che la realtà di tali fatti può essere certificata e garantita, nonostante l’incredulità degli storici «laicisti», «formati ai lumi della Ragione e del Progresso» (p. 27). Come? Attraverso un atto notarile, strumento legale garantito e dotato di tutti i sigilli e le autentificazioni, quale quello redatto da un notaio spagnolo immediatamente dopo il miracolo e riportato nel libro in Appendice a prova della correttezza delle ricerche dell’autore.
Ma cosa certifica il notaio? Non certo il miracolo, ma il racconto che di quel miracolo gli viene presentato dai «testimoni». Qualsiasi studente di storia anche alle prime armi che abbia appena letto qualche pagina di Marc Bloch sul metodo storico sa che un documento vero può contenere un falso (e viceversa), come mostra da secoli la famosa Donazione di Costantino. L’autenticità dell’atto notarile non implica affatto quella del racconto che il notaio registra. E in ogni caso, ci appare ben curioso e anche un po’ blasfemo che «un intervento divino debba essere certificato da un atto pubblico», come scrive l’autore (p. 95), e che i misteri debbano essere garantiti da un notaio. D’altro canto, sostiene l’autore, la devozione del popolo, la costruzione di chiese e cappelle, la produzione di libri e immagini costituirebbero ulteriori e irrefutabili prove della santità di un individuo o della indiscutibilità di un evento prodigioso. Sono le argomentazioni che da sempre l’agiografia e l’apologetica hanno utilizzato, rovesciando gli effetti in cause, la domanda di santità e di miracoloso in prova storica, le credenze in verità, l’«offerta» di santi, di miracoli, di profezie in rafforzamento di quei santi, di quei miracoli, di quelle profezie (3).
La medesima tecnica argomentativa basata su audaci salti logici è applicata da Messori, insieme con Rino Cammilleri, altro protagonista di questa offensiva pseudostorica, nel volume sui miracoli mariani Gli occhi di Maria. Roma 1796: impressionanti prodigi nell’Italia napoleonica (4) (degno di nota è anche il taglio «strillato» dei titoli scelti).
Qui si racconta un fenomeno assai noto agli storici di quel periodo, ossia l’ondata di pretesi miracoli di immagini mariane, che a Roma e nello Stato della Chiesa, nel 1796, mossero gli occhi in occasione della minacciosa avanzata dei francesi nella penisola e verso Roma stessa. In questo libro, la volontà di certificare la verità dei miracoli attraverso gli atti notarili testimonianti i racconti dei miracoli si affianca all’impegno di combattere la storiografia accusata di «pregiudizio laicista e filogiacobino» che avrebbe liquidato il fenomeno del 1796 come superstizioso e irrilevante, relegandolo nell’oblio. Con buona pace del fatto che il testo è costantemente debitore, perfino nel titolo, di un solidissimo studio scientifico di Massimo Cattaneo, citato sì, anzi saccheggiato, ma, come vedremo, con astuzia e disinvoltura (5).
Ovviamente, anche dei miracoli si fa storia, quando se ne analizzino i contenuti, il linguaggio, la polivalenza di senso e di funzione, il successo e la recezione, l’uso politico, religioso, devozionale all’interno di specifici contesti. Da questo punto di vista, la storia della santità, dei culti e dell’agiografia non solo ha un suo ben definito statuto scientifico ed epistemologico, ma ha da decenni prodotto ricerche di grande spessore e raffinatezza metodologica, capaci di cogliere attraverso l’analisi delle manifestazioni del sacro le rappresentazioni mentali di un’epoca, il suo immaginario e perfino le ricadute politiche. Ma poco o nulla di tutto questo sforzo storiografico emerge dai libri di cui parliamo, travolto dalla diffidenza verso ogni approccio razionale visto con spavento come «giacobino» e anche un po’ satanico. «Il demonio proprio non dorme mai», ha dichiarato recentemente, non a c
aso a proposito di altri miracoli, il direttore di Teleradio Padre Pio, l’emittente che da San Giovanni Rotondo trasmette via satellite in tutta Europa, riferendosi all’uscita di un libro di Sergio Luzzatto che discute la tematica delle stimmate di Padre Pio.
