Morale laica e cittadinanza, il nuovo insegnamento nelle scuole di Francia

Maria Mantello

Più educazione alla laicità! Questa la risposta della Francia del dopo attentato al Charlie Hebdo. Così, a partire da questo anno scolastico 2015/16, l’istruzione è posta sotto il segno di due concetti strettamente correlati: cittadinanza e laicità. Una “rifondazione della scuola”, come l’ha definita madame Najat Vallaud-Belkacem, ministra della pubblica istruzione.

Entrando nelle scuole francesi non si trovano simboli religiosi. È la “Carta della laicità” a far bella mostra di sé, sintesi della legge del 1905 che prevede, come Costituzione comanda con la separazione stato-chiese, la sovranità della laicità nello spazio pubblico.

«L’obbiettivo della Carta della laicità – aveva detto l’allora ministro della pubblica istruzione Vincent Peillon inaugurandone l’affissione il 9 settembre 2013 – non è tanto quello di ricordare le regole che ci permettono di convivere nelle scuole, ma soprattutto di aiutare ciascuno a comprendere il senso di queste regole».

Venne poi il 7 gennaio 2015, con gli attentati terroristici al Charlie Hebdo, alla tipografia di Dammartin e al negozio kosher di Parigi.
La Francia sconvolta e ferita reagiva con grandi mobilitazioni per riaffermare l’orgoglio laico, sintetizzato in quel Je suis Charlie, che ripetuto e impresso ovunque, diventava stilema per una nuova internazionale della libertà nella civile convivenza democratica .

Un motto, che gli integralisti però ribaltarono in Je ne suis pas Charlie. Una sfida e uno sfregio di chi sogna la teocrazia e si sente milizia permanente della sua guerra santa contro la democrazia.
E tali si devono essere sentiti quegli studenti arabo-islamici delle scuole pubbliche, che lo hanno gridato spavaldi, infrangendo il minuto di silenzio dei compagni di classe l’8 gennaio 2015, giornata di lutto nazionale.

Stavolta non erano i colpi dei kalashnikov; ma i nemici della democrazia usavano lo strumento che della democrazia è vita: la libertà di espressione. Quella stessa libertà che però si sarebbe dovuta negare (secondo loro) ai giornalisti del Charlie. E quest’uso amorale veniva fatto proprio a scuola, dove la democrazia si insegna.

Erano studenti nati e cresciuti in Francia, allevati nelle scuole statali, a cui i valori repubblicani insegnati sembravano essere scivolati addosso, come hanno dovuto constatare, ad esempio, i maestri della scuola elementare Seine-Saint-Denis, che in una classe, si sono trovati a fronteggiare bimbetti islamici che esaltavano gli assassini; o ancora l’alunno della media di Lille, che al professore che gli chiedeva perché non rispettasse il minuto di silenzio rispose spavaldo: «Ti faccio fuori con il kalashnikov».

Uno choc e una presa di coscienza collettiva! Era sotto gli occhi di tutti la debolezza della democrazia, nel suo bisogno di condivisione che chiama alla compartecipazione ogni cittadino per affermarla e difenderla.

Così, al Ministero dell’Educazione Nazionale guidato attualmente dalla signora Najat Vallaud-Belkacem non si sono dati per vinti, lanciando il progetto “Gioventù, Cittadinanza e Laicità”.
Una vera e propria «rifondazione della scuola – come l’ha definita la ministra – che ci ha impegnato nella formazione dei docenti, e ci consente di iniziare il nuovo anno scolastico con l’introduzione dell’insegnamento di “Educazione morale e civica”. Dall’asilo alla maturità».

È la conferenza stampa di fine agosto, a ridosso dell’inizio delle scuole, e si sente l’orgoglio nelle parole di Vallaud-Belkacem, di presentare «una scuola pronta a quella mobilitazione per la difesa dei valori repubblicani, promessa da Hollande a gennaio». «Una scuola da valutare – ha tenuto a sottolineare – «nella capacità di condividere i valori della Repubblica».

E in Italia? Tra Concordato, parlamentari, ministri, sottosegretari, funzionari baciapile, e una sinistra in crisi permanente e molto distratta sulla laicità… ci siamo ritrovati con un capo del governo che ha partorito quella “buona scuola”, cortina fumogena parolaia, dove però una cosa è certa: l’apertura al particolarismo territoriale, dove la rete più forte – si sa – è quella parrocchiale.

(7 settembre 2015)



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