L’accusa agli storici di «giacobinismo» – accusa che peraltro risuona da qualche anno anche in politica, adoperata senz’altro come un insulto contro gli avversari e il cui uso varrebbe la pena di esaminare – ci conduce direttamente alle epoche storiche viste come le più minacciose e da demistificare. Innanzi tutto, l’epoca «giacobina» – così definita senza troppe accademiche e inutili distinzioni fra fasi assai diverse come la rivoluzione repubblicana, il Direttorio, il regime napoleonico – che è identificata con la «setta dell’Anticristo», proprio secondo le profezie di astrologi di mille anni prima a cui viene prestata fede come a fonti storiche (intervista a Messori, in Gli occhi di Maria, cit., p. 265).
La Rivoluzione francese è la vera bestia nera di un certo tipo di cattolicesimo integralista che, a partire dal primo Ottocento fino ancora a oggi, vi vide, e vi vede, il frutto maggiore del complotto anticattolico, l’antitesi radicale e manichea tra Chiesa e modernità e tra fede e ragione, l’avvio di minacciosi processi di secolarizzazione e di laicizzazione in grado di sconvolgere l’assetto tradizionale della società cristiana. In questa ottica si inserisce la rivalutazione della Vandea e, quanto all’Italia, delle insorgenze popolari antifrancesi, presentate appunto come guerra di «popolo», e quindi di per sé portatrice di valori positivi, contro gli invasori francesi e i loro alleati italiani e in difesa della nostra identità politica, religiosa e culturale di fronte al tradimento delle élite colte e aristocratiche. Si giunge così a utilizzare per l’insorgenza termini come «guerra civile» tra italiani, anticipatrice di quella fra fascisti e partigiani, o come «resistenza di massa»: termini in cui è ben chiaro chi sia dalla parte giusta e chi da quella sbagliata (6). Naturalmente anche dell’insorgenza si dice apoditticamente che è ignorata e persino boicottata dagli storici: anche qui con buona pace di lavori di ben altro spessore e documentazione usciti negli stessi anni (7), mentre a fronte della descrizione delle inaudite violenze, stupri, eccidi di massa e profanazioni commessi da francesi e «giacobini» – su cui però non è mai prodotta alcuna documentazione – sono accuratamente taciuti i pogrom antiebraici organizzati dagli insorgenti in varie località italiane.
Siamo di fronte non a una ricostruzione storica ma a una interpretazione apocalittica e dualista della storia italiana che risponde a espliciti fini ideologici e politici di difesa del cattolicesimo reazionario e perfino di rifiuto dell’unità italiana, con una presa di distanza totale dai valori della laicità dello Stato che si pone in contrasto con gli stessi princìpi fondanti la Costituzione e la democrazia. Un paradigma di «scontro epocale», di guerra assoluta contro la Chiesa cattolica e contro la profonda identità religiosa della popolazione, che deriva piattamente dalla più violenta propaganda controrivoluzionaria di fine Settecento e dell’Ottocento (i Barruel, i De Maistre), tesa a dimostrare come l’indebolimento della presa e del controllo della Chiesa sulla società faccia inevitabilmente cadere la vita collettiva nella barbarie. Estendendosi al Risorgimento e ai processi di unificazione italiana, e fino all’oggi, tale schema integralista delinea uno scenario di bisecolare «tragedia collettiva» che, a partire dall’«aggressione giacobina», «divise gli italiani, mettendoli gli uni contro gli altri armi in pugno», ferendo nel profondo la loro identità cattolica e provocando tutte le altre tragedie nazionali: dalla repressione del brigantaggio all’emigrazione, alla non limpida nascita della Repubblica, al terrorismo, a Tangentopoli, e via farneticando (8).
Stupisce di vedere i nomi di storici seri e accreditati citati in questi libri quali autorità di riferimento, come avviene ad esempio nel recente volume di R. Cammilleri, La vera storia dell’Inquisizione (9). Cammilleri, autore sul Giornale di una rubrica quotidiana, «Il santo del giorno», di libri su Padre Pio e di un Elogio del Sillabo (10), conduce la sua battaglia ideologica per mezzo della storia attraverso la rivalutazione delle Inquisizioni europee, del loro ruolo e metodi e attraverso un processo di minimizzazione che viene definito «sfatare miti e leggende». Per questi autori di «elogi dell’Inquisizione», la crociata contro catari e albigesi, presentati come eretici dissoluti, profanatori di chiese, torturatori e assassini, complottatori insieme con ebrei e musulmani contro la cristianità, fu sacrosanta, appoggiata dalle popolazioni e utile alla causa della civiltà: tesi ribadita da Messori anche recentemente sul Corriere della Sera. E ancora: le Inquisizioni furono moderate, usavano poco la tortura, non credevano alle streghe, adottavano pene blande, uccisero assai meno persone di quello che si crede comunemente (e comunque fecero meno vittime della Rivoluzione francese), erano amate e sostenute dalle popolazioni. Quella romana, poi, non si occupava affatto di ebrei. In definitiva, erano moderne e portatrici del principio di eguaglianza di tutti di fronte alla giustizia. Inutile controbattere tali affermazioni riduttive, semplicistiche, in molti casi false e di cui si intuiscono le motivazioni politico-ideologiche. Più utile invece sarà esaminare metodi, tecniche e obiettivi di questa letteratura pseudostorica intrinsicamente fondamentalista, apologetica e militante.
I metodi e gli obiettivi
Gli autori di questi scritti non hanno mai visto un documento e, se lo hanno visto, sembrano del tutto digiuni di metodologia critica e di strumenti interpretativi. Come i miracoli, secondo costoro anche i documenti sono «fatti» di per sé e da soli raccontano la verità. E, in ogni modo, non sono certo la faticosa e complessa ricerca storica, né l’adesione al metodo critico a spingerli a tali operazioni. Tuttavia, non bisogna sottovalutarne le retoriche argomentative, che non sono affatto ingenue. Innanzi tutto, la dichiarazione e l’esibizione di rigore e di severo vaglio documentario e bibliografico, volte a tranquillizzare il lettore sulla serietà del metodo, come si è visto nei casi dei miracoli. In secondo luogo, l’argomento dell’oblio, del tabù e della rimozione del tema da parte della storiografia «laicista» e anticattolica, che nasconde i fatti o per lo meno li manipola.
Ma il meccanismo sostanziale che opera in questi libri, in mancanza di ricerche di prima mano, è l’utilizzazione degli stessi storici oggetto di attacco, ribaltandone le asserzioni. In una sorta di «plagio rovesciato», i lavori di studiosi che hanno passato anni negli archivi e nelle biblioteche sono utilizzati con molta disinvoltura, saccheggiandoli, ma anche rivoltandoli contro loro stessi, isolando singole frasi, banalizzandone e forzandone le tesi, fino a snaturarli totalmente per inserirli nella propria ottica e trovare argomenti favorevoli al negazionismo e al riduttivismo. Così, colui che ha studiato da storico, non da credente, i miracoli mariani, per il fatto stesso che ne parla, ne legittimerebbe l’autenticità, mentre autori che hanno cercato di cogliere in profondità il funzionamento di una istituzione come l’Inquisizione prescindendo dalla leggenda nera, ma senza scader
e nella leggenda rosa, sono presentati, proprio perché definiti «insospettabili» di filocattolicesimo, come autorevoli fonti delle proprie tesi.
In realtà, l’immagine effettivamente nuova dell’Inquisizione emersa dai recenti studi non autorizza affatto temerari salti logici come il seguente: se gli storici veri studiano l’Inquisizione, ne precisano tecniche e funzionamento, ridimensionano il numero dei condannati a morte, allora significa che l’Inquisizione è buona e moderna. Che poi di scorretto uso dei testi altrui si tratti è noto perfino all’estero, come ha rilevato nel 2001, parlando esplicitamente di plagio, lo studioso Louis Sala-Molinas, il cui volume Le Manuel des inquisiteurs (11), è stato tradotto in italiano da Cammilleri, nel 1998, alla lettera, parola per parola, per circa 300 pagine di testo, stravolgendone il senso in strumento del revisionismo e anzi di negazionismo, senza chiedere nessuna autorizzazione all’autore né all’editore. Simile trattamento è riservato ad altri storici noti, come Kamen, Bennassar, Henningsen, Firpo, Prosperi, saccheggiati ma con l’aggiunta di commenti personali del tutto snaturanti.
Elementi comuni di queste operazioni spregiudicate sono i temi e i concetti che, qualunque sia l’argomento trattato, scandiscono ossessivamente questi libri. Dominano l’idea dell’eterno complotto anticattolico, la concezione dualista della storia come battaglia apocalittica tra Bene e Male (i «giacobini», i «rossi», i massoni, ma anche gli ecologisti, nuovi pagani, e l’islam), la paura della modernità e dei suoi processi in quanto scristianizzanti, una precisa concezione della fede e della religione, fondata su miracoli, misteri, profezie e sulla netta contrapposizione tra cattolicesimo e mondo moderno – fortunatamente non condivisa da tutti i cattolici – e ancora la convinzione dell’esistenza di una storia parallela e nascosta rispetto a quella ufficiale che va decifrata per cogliere segnali e coincidenze di origine soprannaturale.
Infine, l’idea di crociata, che per alcuni si configura non come una realtà storica, ma come «una categoria perenne dello spirito cristiano» (12). Idea di crociata da ultimo concentrata sull’islam, considerato in sé una minaccia per l’Occidente, anzi la nuova incarnazione del principio della Rivoluzione, in contrapposizione a quanti credono di potere opporre a tale minaccia l’arma della tolleranza e quindi alla tendenza «al disarmo psicologico e morale» che avrebbe colpito la Chiesa dopo la morte di Pio XII, fino a includere le crociate nelle richieste pubbliche di perdono avanzate da Giovanni Paolo II in occasione del Giubileo.
Ma non va sottovalutata neppure la cifra antiebraica che percorre questi testi. Se risibile e falsa è l’affermazione che l’Inquisizione romana non si occupasse di ebrei, mai perseguitati e anzi protetti da papi nonostante la loro pervicace e secolare opera di odio per i cristiani e di sovversione politica, non è difficile trovare una linea di antiebraismo che percorre tutti questi volumi – gli ebrei alleati dei catari e delle streghe, sovversivi e quinte colonne dei nemici degli Stati, sostenitori della Riforma protestante e della Rivoluzione, alleati della massoneria anticattolica. Linea esplicitata ancora una volta da Messori che ha recentemente rievocato la vicenda del battesimo clandestino del piccolo Edgardo Mortara, sottratto nel 1858 alla famiglia ed educato nella fede cristiana sotto la diretta protezione di Pio IX, pubblicando l’autobiografia del convertito divenuto sacerdote in chiave pesantemente antiebraica (13).
Come in tutti i libri qui esaminati, l’obiettivo non è storico ma politico e ben attuale, teso a sollevare altre questioni scottanti e a perorare cause più vicine: la canonizzazione da più parti osteggiata di Pio IX, la difesa di Pio XII dalle accuse di silenzio sulla persecuzione degli ebrei e, soprattutto, il giudizio storico e teologico sul Concilio Vaticano II che aprì alla scelta del dialogo tra le fedi. Sta qui, nella necessità di polemizzare non solo con la cultura laica, ma anche e direi soprattutto con larga parte del mondo cattolico che non ragiona in questi termini – e che però non ha ancora adeguatamente preso le distanze – la ragione della straordinaria povertà storica e concettuale di posizioni come queste, frutto di una posizione cattolica integralista e anticonciliarista che ignora la svolta impressa prima dal Concilio e poi da papa Wojtyla con la sua ammissione delle colpe della Chiesa.
In conclusione, l’analisi di questi testi disegna una precisa genealogia degli errori moderni e dei nefasti e violenti effetti che avrebbe prodotto fino a oggi. Come del resto è facile constatare consultando uno dei siti web legati a queste correnti ideologiche in cui sono puntualmente elencate le tappe essenziali della modernità da combattere (14). L’appello alla controffensiva contro quella che è definita la storiografia vessillo di un nuovo anticlericalismo e di un nuovo anticattolicesimo, l’appello alla riappropriazione di una cultura cattolica, asserita come monolitica e unitaria, alla lotta contro i propagandisti di pregiudizi e calunnie (mai bene identificati ma solo genericamente additati) si esplicita allora non solo nella fondazione di una Catholic Anti Defamation League, ma soprattutto con una vera e propria chiamata alle armi: «È l’ora del controterrorismo intellettuale; l’ora di scendere in campo, nel nome della verità, con armi simili a quelle dell’avversario ed efficaci quanto le sue» (15). Costruirsi un nemico fittizio contro cui combattere, attribuire tesi a misteriosi esponenti di un’indefinita cultura «laicista» e «terrorista» e chiamare alla «discesa in campo» non sembrano essere mezzi capaci di rendere un buon servizio alla storia né alla sua divulgazione né tanto meno al confronto civile e al dialogo tra culture e religioni diverse.
Resta da domandarsi perché occuparsi di tali libri che nessuno storico prenderebbe mai in considerazione. In effetti non varrebbe la pena trattare di testi di cattiva divulgazione giornalistica e di apologetica cattolica se non fosse che proprio iniziative di tal fatta contribuiscono a far circolare nel pubblico dei non addetti ai lavori stereotipi e vere e proprie operazioni di propaganda e falsificazione che incidono sul «senso comune» e lo orientano assai più profondamente di quanto possano fare rigorose ricerche storiche. Come dimostra l’eco che libri, argomenti e rispettivi autori trovano così facilmente sui media e sulle pagine culturali dei giornali più autorevoli, che appunto con la loro autorevolezza li accreditano, e l’insistenza di numerose trasmissioni televisive anche del servizio pubblico su misteri, profezie, segreti, complotti e paccottiglia similare. Vale la pena di occuparsene, dunque, pur nella consapevolezza che, se dei miracoli si può fare anche storia, gli storici seri, senza l’accesso alla cassa di risonanza dei media, certamente non possono fare miracoli.
(1) A. Del Col, L’Inquisizione in Italia dal XII al XXI secolo, Mondadori, Milano 2006, p. 11.
(2) V. Messori, Il Miracolo. Spagna, 1640: indagine sul più sconvolgente prodigio mariano, Rizzoli, Bur, Milano 1998, con quattro edizioni fino al 2006.
(3) Ho analizzato tali meccanismi in La politica della santità. Nascita di un culto nell’età dei Lumi, Laterza, Roma-Bari 1996, ed Ehess, Paris 2007.
(4) V. Messori, R. Cammilleri, Gli occhi di Maria. Roma 1796: impressionanti prodigi nell’Italia napoleonica, Bur Rizzoli, Milano 2001, ristampato nel 2007.
(5) M. Cattaneo,
Gli occhi di Maria sulla Rivoluzione. «Miracoli» a Roma e nello Stato della Chiesa (1796-1797), Istituto Nazionale di Studi Romani, Roma 1995.
(6) Si vedano ad esempio M. Viglione, Rivolte dimenticate. Le insorgenze degli italiani dalle origini al 1815, Città Nuova, Roma 1999, e Id., Le insorgenze. Rivoluzione e Controrivoluzione in Italia. 1792-1815, Ed. Ares, Milano 1999.
(7) A.M. Rao (a cura di), Folle controrivoluzionarie, Carocci, Roma 1999.
(8) M. Viglione, «Libera Chiesa in Libero Stato»? Il Risorgimento e i cattolici: uno scontro epocale, Città Nuova, Roma 2005, collana diretta da F. Cardini e L. Mezzadri.
(9) R. Cammilleri, La vera storia dell’Inquisizione, con prefazione di F. Cardini, Piemme, Casale Monferrato 2001, ristampato fino al 2006.
(10) R. Cammilleri, Elogio del Sillabo, Mondadori, Milano 1994.
(11) L. Sala-Molinas, Le Manuel des inquisiteurs, Ephe et Mouton, Paris-La Haye 1973.
(12) R. De Mattei, Guerra santa guerra giusta. Islam e Cristianesimo in guerra, Piemme, Casale Monferrato 2002, p. 8.
(13) E. Mortara, «Io, il bambino ebreo rapito da Pio IX». Il Memoriale inedito del protagonista del «caso Mortara», Mondadori, Milano 2005.
(14) StoriaLibera.it, il cui incipit riporta una frase molto significativa di queste posizioni di J. De Maistre: «La storia è politica sperimentale».
(15) F. Cardini, prefazione cit., p. 12)
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